di Emanuele Perugini
Energia e sostenibilità, progresso e ambiente. Ecco i progetti che mettono d'accordo le ragioni dell'industria e quelle dell'ecologia. A partire dalla rivoluzione delle materie prime Una miniera di uranio in Australia
Gli astronauti che lavorano sulla Stazione Spaziale Internazionale dicono che quella enorme chiazza bianca che si vede a ridosso della catena della Ande è l'area più brillante della Terra. Non si tratta però di un ghiacciaio: è il Salar de Uyuni, un'enorme distesa di sale che occupa una superficie di più di 12 mila chilometri quadrati a 3.650 metri di quota, nel distretto di Potosì in Bolivia. La più grande miniera di sale che esista sul pianeta: un sale molto particolare, che ne fa uno dei nuovi punti nevralgici dell'economia del XXI secolo.
Per la nuova industria dell'auto verde, quella che si vuole affrancare dal petrolio, è come una nuova Arabia Saudita. È proprio mescolato a queste rocce che si trova in altissima concentrazione uno dei quattro minerali più preziosi del mondo: il litio. Essenziale per la realizzazione delle batterie che alimentano i computer, i telefonini, i BlackBerry e gli iPod, ma che diventerà strategico per le nuove auto elettriche. La Chevrolet Volt, l'auto ibrida annunciata per il 2010, avrà una batteria al litio, come pure modelli annunciati dalla Nissan e dalla Mercedes. E subito il problema che si pone è quello del prezzo della materia prima, e del costo della sua estrazione, come pure dei problemi geo-politici che le nuove frontiere dell'energia faranno sorgere.
Nei prossimi anni infatti le guerre non si faranno più per l'oro o per il petrolio, ma per minerali che fino ad oggi hanno giocato un ruolo marginale nelle economie industrializzate. Oltre al litio: il silicio, l'uranio e il platino. La domanda di questi quattro elementi è destinata ad aumentare vertiginosamente nel corso di questo secolo perché ciascuno di essi è legato alla rivoluzione verde che sta per affrontare il settore dell'energia nel mondo. Il litio e il platino sono componenti indispensabili per la produzione delle batterie e delle celle a combustibile destinate ad alimentare le nuove auto elettriche. Il silicio è determinante per la produzione di pannelli fotovoltaici necessari a trasformare l'energia del sole in corrente elettrica, mentre l'uranio è il combustibile che alimenta i reattori nucleari, sui quali diversi paesi hanno deciso di puntare per ridurre le emissioni di anidride carbonica.
I minatori che ogni giorno arrivano in bicicletta o su vecchi camion fin nel cuore del Salar per scavare i blocchi di sale dall'alba al tramonto e con il solo sostentamento delle foglie di coca, sanno benissimo che davanti a loro si estende un vero e proprio tesoro e sono decisi stavolta a non vederselo portar via dalle solite compagnie minerarie straniere. Nel Salar de Uyuni c'è infatti il 50 per cento delle riserve mondiali di litio ancora sfruttabili, mentre un altro 20 per cento si trova nel Salar de Atacama in Cile e nel Salar Hombre Muerto in Argentina. Il resto delle riserve sfruttabili di litio si trovano in Tibet, Russia, Canada e Australia. È naturale quindi che l'attenzione dei colossi dell'auto, stretti come sono dalla crisi economica che li sta travolgendo, sia rivolta a questo angolo sperduto dell'altopiano boliviano. Anche perché dei tre grandi laghi salati delle Ande, quello di Uyuni è l'unico non ancora utilizzato dal punto di vista industriale.
Evo Morales"Lo sfruttamento secolare delle nostre risorse è finito", ha avvertito Luis Alberto Echazu, ministro delle Miniere della Bolivia. Per evitare gli errori e gli orrori del passato - nelle miniere di argento e di stagno di Potosì, a qualche decina di chilometri dal Salar di Uyuni, in cinque secoli di sfruttamento coloniale sono morti otto milioni di Indios - il governo di Evo Morales ha avviato un progetto pilota che una volta a regime porterà all'estrazione di circa 1.200 tonnellate di litio all'anno per arrivare nel 2012 a 30 mila. Cifre alla mano gli analisti delle principali aziende automobilistiche hanno cominciato a storcere il naso. "Anche se nei prossimi anni il mercato delle auto elettriche dovesse rimanere di nicchia", spiega Eichi Maeyana, rappresentante della Mitsubishi a La Paz, "ci sarà bisogno di almeno 500 mila tonnellate di litio all'anno".
