di Paolo Flores d’Arcais
Riassumendo: resta oscura l’origine dei primi soldi, tra finanziarie elvetiche e società off-shore (con tacite allusioni a riciclaggi mafiosi). Usa servizi deviati per ricattare i suoi avversari politici. Ha soffiato per quattro lire a un’orfana minorenne una villa di 147 stanze, 3500 metri quadri, un parco secolare e una quantità inenarrabile di quadri antichi (uno solo dei quali valeva all’incirca quanto pagato per l’intera proprietà). È un cesarista, anzi un iper-cesarista. Aveva ragione Veronica in tutte le sue accuse (turbe psico-sessuali, ricordate?). Dovrebbe chiarire i suoi rapporti (di affari, sembra di capire) con Putin e Gheddafi. È un plurinquisito (fuori di galera solo per le leggi ad personam, andrebbe aggiunto). Perciò – per democrazia e legalità – è “il nemico principale”, nell’accezione di Carl Schmitt, “hostis“ con cui non si può venire a patti, nei confronti del quale si giustifica perfino lo “stato d’eccezione”. Detto in due parole, un gangster al potere. A infilare queste perle di verità, non già i soliti sanguinari giustizialisti, ma alcuni dei dirigenti dell’alleanza che da sedici anni sostiene Berlusconi. Del resto, non era Bossi che chiamava Berlusconi “Berluscaz”, accusandolo di tutte le mafiosità possibili?
Si resta perciò esterrefatti di fronte agli ultimi giapponesi all’incontrario, che si ostinano a non combattere la guerra che Berlusconi ha dichiarato alla Costituzione repubblicana e a ogni forma di democrazia liberale. Quelli del Corriere, che per molto meno aprivano con il “Io so” di Pasolini e sono precipitati nella nullità critica dei Pigi Battista. E soprattutto i signorini del Pd, imbolsiti ormai nella giaculatoria del “venga a riferire in Parlamento”, passati dall’inciucio alla catalessi.
Berlusconi ha ora proclamato la soluzione finale. Chi non si piega verrà massacrato, per un tinello se c’è, altrimenti per dei calzini viola (a quando coca e foto pedofile infilate nelle tasche dei dissidenti?). Poiché “opposizione” e Quirinale (e il giornalismo da cuccia) lo hanno lasciato fare, pretende di avere già tutti i poteri, di decidere il quando e il come del plebiscito. Alterna “il bastone e la carota” che teorizzava Mussolini, sicuro che nelle istituzioni sia ormai passata la sindrome Facta. Lo spazio per i distinguo è consumato definitivamente. Chi oggi non si impegna fino allo stremo per fermarlo è suo complice nell’assassinio della democrazia nata dalla Resistenza.
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