Benito Ingenito
Il Giornale di Eboli
13 giugno 2008
"Oggi mi sono trattenuto davanti alla TV e da un programma di una TV privata che trasmette su tutto il territorio nazionale ho assistito al racconto di un episodio drammatico finito in tragedia. Si trattava della storia di una coppia di giovani sposi perennemente in litigio, risoltosi infine con la classica separazione. La coppia aveva anche una figlia che all’epoca della tragedia era minorenne.
La storia: lui esercitava la professione di autista di pullman turistici; guadagnava bene al punto che conducevano un tenore di vita gratificante; lei, classica casalinga annoiata dal dolce far nulla, si occupava di una agenzia turistica che dava degli ottimi risultati economici.
I litigi fra i due avevano raggiunto dimensioni esasperanti e inaccettabili per qualunque persona normale, ragion per cui la separazione si rendeva assolutamente necessaria. I due si separano e lui si assume tutto l’onere economico del mantenimento della famiglia e il pagamento di tutti i debiti che avevano fatto per aprire l’agenzia turistica.
Con sacrificio la vita continuava: per lui che dovendo mantenere la famiglia (ormai sciolta) e pagare i debiti dell’agenzia turistica, lavorava notte e giorno; per lei che non essendosi mai rassegnata alla separazione, incalzava continuamente l’ex marito pretendendo di avere anche ciò che il giudice della separazione non aveva stabilito.
Le sceneggiate erano all’ordine del giorno e la pazienza (da parte di lui) stava per cedere il posto ad un sentimento diverso in quanto lei non ponendo nessun freno alle proprie esigenze diverse volte si era presentata sul posto di lavoro di lui che per due volte, in seguito a questi fatti, aveva perso il lavoro.
Si arriva così all’ennesimo litigio avvenuto un giorno sotto la casa di lui che imperterrito ascoltava tutte le scongerie (sic !) che lei, senza ritegno e senza vergogna, gli versava addosso.
La gente del vicinato al sentire le urla di lei si era affacciata ai balconi e alle finestre e incredula assistiva (sic !) a queste aggressioni.
Lui paziente, senza reagire e con calma la invita a entrare in casa pensando di discutere con lei serenamente dei fatti oggetto di aspre lamentele.
Niente da fare lei non sente ragioni e sempre con tanta rabbia e odio, continua a scaricare su di lui il proprio odio e le proprie insoddisfazioni. Tutto procede in questo modo con lei che grida sempre più arrabbiata e con lui che tenta di calmarla senza riuscirci.
Finché lui perde la pazienza e le molla un severo e grande ceffone che in un primo momento calmano la donna, ma era solo effetto di un momento, che subito riprende la discussione con lo stesso tono violento e offensivo, e lui riperde la pazienza e le molla un secondo sonorissimo ceffone che la fa cadere e cadendo batte la testa su un pomello di un mobile e muore.
Lui rendendosi conto della gravità della situazione chiama l’ambulanza e in ospedale non possono fare altro che constatarne il decesso.
Lui accusato di omicidio preterintenzionale si becca 10 anni di carcere che sconta totalmente.
La figlia minorenne viene affidata a dei parenti con i quali non andavano nemmeno tanto d’accordo, ma che per tutelarne l’immagine l’avevano tenuta all’oscuro di tutto.
Fino a quanto lei, la figlia, un giorno raccogliendo per strada un pezzo di giornale vede la foto dei propri genitori con la didascalia che riportava il padre come assassino della madre.
Lui dopo 10 anni, scontata la pene esce dal carcere andando ad abitare a casa sua, sotto l’abitazione della figlia che nel frattempo si è sposata ed ha due figli.
Lei, la figlia, non avendo intenzione di allacciare nessun rapporto col padre che ritiene un assassino per la morte della madre, chiede al giudice che allontani il padre da quella abitazione, troppo vicina a lei e ai suoi figli.
Lui che si è rifatto una vita, asserendo che alla figlia non le sia mai stata detta la verità, chiede al giudice che gli sia data la possibilità di allacciare un rapporto con la figlia e rivendica il diritto ad abbracciare i propri nipoti che nemmeno conosce.
La sentenza: il giudice non può proibire a lui di godere della sua proprietà ma gli suggerisce, per il bene della figlia e dei nipoti, di vendere la casa e comprarne una in un posto lontano dalla figlia.
Riflessione: la sentenza sembra Pilatesca.
Ma dalle nostre parti non abbiamo sempre detto che. Maz’ e panelle fann’e figlie belle e figlie senza maz’ fann’e figlie paz? (traduzione letterale: punizioni corporali e pane fanno i figli belli, figli senza punizioni fanno i figli pazzi, n.d.r.).
