
Da qualche tempo il presidente della Repubblica viene trattato come una volta il papa quando parlava ex cathedra, in odore di infallibilità. Ogni suo atto, monito, sospiro, silenzio è accolto da un coro unanime e trasversale di applausi, elogi, ringraziamenti, salamelecchi, nuvole d'incenso (con la nota eccezione di Antonio Di Pietro). Si dirà: un segno di rispetto per una delle poche istituzioni ancora rispettate. Ma un conto è il rispetto, un altro l'unanimismo. Perché poi ci si abitua e si comincia davvero a credersi infallibili, magari protestando con letterine piccate ai rari commentatori che si permettono pallide riserve, o con stizzite lavate di capo a Di Pietro, reo di lesa maestà ("Ormai va di moda declinare gli inviti", "Fieri guerrieri roteano scimitarre e ignorano la Costituzione"). Detto col massimo rispetto: siamo sicuri che, in tre anni di presidenza, Giorgio Napolitano non abbia mai sbagliato un colpo né meritato una critica? A giudicare dai commenti di migliaia di corazzieri travestiti da politici e giornalisti, mai. Eppure anche chi l'ha difeso ha dovuto riconoscere che certe recenti iniziative erano perlomeno "irrituali" e "inedite". La richiesta di informazioni alla Procura di Salerno sulla perquisizione a Catanzaro, seguita dalla frettolosa cacciata dei tre pm campani da parte del Csm. L'entrata a piedi giunti nel dibattito storico sulla strategia della tensione, per bollare come "fantomatica" la teoria del "doppio Stato" su depistaggi e deviazioni di apparati istituzionali. Il silenzio sulla cena di Berlusconi e Alfano con due giudici costituzionali che tra poco dovranno pronunciarsi sul lodo Berlusconi-Alfano.
Le "tregue" invocate prima e dopo il G8 per allentare la morsa della stampa e dell'opposizione su scandali e bugie del premier. La "promulgazione dissenziente" del pacchetto sicurezza. L'invasione di campo nelle indagini finalmente riaperte sui mandanti occulti delle bombe politico-mafiose del 1992-93, per definire "discutibili" i nuovi testimoni d'accusa (Ciancimino jr., Spatuzza, Riina) che iniziano a parlare di quell'oscura stagione, nel silenzio delle istituzioni. Siamo certi che tutto questo rientri nelle facoltà previste dalla Costituzione? Più volte Napolitano ha ripetuto: "Quando il legislatore lavora, il presidente tace". Bene: come si concilia quel motto col no preventivo al decreto Englaro annunciato segretamente al governo che lo stava varando? E con la convocazione di Alfano per anticipargli il niet alla legge sulle intercettazioni e invocare "soluzioni condivise"? Come può una legge vergogna diventare meno vergognosa solo perché la vota pure l'opposizione? È così peregrino ritenere che fosse più corretto attenersi alla lettera dell'articolo 74 della Costituzione, cioè attendere che le norme fossero approvate e poi rispedirle al mittente per "chiedere una nuova deliberazione con messaggio" alle Camere? Spesso una critica motivata è più utile del servo encomio: aiuta a sbagliare un po' meno.
(30 luglio 2009)


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