domenica 15 agosto 2010

FANGO ALZO ZERO


Allusioni e toni da caserma contro la compagna di Fini: B. scatena i suoi giornali. Siamo alle nuove purghe

di Luca Telese

Aggredire il nemico, screditarlo a mezzo stampa, fustigarlo senza requie, scarnificarlo. Sulla copertina dell’ultimo numero di Panorama i Tulliani diventano “i Tullianos”, non una coppia di fratelli arrampicatori, dunque, ma l’assonanza onomastica di una famiglia mafiosa, un quadro illustrato a tinte fosche, volti scuri e colori scuri che nemmeno Botero, bianchi e neri polizieschi e virati di blu, come solo quelli dei “Sopranos” e dei serial killer di Carlo Lucarelli. Nulla di sorprendente, purtroppo. È l’esagerazione gotica che uccide la nobiltà dell’inchiestismo, e lo trasforma in una beffa inquisitoria, in una parodia di giornalismo. È la guerra termonucleare di carta (stampata). È il “trattamento-Boffo”, secondo il neologismo Giorgio-Stracquadagnesco che si prepara ad entrare nei manuali dell’ordine: inchiestismo a senso unico, monomaniacale, distruttivo. Questo non è un articolo, questa è l’anatomia di una moderna purga, un processo di sapore moscovita a testate unificate. Questa è la fenomenologia di un massacro ai danni del presidente della Camera, che sembra coordinato da una squadra di novelli Viscinskij (in omaggio al pubblico ministero dei processi staliniani).

TUTTO FA BRODO per attaccare Gianfranco Fini, per i giornali del centrodestra. I cognomi dei suoi fedelissimi? Appigli per giochetti di satira, parafrasi di quart’ordine, ed esercitazioni di umorismo triviale, un Corrierino dei Piccoli virato nello stile del Vernacoliere. Incredibile la prosa fantastica sfoderata da un direttore come Mario Giordano ieri su Libero, che fingendosi il presidente della Camera immaginava questo monologo: “Mi sveglio di notte urlando i nomi dei miei fedelissimi: “Bocchino! Bocchino!”. Ma così Elisabetta si arrabbia ancora di più: “Per come ti comporti nemmeno un bacino”. Ti vien voglia di chiedere: Mario, ma per chi altri si è mai entrati sotto le coperte, si è sfoderato il repertorio della caserma, l’immagine del gioco di parole sul sesso orale come fonte di discredito? Per chi altri Mario Giordano ha derogato alle regole elementari del pudore giornalistico? Per Pierluigi Bersani forse? Macché, al confronto solo rose e gladioli per gli uomini del centrosinistra. Per Nichi Vendola? Macchè, trattato con un rispetto, su quelle stesse pagine ed intervistato come un leader amico da Barbara Romano. Dice Carmelo Briguglio: “Questo è un giornalismo di cui bisogna controllare la gerenza”. Intende dire che sono i giornali di Berlusconi che colpiscono il nemico di Berlusconi. Ma stavolta ogni frontiera è stata superata. Il Giornale, ieri, ospitava le solite quattro pagine di articoli demolitori contro il presidente della Camera, le gigantografie delle fatture di acquisto della cucina Scavolini (nemmeno fossero le prove finali dell’Olocausto ) le consuete quattro pagine di firme della petizione Vandeana che chiede la cacciata di Fini da Montecitorio, più una intera pagina di Vittorio Sgarbi, che in un modo o nell’altro – sia pur con soave eleganza – dava alla Tulliani della mignotta.