Chi di noi non ha dato qualche ceffone educativo al proprio figlio? E se questo ceffone avesse provocato la morte del figlio saremmo stati accusati di omicidio preterintenzionale e condannati?
Allora possiamo dire di essere stati fortunati, perché per educare i nostri figli siamo tutti……………MANCATI ASSASSINI.
Benito Ingenito"
La storia: lui esercitava la professione di autista di pullman turistici; guadagnava bene al punto che conducevano un tenore di vita gratificante; lei, classica casalinga annoiata dal dolce far nulla, si occupava di una agenzia turistica che dava degli ottimi risultati economici.
I litigi fra i due avevano raggiunto dimensioni esasperanti e inaccettabili per qualunque persona normale, ragion per cui la separazione si rendeva assolutamente necessaria. I due si separano e lui si assume tutto l’onere economico del mantenimento della famiglia e il pagamento di tutti i debiti che avevano fatto per aprire l’agenzia turistica.
Con sacrificio la vita continuava: per lui che dovendo mantenere la famiglia (ormai sciolta) e pagare i debiti dell’agenzia turistica, lavorava notte e giorno; per lei che non essendosi mai rassegnata alla separazione, incalzava continuamente l’ex marito pretendendo di avere anche ciò che il giudice della separazione non aveva stabilito.
Le sceneggiate erano all’ordine del giorno e la pazienza (da parte di lui) stava per cedere il posto ad un sentimento diverso in quanto lei non ponendo nessun freno alle proprie esigenze diverse volte si era presentata sul posto di lavoro di lui che per due volte, in seguito a questi fatti, aveva perso il lavoro.
Si arriva così all’ennesimo litigio avvenuto un giorno sotto la casa di lui che imperterrito ascoltava tutte le scongerie (sic !) che lei, senza ritegno e senza vergogna, gli versava addosso.
La gente del vicinato al sentire le urla di lei si era affacciata ai balconi e alle finestre e incredula assistiva (sic !) a queste aggressioni.
Lui paziente, senza reagire e con calma la invita a entrare in casa pensando di discutere con lei serenamente dei fatti oggetto di aspre lamentele.
Niente da fare lei non sente ragioni e sempre con tanta rabbia e odio, continua a scaricare su di lui il proprio odio e le proprie insoddisfazioni. Tutto procede in questo modo con lei che grida sempre più arrabbiata e con lui che tenta di calmarla senza riuscirci.
Finché lui perde la pazienza e le molla un severo e grande ceffone che in un primo momento calmano la donna, ma era solo effetto di un momento, che subito riprende la discussione con lo stesso tono violento e offensivo, e lui riperde la pazienza e le molla un secondo sonorissimo ceffone che la fa cadere e cadendo batte la testa su un pomello di un mobile e muore.
Lui rendendosi conto della gravità della situazione chiama l’ambulanza e in ospedale non possono fare altro che constatarne il decesso.
Lui accusato di omicidio preterintenzionale si becca 10 anni di carcere che sconta totalmente.
La figlia minorenne viene affidata a dei parenti con i quali non andavano nemmeno tanto d’accordo, ma che per tutelarne l’immagine l’avevano tenuta all’oscuro di tutto.
Fino a quanto lei, la figlia, un giorno raccogliendo per strada un pezzo di giornale vede la foto dei propri genitori con la didascalia che riportava il padre come assassino della madre.
Lui dopo 10 anni, scontata la pene esce dal carcere andando ad abitare a casa sua, sotto l’abitazione della figlia che nel frattempo si è sposata ed ha due figli.
Lei, la figlia, non avendo intenzione di allacciare nessun rapporto col padre che ritiene un assassino per la morte della madre, chiede al giudice che allontani il padre da quella abitazione, troppo vicina a lei e ai suoi figli.
Lui che si è rifatto una vita, asserendo che alla figlia non le sia mai stata detta la verità, chiede al giudice che gli sia data la possibilità di allacciare un rapporto con la figlia e rivendica il diritto ad abbracciare i propri nipoti che nemmeno conosce.
La sentenza: il giudice non può proibire a lui di godere della sua proprietà ma gli suggerisce, per il bene della figlia e dei nipoti, di vendere la casa e comprarne una in un posto lontano dalla figlia.
Riflessione: la sentenza sembra Pilatesca.
Ma dalle nostre parti non abbiamo sempre detto che. Maz’ e panelle fann’e figlie belle e figlie senza maz’ fann’e figlie paz? (traduzione letterale: punizioni corporali e pane fanno i figli belli, figli senza punizioni fanno i figli pazzi, n.d.r.).