L'impatto di questo collo di bottiglia nella produzione del litio non potrà non avere ripercussioni sul prezzo di questo minerale. "Temiamo che il prezzo del litio, senza un aumento della produzione da parte della Bolivia, possa diventare proibitivo, con aumenti anche del 500 per cento nei prossimi cinque anni", aggiunge Maeyana. Oggi la Sqm, la società cilena che produce un terzo del litio del mondo, pretende per il suo oro bianco 12 mila dollari a tonnellata, nel 1996 era quotato duemila dollari a tonnellata. Con una domanda di litio per l'elettronica portatile che cresce al ritmo del 25 per cento l'anno, si calcola che per il 2015 saranno disponibili solo 300 mila tonnellate di litio per l'industria dell'auto. Un quantitativo sufficiente per un milione e mezzo di veicoli del tipo della Chevrolet Volt ricaricabile annunciata dalla Gm.
Il litio però è solo l'ultimo tra i quattro minerali strategici del XXI secolo che va incontro ad un'impennata dei prezzi. È successo al silicio, al platino e anche all'uranio. Se però per uranio e platino c'è da fare i conti con una effettiva ristrettezza delle riserve geologiche, lo stesso non si può dire del silicio, presente in enormi quantità ovunque. Basta pensare che la sabbia dei mari è quasi del tutto costituita da minerali che contengono questo elemento. Il problema del silicio è però che così come si trova in natura è praticamente inutile e occorre trasformarlo parecchio prima di arrivare a prodotti raffinati utili per trasformare l'energia del sole in energia elettrica attraverso i pannelli fotovoltaici.
"Il prezzo del silicio ad elevata purezza negli ultimi 5 anni è passato da circa 50 dollari al chilogrammo a circa 150 dollari a fine del 2008 con picchi, all'inizio del 2008 anche di 200 dollari al chilogrammo", spiega Francesco Starace direttore della Divisione Energie Rinnovabili di Enel a cui fa capo Enel Green Power, la nuova società del gruppo. "Il rincaro è dovuto alla crescita vertiginosa della domanda da parte dell'industria fotovoltaica con ritmi superiori al 30 per cento annuo ormai da circa 8 anni, e al ritardo nello sviluppo della capacità produttiva dell'industria del silicio di elevata purezza", aggiunge Starace. Per uscire da questo vicolo cieco Enel Green Power ha deciso di entrare direttamente nella produzione di pannelli fotovoltaici grazie ad una alleanza con Sharp che le permetterà di realizzare il più grande stabilimento di produzione di pannelli in Italia con una capacità produttiva di 480 megawatt all'anno.
Salar de Uyuni in BoliviaLe auto elettriche però possono essere alimentate non solo dalle batterie al litio, ma anche dalle celle a combustibile che sfruttano l'idrogeno. Anche in questo caso, l'adozione su larga scala di questa tecnologia ha dovuto fare i conti con la scarsità di una materia prima essenziale: il platino. In questo caso però, a dare una mano alle industrie è stata la ricerca, anche quella italiana. "Uno dei nostri principali campi di lavoro", spiega Gaetano Cacciola, direttore dell'Istituto Nicola Giordano per le tecnologie avanzate per l'energia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Messina, "è proprio quello di ridurre la quantità di platino necessaria a far funzionare le celle a combustibile". I risultati sono incoraggianti e ora la quantità di questo raro e preziosissimo metallo necessaria alla realizzazione delle batterie a idrogeno è passata da 0,5 grammi per centimetro quadrato di superficie a circa 0,1 grammi. "In questo campo", spiega Cacciola, "abbiamo fatto dei passi in avanti molto importanti come pure sul fronte della sostituzione del platino con altri materiali a più basso costo".
Chi invece sta conoscendo in questi ultimi cinque anni un vero e proprio boom è l'industria mineraria dell'uranio, in particolare quella australiana e quella del Kazakistan. L'avvio della realizzazione di nuovi reattori nucleari in tutto il mondo ha infatti fatto aumentare i prezzi di questa materia prima e ha spinto alla ricerca di nuovi giacimenti o alla riapertura di quelli già individuati, ma non ancora esplorati.
In soli quattro anni il prezzo dell'uranio sui mercati internazionali è passato da soli 15 dollari per libbra nel 2004 ai 78 dollari di inizio 2008 per attestarsi a circa 55 dollari a novembre del 2008. Anche se nel caso delle centrali nucleari il costo dell'uranio incide poco (meno del 10 per cento) sul costo dell'energia prodotta, l'aumento dei prezzi e la relativa scarsità di giacimenti sfruttabili rischia di mettere una seria ipoteca sul rilancio dell'atomo come fonte energetica a zero emissioni di anidride carbonica.
