mercoledì 12 agosto 2009

Silvio all news



di Denise Pardo


L'occupazione dei Tg e delle reti Rai. La militarizzazione dei giornali di famiglia. Le minacce al Tg3. La lunga marcia del Cavaliere per blindare l'informazione

Roma, giovedì 6 agosto, San Goderanno (e sarà probabile), ristorante del circuito politico e giornalistico a due passi da Montecitorio. Intorno a un tavolo, esponenti del gran mondo, nuovo, del potere tv: Mario Orfeo, fresco direttore del Tg2, carriera inappuntabile, votato all'unanimità dal cda Rai, stimato da Carfagna, Bocchino e da Lui, il Cavaliere in persona. Seduto al suo fianco, Massimo Liofredi, noto fra i buontemponi Rai come 'Phon man' o 'Bellicapelli' e si può immaginare perché. Da anni capo struttura di RaiUno, da poco assurto al vertice di RaiDue, in quota Forza Italia, l'uomo, per intenderci, a cui dovrà rispondere Michele Santoro, ha al suo attivo una comparsata nell'inchiesta della banda della Magliana: colpa dell'acquisto di una macchina, spiegò lui, intercettato mentre Antonio Nicoletti, figlio del cassiere della nota band, gli segnalava, tanto per cambiare, una bella figliola. Insieme tutti e due ad ascoltare attentamente le parole del terzo uomo. E che uomo! Antonio Verro, consigliere Rai, scelto (c'è bisogno di dirlo?) dai notabili azzurroni. Una colazione tra amici? O un vertice a tre? In altri tempi, l'incontro sarebbe stato considerato a dir poco inopportuno. Non ora, che lo spiegamento mediatico berlusconiano non conosce e non vuole conoscere confini. Né soprattutto ragioni.

La fase è nuova. Non nella sostanza, che è ben nota. Ma nella potenza. Nella forma. Nella avidità esibita nelle minacce persino al Tg3. Da viale Mazzini a Cologno Monzese, dal laghetto di Segrate (Mondadori) a via Negri (sede del 'Giornale'), a via Asiago (storico indirizzo della radio pubblica) sull'impero dell'informazione nell'orbita berlusconiana non dovrà tramontare mai il sole. Tanto, united colors of Berlusconi, lato media, gran parte del dado è tratto e con le nuove province di tg, gr e delle direzioni della carta stampata, la marcia trionfale del Cavaliere va avanti alla grande. Lui, d'altra parte, non ha tempo da perdere.

L'autunno è alle porte. E il patriarca avrà bisogno di una primavera nei media. Lo aspettano mesi duri. Il lodo Alfano. Le trame degli alleati. Le questione etiche, eretiche, erotiche. Le elezioni amministrative del 2010. E sullo sfondo, la battaglia delle battaglie, il sogno dei sogni, il Colle dei colli. Impossibile affrontare tutto questo senza una gioiosa macchina da guerra mediatica in cui seggiole e poltrone non siano state approvate, se non scelte, da lui in persona. Così ha voluto. Così è stato.

Prima, l'addio da Canale 5 dello scomodo grillo parlante Enrico Mentana. Dopo, il contratto per la conduzione di 'Matrix' ad Alessio Vinci che, nuovo dell'ambiente, e non autorevole come il fondatore del Tg5, è sotto continuo tentativo di mediasettizzazione ("Una puntata su Vito Ciancimino? Fantastico: aspettiamo, però, che vada in onda la fiction sulla mafia", gestiscono i capi dei palinsesti e del marketing). Poi Augusto Minzolini, il giornalista del cuore, l'ombra del Cavaliere piazzato alfine a firmare il Tg1, il più importante d'Italia. Circondato anche da un cordoncino sanitario di neo nominati: i vice direttori Susanna Petruni, giornalista assennata che rispose di preferire una serata con il Cavaliere a una con un George Clooney qualunque, e Gennaro Sangiuliano, culo di pietra e cervello fino, lobby Gianfranco Fini. Al Tg2, ecco salire la stella di Mario Orfeo, figura non organica, molto apprezzata nei raid napoletani dal premier, poi scritturata fra i direttori 'Door to door' , quelli delle poltrone bianche di Bruno Vespa, quando l'ospite è Berlusconi. Risultato: vari piccioni con varie fave, visto che al posto di Orfeo alla direzione del 'Mattino' del pluto-editore Franco Caltagirone, è stato nominato il vice, Virman Cusenza, professionista a modo, quasi di casa berlusconiana, cresciuto al 'Giornale' dove ha lavorato più di dieci anni prima di passare al 'Messaggero'.

