di Furio Colombo
La storia, ormai, ci viene raccontata al contrario. Gianfranco Fini non si deve dimettere a causa dell'appartamento a Montecarlo; ma l’appartamento a Montecarlo ci viene esibito perché Gianfranco Fini si dimetta. In altre parole: tutta la storia è politica e si spiega nella politica. La colpa non perdonabile, detta bene e con chiarezza da Silvio Berlusconi, è “personalismo”, ovvero la pretesa, per un membro seppure co-fondatore del partito di Berlusconi, di essere diverso, separato e distinto dalla figura del leader unico. Poteva essere questo dossier e poteva essere un altro. Intendo un altro dossier ma anche un’altra persona. Se e che cosa è vero nella storia dell'attiva famiglia Tulliani lo sapremo con tale ritardo che non farà differenza. Mettiamo per un istante, per pura ipotesi, che tutto sia regolare nella storia Colleoni-Montecarlo. L’accertamento, se dovesse seguire, non farà differenza. Ricordate Boffo? Vi pare che vi sia, nell'immagine giornalistica dell’ex direttore di Avvenire, qualche somiglianza con la persona vera che lentamente, faticosamente, è venuta alla luce 40 giorni dopo la spietata denuncia, corredata di “carte giudiziarie”? No, l’ex direttore Boffo, come lo conoscono gli italiani , è solo e quello dell’accusa che lo ha “inchiodato ai fatti” (non veri) e indotto alle dimissioni. Fini, per quanto si può dire oggi, non si dimetterà. Mi spiego meglio: è deciso a non farlo. E allora il tipo particolare di legame che associa al destino di Berlusconi chi rigorosamente si conforma a Berlusconi (e ha il nome in ditta e ottiene premi sproporzionati nella politica interna di persecuzione agli stranieri e di politica estera nei respingimenti in mare e nel deserto, eseguiti dalla Libia, denunciati dall’Onu e vantati da Maroni, con la sola opposizione dei Radicali) richiede a Bossi di entrare in campo.
Gli strali di Bossi contro il leader di Fli
ECCOLO pronto a sferrare colpi a Fini, senza badare – al solito – se le cose che dice abbiano un senso. Non hanno un senso non solo perché contraddicono ciò che Bossi diceva appena pochi giorni fa, quando sembrava incline a fare quello dei due che tiene l’altro fuori dalla rissa. No, le parole di Bossi – che pure sono citate da giornali e Tv come le dichiarazioni di uno statista di peso – non hanno senso politico e non hanno senso comune. Sentite: “Io Fini l’avrei cacciato subito, quando è andato sotto il palco con il dito puntato”. La frase è penosa, prima che clamorosa. Non sta parlando del suo partito. Sta parlando di dissenso in un altro partito, e si riferisce alla terza carica dello Stato, a cui imputa – come supremo delitto – di avere opinioni difformi da quelle del suo capo, che è il capo di un altro partito. E chiede le dimissioni di Fini da un’istituzione non per questioni di istituzione, che riguardano tutti, ma per ragioni di un partito non suo. Comunque, la colpa imperdonabile è dissentire. Per prudenza il giornalista Marco Cremonesi del Corriere della Sera (11agosto) scrive in un punto del suo articolo: “Sembra che ormai le sue convinzioni [di Bossi, ndr] siano definitivamente maturate”. Ma, da bravo giornalista, ci dà poco dopo la chiave di lettura dello straparlare adatto all’occasione in cui Bossi parla (selezioni di Miss Padania). Infatti registra questa frase che denuncia la totale estraneità del capo della Lega al sistema costituzionale italiano. Dice Bossi: “Se la coalizione che ti ha messo lì dove sei a un certo punto ti scarica, cosa resta da fare?”. A suo modo Bossi cerca chiarezza; e in mezzo alle miss padane aggiunge: “Un po’ di tempo fa ho detto che Berlusconi avrebbe tagliato la testa a chi gioca sporco. Berlusconi è una persona per bene, anche buono. Ma non bisogna mai dimenticare che in Italia i voti li hanno due persone sole: io e il presidente del Consiglio”. È lo stesso presidente del Consiglio la cui foto era stata pubblicata nel 1999 sulla prima pagina della Padania, accanto a quella dell’allora latitante Totò Riina, con il titolo: “Ecco i capi della mafia”. A quel tempo Bossi era il “direttore politico” del quotidiano leghista. Lo è ancora. E quando si riferisce al presidente della Repubblica dice: “Ho fiducia”. E quando si riferisce al presidente della Repubblica «fa un’aggiunta, forse riferita alla passata militanza del capo dello Stato e dice: “Però bisogna stare attenti, perché quando c’è il rischio della vita..”». Ha perso il filo o intende aggiungere qualcosa che sa alla sua immaginazione delle istituzioni e della democrazia? Se volete sapere la risposta del più grande partito dell’opposizione, il Pd, a questo momento oscuro della vita Repubblicana italiana (forse il più oscuro e minaccioso dal 1920) la trovate inserita nello stesso Corriere della Sera, lo stesso giorno, in una “finestra” aperta nello stesso articolo appena citato, non so se con ironia calcolata. Eccola: “Quest’anno niente veti. I ministri del governo Berlusconi potranno essere ospiti nelle feste del Pd. Alla kermesse che si terrà a Torino dal 28 agosto al 12 settembre, hanno infatti già confermato la loro presenza i ministri Tremonti, Calderoli, Maroni”. Particolare curioso: l’articolo del Corriere spiega che lo scorso anno il veto alla presenza dei ministri alle feste del Pd era di Berlusconi, non del Pd. Se dobbiamo prendere in considerazione un’altra frase dello statista Bossi fra dozzine di miss Padania (“Se si crea la palude, come appunto si è creata, non resta che il voto”), allora la strategia Pd appare ancora più sagace: organizzano una festa del maggior partito di opposizione sarà dedicata a lanciare subito la campagna elettorale di tre dei più importanti ministri del governo che si dovrebbe “mandare a casa”. Eppure la fase finale dell’intensa attività politica berlusconiana – distruggere
Il piano d’autunno: bloccare
CREDO di poter dire quale sarà l’iniziativa di autunno: sarà l’ammutinamento della Camera dei Deputati, se Fini non cede o non si trova un compromesso adeguato.
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