Gli astronauti che lavorano sulla Stazione Spaziale Internazionale dicono che quella enorme chiazza bianca che si vede a ridosso della catena della Ande è l'area più brillante della Terra. Non si tratta però di un ghiacciaio: è il Salar de Uyuni, un'enorme distesa di sale che occupa una superficie di più di 12 mila chilometri quadrati a 3.650 metri di quota, nel distretto di Potosì in Bolivia. La più grande miniera di sale che esista sul pianeta: un sale molto particolare, che ne fa uno dei nuovi punti nevralgici dell'economia del XXI secolo.
Per la nuova industria dell'auto verde, quella che si vuole affrancare dal petrolio, è come una nuova Arabia Saudita. È proprio mescolato a queste rocce che si trova in altissima concentrazione uno dei quattro minerali più preziosi del mondo: il litio. Essenziale per la realizzazione delle batterie che alimentano i computer, i telefonini, i BlackBerry e gli iPod, ma che diventerà strategico per le nuove auto elettriche. La Chevrolet Volt, l'auto ibrida annunciata per il 2010, avrà una batteria al litio, come pure modelli annunciati dalla Nissan e dalla Mercedes. E subito il problema che si pone è quello del prezzo della materia prima, e del costo della sua estrazione, come pure dei problemi geo-politici che le nuove frontiere dell'energia faranno sorgere.
Nei prossimi anni infatti le guerre non si faranno più per l'oro o per il petrolio, ma per minerali che fino ad oggi hanno giocato un ruolo marginale nelle economie industrializzate. Oltre al litio: il silicio, l'uranio e il platino. La domanda di questi quattro elementi è destinata ad aumentare vertiginosamente nel corso di questo secolo perché ciascuno di essi è legato alla rivoluzione verde che sta per affrontare il settore dell'energia nel mondo. Il litio e il platino sono componenti indispensabili per la produzione delle batterie e delle celle a combustibile destinate ad alimentare le nuove auto elettriche. Il silicio è determinante per la produzione di pannelli fotovoltaici necessari a trasformare l'energia del sole in corrente elettrica, mentre l'uranio è il combustibile che alimenta i reattori nucleari, sui quali diversi paesi hanno deciso di puntare per ridurre le emissioni di anidride carbonica.
I minatori che ogni giorno arrivano in bicicletta o su vecchi camion fin nel cuore del Salar per scavare i blocchi di sale dall'alba al tramonto e con il solo sostentamento delle foglie di coca, sanno benissimo che davanti a loro si estende un vero e proprio tesoro e sono decisi stavolta a non vederselo portar via dalle solite compagnie minerarie straniere. Nel Salar de Uyuni c'è infatti il 50 per cento delle riserve mondiali di litio ancora sfruttabili, mentre un altro 20 per cento si trova nel Salar de Atacama in Cile e nel Salar Hombre Muerto in Argentina. Il resto delle riserve sfruttabili di litio si trovano in Tibet, Russia, Canada e Australia. È naturale quindi che l'attenzione dei colossi dell'auto, stretti come sono dalla crisi economica che li sta travolgendo, sia rivolta a questo angolo sperduto dell'altopiano boliviano. Anche perché dei tre grandi laghi salati delle Ande, quello di Uyuni è l'unico non ancora utilizzato dal punto di vista industriale.
Evo Morales"Lo sfruttamento secolare delle nostre risorse è finito", ha avvertito Luis Alberto Echazu, ministro delle Miniere della Bolivia. Per evitare gli errori e gli orrori del passato - nelle miniere di argento e di stagno di Potosì, a qualche decina di chilometri dal Salar di Uyuni, in cinque secoli di sfruttamento coloniale sono morti otto milioni di Indios - il governo di Evo Morales ha avviato un progetto pilota che una volta a regime porterà all'estrazione di circa 1.200 tonnellate di litio all'anno per arrivare nel 2012 a 30 mila. Cifre alla mano gli analisti delle principali aziende automobilistiche hanno cominciato a storcere il naso. "Anche se nei prossimi anni il mercato delle auto elettriche dovesse rimanere di nicchia", spiega Eichi Maeyana, rappresentante della Mitsubishi a La Paz, "ci sarà bisogno di almeno 500 mila tonnellate di litio all'anno".