Così Napoli, i suoi guai e le future elezioni: tutto sistemato. Come l'altro obiettivo per la campagna d'autunno. Il fausto ritorno di Vittorio Feltri alla direzione del 'Giornale' (con tanto di entourage ex 'Libero': l'alter ego ed ex direttore responsabile Alessandro Sallusti, l'ex direttore generale Gianni Di Giore, forse Renato Farina e anche la santa firma Antonio Socci) con il compito di farne un quotidiano da bombardamento con licenza per artiglieria pesante e armi nucleari, pronto a piazzare quattro fotografi sotto casa di Antonio Di Pietro e capace di contrastare gli attacchi della stampa nemica. E anche di affiancare la fronda amica ma scapigliata, a volte poco pop del 'Foglio' di Giuliano Ferrara. Dopo aver disdegnato a lungo la carta stampata ("In Italia i giornali vengono letti con attenzione solo da 5 mila persone", era il refrain che faceva uscire pazzo Gianni Letta), ora il premier sembra rendersi improvvisamente conto che, per esempio, le cancellerie internazionali non accendono il Tg5 del caro fedele Clemente J. Mimun o il Tg4 dell'ancor più caro e fedelissimo Emilio Fede per farsi un opinione. Ma traducono, invece, i giornali.

Dopo aver tentato inutilmente di mettere le mani su via Solferino (anche se a 'Porta a Porta' ci ha tenuto a complimentarsi vivamente per l'equilibrio e la correttezza del direttore del 'Corriere' Ferruccio de Bortoli), non restava che una via. Quella dei numeri di 'Libero' e delle sue copie montate negli anni meglio di un soufflè, al contrario di quelle del 'Giornale'. Senza avvertire il fratello Paolo, editore di facciata, nemmeno Fedele (Confalonieri), di solito consultato come un oracolo, è stato il premier in persona a sollevare la cornetta sventolando l'offertona (3 milioni di euro e, secondo il sito Dagospia, 15 milioni una tantum). Feltri, sornione più di un gatto, quella telefonata prima o poi se l'aspettava. Mario Giordano, no. Tanto da interpretare l'arrivo del fondatore di 'Libero' come il battesimo di una neo direzione editoriale ("Che gioia, il mio maestro!", aveva cinguettato prima di capire che gli avevano appena sfilato la poltrona). Ma da un po' di tempo, il suo quotidiano non ne aveva imbroccata una. In un articolo, i giapponesi erano stati apostrofati come "musi gialli" causando una nota diplomatica di nipponica indignazione. Aveva fatto lo spiritoso sullo snobismo di Carla Bruni Sarkozy, provocando una telefonata (ufficialmente mai confermata) tra Sarkò e Silviò sul tema 'cosa sono capaci di fare le first lady quando si infuriano', corda piuttosto sensibile per il Cavaliere. Infatti, sul 'Giornale' era seguita una paginata con sviolinata riparatoria. Morale: a fine agosto, Giordano dovrebbe tornare per la seconda volta alla direzione del tg 'Studio aperto' al posto di Giorgio Mulè.

Giordano torna. Ma non è il solo. Succede anche a Mulè, berlusconiano di rito previtiano, scelto per dirigere 'Panorama' dove era stato vicedirettore. Il pressing per convincerlo a rimettere piede nella redazione di Segrate in un momento nero per l'editoria è stato notevole, vista la fretta di Marina Berlusconi di chiudere la faccenda: "Non voglio rose di candidati né toto-nomine. Ed è inutile che zio Fedele intervenga", così la presidente del gruppo è stata sentita dire a Nini Briglia (sponsor di Mulè da sempre), plenipotenziario dei Periodici, berlusconiano come può esserlo un ex capo del servizio d'ordine di Lotta continua, stesso vivaio di un altro importante direttore del gruppo del Biscione, Paolo Liguori, capo di Tgcom, uno dei maggiori portali di news. I falchi al potere, insomma e finalmente. Falchi e il Falcone Lucifero della real casa, ovvero l'uomo più potente in Mondadori, uno dei pochissimi ad avere accesso al frigorifero di Marina B.: Alfonso Signorini, direttore di 'Chi'(termometro dei cortigiani di Arcore) e anche di 'Tv sorrisi e canzoni ' (sua vice è Rosanna Mani, intercettata nel segnalare soubrette care a Palazzo Grazioli).