Chi di noi non ha dato qualche ceffone educativo al proprio figlio? E se questo ceffone avesse provocato la morte del figlio saremmo stati accusati di omicidio preterintenzionale e condannati?
Allora possiamo dire di essere stati fortunati, perché per educare i nostri figli siamo tutti……………MANCATI ASSASSINI.
Benito Ingenito"
COMMENTO
Conosco l’A. e conosco anche il suo tormento. Pubblico questo post nel mio blog perché mi sembra un vero e proprio pezzo di bravura, il frutto di uno sforzo immane nel tentare di tradurre per iscritto le proprie emozioni ed i propri sentimenti.
Ho resistito alla tentazione di correggere qualche svarione e raddrizzare qualche periodo, perché il pezzo avrebbe perso di autenticità, di genuinità.
Ma quando Ingenito passa dalle considerazioni e descrizioni delle proprie emozioni per un ordinario episodio di cronaca nera, a tentare commentare, sia pure per accenni, il comportamento della magistratura, allora lì non ci siamo, non è pane per i suoi denti.
Intanto, nell’episodio riferito hanno sbagliato tutti: il padre troppo tollerante con la moglie, la madre troppo ossessiva e possessiva, i parenti che hanno nascosto la verità alla figlia, e cioè che il padre aveva ucciso la madre pur non avendone l’intenzione, non per tutelare l’immagine della ragazza ma la propria, mentre invece la ragazza doveva conoscere la verità ed essere assistita con un concreto aiuto psicologico.
Risultato: il trauma nell’apprendere casualmente quanto era in realtà accaduto.
L’omicidio preterintenzionale è previsto e punti dall’art. 584 codice penale, il quale recita: “Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582 cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.”
L’art. 581 punisce le percosse fino a sei mesi di reclusione e con querela di parte.
L’art. 582 punisce chi cagiona lesioni personali che comportano l’insorgere di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione da tre mesi a tre anni. È punibile a querela di parte se la lesione cagionata è guaribile con prognosi fino a venti giorni.
Mi fermo qui, non è questa una lezione di diritto penale e io non sono un tecnico del settore.
Voglio solo dire che la condanna a dieci anni di reclusione equivale alla pena edittale minima, dieci anni appunto.
Il pover’uomo era andato oltre le intenzioni, ma gli poteva andare molto peggio. Infatti rischiava da 24 a 30 anni di reclusione, perché si trattava della moglie (art. 577, comma 2, codice penale).
Che li abbia scontati tutti ci credo poco, qui sono un tecnico del settore.
Ho resistito alla tentazione di correggere qualche svarione e raddrizzare qualche periodo, perché il pezzo avrebbe perso di autenticità, di genuinità.
Ma quando Ingenito passa dalle considerazioni e descrizioni delle proprie emozioni per un ordinario episodio di cronaca nera, a tentare commentare, sia pure per accenni, il comportamento della magistratura, allora lì non ci siamo, non è pane per i suoi denti.
Intanto, nell’episodio riferito hanno sbagliato tutti: il padre troppo tollerante con la moglie, la madre troppo ossessiva e possessiva, i parenti che hanno nascosto la verità alla figlia, e cioè che il padre aveva ucciso la madre pur non avendone l’intenzione, non per tutelare l’immagine della ragazza ma la propria, mentre invece la ragazza doveva conoscere la verità ed essere assistita con un concreto aiuto psicologico.
Risultato: il trauma nell’apprendere casualmente quanto era in realtà accaduto.
L’omicidio preterintenzionale è previsto e punti dall’art. 584 codice penale, il quale recita: “Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582 cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.”
L’art. 581 punisce le percosse fino a sei mesi di reclusione e con querela di parte.
L’art. 582 punisce chi cagiona lesioni personali che comportano l’insorgere di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione da tre mesi a tre anni. È punibile a querela di parte se la lesione cagionata è guaribile con prognosi fino a venti giorni.
Mi fermo qui, non è questa una lezione di diritto penale e io non sono un tecnico del settore.
Voglio solo dire che la condanna a dieci anni di reclusione equivale alla pena edittale minima, dieci anni appunto.
Il pover’uomo era andato oltre le intenzioni, ma gli poteva andare molto peggio. Infatti rischiava da 24 a 30 anni di reclusione, perché si trattava della moglie (art. 577, comma 2, codice penale).
Che li abbia scontati tutti ci credo poco, qui sono un tecnico del settore.
3 commenti:
Ricordo bene il caso.
E' stato trattato a FORUM davanti al giudice Sante Licheri.
E' eivdente che Benito Ingenito non ha capito che si trattava di una replica.
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