L'impatto di questo collo di bottiglia nella produzione del litio non potrà non avere ripercussioni sul prezzo di questo minerale. "Temiamo che il prezzo del litio, senza un aumento della produzione da parte della Bolivia, possa diventare proibitivo, con aumenti anche del 500 per cento nei prossimi cinque anni", aggiunge Maeyana. Oggi la Sqm, la società cilena che produce un terzo del litio del mondo, pretende per il suo oro bianco 12 mila dollari a tonnellata, nel 1996 era quotato duemila dollari a tonnellata. Con una domanda di litio per l'elettronica portatile che cresce al ritmo del 25 per cento l'anno, si calcola che per il 2015 saranno disponibili solo 300 mila tonnellate di litio per l'industria dell'auto. Un quantitativo sufficiente per un milione e mezzo di veicoli del tipo della Chevrolet Volt ricaricabile annunciata dalla Gm.
Il litio però è solo l'ultimo tra i quattro minerali strategici del XXI secolo che va incontro ad un'impennata dei prezzi. È successo al silicio, al platino e anche all'uranio. Se però per uranio e platino c'è da fare i conti con una effettiva ristrettezza delle riserve geologiche, lo stesso non si può dire del silicio, presente in enormi quantità ovunque. Basta pensare che la sabbia dei mari è quasi del tutto costituita da minerali che contengono questo elemento. Il problema del silicio è però che così come si trova in natura è praticamente inutile e occorre trasformarlo parecchio prima di arrivare a prodotti raffinati utili per trasformare l'energia del sole in energia elettrica attraverso i pannelli fotovoltaici.
"Il prezzo del silicio ad elevata purezza negli ultimi 5 anni è passato da circa 50 dollari al chilogrammo a circa 150 dollari a fine del 2008 con picchi, all'inizio del 2008 anche di 200 dollari al chilogrammo", spiega Francesco Starace direttore della Divisione Energie Rinnovabili di Enel a cui fa capo Enel Green Power, la nuova società del gruppo. "Il rincaro è dovuto alla crescita vertiginosa della domanda da parte dell'industria fotovoltaica con ritmi superiori al 30 per cento annuo ormai da circa 8 anni, e al ritardo nello sviluppo della capacità produttiva dell'industria del silicio di elevata purezza", aggiunge Starace. Per uscire da questo vicolo cieco Enel Green Power ha deciso di entrare direttamente nella produzione di pannelli fotovoltaici grazie ad una alleanza con Sharp che le permetterà di realizzare il più grande stabilimento di produzione di pannelli in Italia con una capacità produttiva di 480 megawatt all'anno.
Salar de Uyuni in BoliviaLe auto elettriche però possono essere alimentate non solo dalle batterie al litio, ma anche dalle celle a combustibile che sfruttano l'idrogeno. Anche in questo caso, l'adozione su larga scala di questa tecnologia ha dovuto fare i conti con la scarsità di una materia prima essenziale: il platino. In questo caso però, a dare una mano alle industrie è stata la ricerca, anche quella italiana. "Uno dei nostri principali campi di lavoro", spiega Gaetano Cacciola, direttore dell'Istituto Nicola Giordano per le tecnologie avanzate per l'energia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Messina, "è proprio quello di ridurre la quantità di platino necessaria a far funzionare le celle a combustibile". I risultati sono incoraggianti e ora la quantità di questo raro e preziosissimo metallo necessaria alla realizzazione delle batterie a idrogeno è passata da 0,5 grammi per centimetro quadrato di superficie a circa 0,1 grammi. "In questo campo", spiega Cacciola, "abbiamo fatto dei passi in avanti molto importanti come pure sul fronte della sostituzione del platino con altri materiali a più basso costo".
Chi invece sta conoscendo in questi ultimi cinque anni un vero e proprio boom è l'industria mineraria dell'uranio, in particolare quella australiana e quella del Kazakistan. L'avvio della realizzazione di nuovi reattori nucleari in tutto il mondo ha infatti fatto aumentare i prezzi di questa materia prima e ha spinto alla ricerca di nuovi giacimenti o alla riapertura di quelli già individuati, ma non ancora esplorati.
In soli quattro anni il prezzo dell'uranio sui mercati internazionali è passato da soli 15 dollari per libbra nel 2004 ai 78 dollari di inizio 2008 per attestarsi a circa 55 dollari a novembre del 2008. Anche se nel caso delle centrali nucleari il costo dell'uranio incide poco (meno del 10 per cento) sul costo dell'energia prodotta, l'aumento dei prezzi e la relativa scarsità di giacimenti sfruttabili rischia di mettere una seria ipoteca sul rilancio dell'atomo come fonte energetica a zero emissioni di anidride carbonica.
(14 gennaio 2009)

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