Fra i ragazzi del Clan, la staffetta è un rito. A 'Studio aperto' la sucessione è andata così: Giordano-Mulè-Giordano (adesso). Al 'Giornale': Feltri-Belpietro-Giordano-Feltri (ora). Stesse montagne russe anche per Maurizio Belpietro che da 'Panorama' va a 'Libero' (insieme all'inseparabile Mario Sechi, a Gianluigi Nuzzi e alla penna Filippo Facci) chiamato dalla famiglia Angelucci a confezionare un quotidiano ancora più nordista, non anti-Cavaliere certo, ma filo Padania cioè filo da torcere (Feltri e Belpietro metterebbero volentieri il cianuro nei Martini reciproci). Solo Gianluigi Paragone, ex direttore della 'Padania', ex vice direttore di 'Libero', ha preso un'altra strada. Quella di viale Mazzini, dove è stato nominato, tra polemiche e astensioni, vicedirettore di Mauro Mazza, il capo di RaiUno, finiano di ferro, quindi poco appoggiato dal Cavaliere. Meno male che al suo fianco è stato piazzato Paragone che sa come fare. Formidabile uno degli ultimi editoriali su 'Libero' (dove continuerà a scrivere). Titolo: 'Mi manda mammà', un'intemerata contro l'intervista troppo indipendente di Barbara Berlusconi a 'Vanity fair'.

Uomini su cui poter contare, dunque. Come Riccardo Berti, neo direttore di Gr Parlamento, ex consulente dell'ufficio stampa di Berlusconi, ex direttore della 'Nazione', di Isoradio e della filodiffusione, riuscito a diventare l'anchor man di 'Batti e ribatti', striscia dopo il Tg1 che era stata di Enzo Biagi, sfondo di interviste al premier torchiato con domande all'americana tipo: "A Natale cosa regalerà al cuoco Michele?". Ora Berti si è guadagnato anche la condirezione del Gr3, ottima postazione per sorvegliare l'enclave dell'opposizione.

Una bulimia impressionante quella di Berlusconi. Una militarizzazione esagerata perfino per alcuni del suo entourage. Si domandano: perché uno che ha continuato a vincere, si comporta come se stesse per perdere? La verità è che questa volta la partita è solo di Silvio. Non di una forza politica o di una coalizione. Non può sbagliare.

Così, vuole altre poltrone. Come la florida direzione della fiction Rai (300 milioni di euro di budget). E la sicurezza che La 7 di Telecom non dia troppo fastidio: alla faccenda lavora l'alleato Tarak Ben Ammar (mentre continua a girare la voce di un trasloco di Mimun). Purtroppo, c'è Sky che minaccia sfracelli. Ma per fortuna, sull'incresciosa vicenda di Papi&dintorni sempre più imbarazzante, la stampa cattolica si comporta giudiziosamente, quasi fosse sotto il suo controllo. 'L'Osservatore romano' ha taciuto. 'Avvenire' ha pubblicato tre pareri favorevoli a lui e solo uno contro. Fulgida fra tutte, Radio Maria: nella sua seguitissima rassegna stampa, il boss e fondatore padre Livio Fanzaga non ha toccato l'argomento. E dire che buona parte del pubblico di Radio Maria non è fatta solo di pie donne. Ma anche di carcerati e soprattutto di camionisti, gente che sa come va il mondo.

(12 agosto 2009)


1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

SARA' PER DAVVERO UN AUTUNNO MOLTO CALDO ED E' ALTISSIMO IL RISCHIO CHE IL CAVALIERE RIESCA PER DAVVERO A SOTTOMETTERE L'ITALIA.