E LO FACEVA – almeno lui - con la consueta anarchica irriverenza, se è vero che nella narrazione sgarbiana saltava fuori che anche Feltri era arrapato dalla giovine fanciulla, rampante sì, ma al pari di una foresta di giovani tigri di centrodestra, in caccia di un buon partito, da Elisabetta Gregoraci (vallettopoli) ad Antonella Troise (raccomandata di Saccà ed eroina degli spot sui rifiuti della presidenza del consiglio). Lo Sgarbi che esterna su A e alla Zanzara è senza filtri, quello pubblicato da Il Giornale ovviamente riguardoso per il suo direttore, che a quanto pare – secondo Sgarbi – aveva gettato un occhio sulla pulzella finiana. Al tutto vanno aggiunte le esternazioni ad orologeria di Luciano Gaucci, che da Santo Domingo oscilla fra Panorama e Libero per esibire la sua pantomina di povero amante romantico, tradito nei suoi affetti spiensierati. Poverino, a crocifiggerlo e a seppellirlo basta il meraviglioso essemmesse di Aldo Busi a Dagospia: “Davvero la Tulliani stava con lui per interesse? Noi eravamo convinti che fosse perché era alto, bello e con gli occhi azzurri”. La guerra delle due rose del centrodestra, visto attraverso l’occhio monomaniacale di questa furia distruttiva appare come un turbine di squallore, come una apocalisse che non risparmia nulla e nessuno, nemmeno i suoi artefici. Gli stessi giornali che gridavano alla violazione della privacy quando nel centrodestra le veline frequentavano le scuole di partito e traboccavano dalle liste elettorali, le stesse testate che ignorano le maggiorate azzurrine collocate a fare gli assessori, che sorvolano sulle letteronze e sulle showgirl tramutate in eurodeputate e sui menestrelli imbarcati sui voli di Stato a spese della collettività, adesso si scatenano contro una sola velina. Quella che si è macchiata di un unico reato. Accasarsi con il nemico del capo. Quando era nel gregge delle possibili candidate azzurrre era innocente, adesso diventa perfida.

GLI STESSI editorialisti che chiedevano a gran voce il riserbo quando gli scatti di Antonello Zappadu illustravano il membro eretto di un primo ministro (l’indimenticabile Topolanek) nella villa della Certosa (“Ho giocato in giardino sui bambini”, diceva, ed era chino su una fanciulla nuda) ora si scoprono pruriginosi sulla spiaggia di Ansedonia. Dove una memorabile pagina di giornalismo inventivo la scrive l’inviata di Libero Roberta Catania, tutta impegnata a decrittare attraverso pochi fugaci fotogrammi il dramma di “Ely e Gianfranco separati in casa”. Si arrampica sugli specchi la povera Catania, spiega che “i due arrivano allo stabilimento su macchine diverse, e che per circa due ore non si degnano di uno sguardo”. Ora, a parte che sarebbero anche cazzi loro, la cosa grottesca è che non si tratta di loro due. La donna che non degna Fini “nemmeno di uno sguardo”, immortalata dai paparazzi e sparata sulle prime pagine dei giornali non è Elisabetta Tulliani ma l’attrice (una che solo lontanamente le somiglia) Lilli Franceschetti Bianchi. Le rotative erano già partite, quando l’errore madornale dei segugi è stato scoperto da una bambina di cinque anni, la madre della vittima dello scambio di persona. Sulle panzane del premier che vola alla festa della minorenne Noemi questi giornali non indagavano: sulle contraddizioni di Fini sono pronti a versare pece bollente.

IL “GIORNALISMO vendicativo”, di cui abbiamo raccontato in presa diretta l’avvento, a partire dal caso Boffo per passare alla fustigazione a mezzo calzino del giudice Mesiano (colpevole di indagare su Berlusconi) oggi infesta le pagine dei giornali. Il giornalismo vendicativo ha un tallone d’Achille che nessun difensore d’ufficio, da Vittorio Feltri ad Alessandro Sallusti, da Maurizio Belpietro a Marcello Veneziani (che immaginiamo incatenato nella sua casa di Telamone, intento a vergare ogni giorno una articolessa contro Fini) può eludere. È consapevolmente ipocrita e doppiopesista: si cura, cioè, solo del nemico. E poi trasforma la notizia in un’arma, in uno oggetto contundente, la piega alla spietata grettezza della logica “mettinculista”. Se va in culo al nemico del Capo mi interessa, sennò, no. Funziona in un solo caso: non se fa contento il lettore, ma se soddisfa il committente.

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