giovedì 6 agosto 2009

Anche papa Giorgio non è infallibile



di Marco Travaglio


Da qualche tempo il presidente della Repubblica viene trattato come una volta il papa quando parlava ex cathedra, in odore di infallibilità. Ogni suo atto, monito, sospiro, silenzio è accolto da un coro unanime e trasversale di applausi, elogi, ringraziamenti, salamelecchi, nuvole d'incenso (con la nota eccezione di Antonio Di Pietro). Si dirà: un segno di rispetto per una delle poche istituzioni ancora rispettate. Ma un conto è il rispetto, un altro l'unanimismo. Perché poi ci si abitua e si comincia davvero a credersi infallibili, magari protestando con letterine piccate ai rari commentatori che si permettono pallide riserve, o con stizzite lavate di capo a Di Pietro, reo di lesa maestà ("Ormai va di moda declinare gli inviti", "Fieri guerrieri roteano scimitarre e ignorano la Costituzione"). Detto col massimo rispetto: siamo sicuri che, in tre anni di presidenza, Giorgio Napolitano non abbia mai sbagliato un colpo né meritato una critica? A giudicare dai commenti di migliaia di corazzieri travestiti da politici e giornalisti, mai. Eppure anche chi l'ha difeso ha dovuto riconoscere che certe recenti iniziative erano perlomeno "irrituali" e "inedite". La richiesta di informazioni alla Procura di Salerno sulla perquisizione a Catanzaro, seguita dalla frettolosa cacciata dei tre pm campani da parte del Csm. L'entrata a piedi giunti nel dibattito storico sulla strategia della tensione, per bollare come "fantomatica" la teoria del "doppio Stato" su depistaggi e deviazioni di apparati istituzionali. Il silenzio sulla cena di Berlusconi e Alfano con due giudici costituzionali che tra poco dovranno pronunciarsi sul lodo Berlusconi-Alfano.
Le "tregue" invocate prima e dopo il G8 per allentare la morsa della stampa e dell'opposizione su scandali e bugie del premier. La "promulgazione dissenziente" del pacchetto sicurezza. L'invasione di campo nelle indagini finalmente riaperte sui mandanti occulti delle bombe politico-mafiose del 1992-93, per definire "discutibili" i nuovi testimoni d'accusa (Ciancimino jr., Spatuzza, Riina) che iniziano a parlare di quell'oscura stagione, nel silenzio delle istituzioni. Siamo certi che tutto questo rientri nelle facoltà previste dalla Costituzione? Più volte Napolitano ha ripetuto: "Quando il legislatore lavora, il presidente tace". Bene: come si concilia quel motto col no preventivo al decreto Englaro annunciato segretamente al governo che lo stava varando? E con la convocazione di Alfano per anticipargli il niet alla legge sulle intercettazioni e invocare "soluzioni condivise"? Come può una legge vergogna diventare meno vergognosa solo perché la vota pure l'opposizione? È così peregrino ritenere che fosse più corretto attenersi alla lettera dell'articolo 74 della Costituzione, cioè attendere che le norme fossero approvate e poi rispedirle al mittente per "chiedere una nuova deliberazione con messaggio" alle Camere? Spesso una critica motivata è più utile del servo encomio: aiuta a sbagliare un po' meno.

(30 luglio 2009)

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