mercoledì 15 settembre 2010

Una pantomima lunga decenni


FRANCESCO LA LICATA

C’è voluta l’irresponsabile mitragliata libica al peschereccio “Ariete” di Mazara del Vallo per riportare sulle prime pagine dei giornali una pantomima di politica internazionale che va avanti, irrisolta, da anni e risponde al nome di «guerra del pesce». La sventagliata di piombo ha avuto il merito di strappare all’oblio della routine ciò che continua ad accadere nell’indifferenza generale. Tutto il 2010 è stato caratterizzato dall’acuirsi dei «metodi sbrigativi» di libici e tunisini. Era toccato al peschereccio “Twenty three” «detenuto» a Sfax dal 19 luglio (23 giorni di prigionia e poi libertà in cambio di 15 mila euro di multa) e a giugno ad altre tre barche siciliane poi «liberate» per la coincidente presenza a Tripoli del nostro Presidente del Consiglio.

E’ un film che i siciliani dei Paesi costieri conoscono bene. Da decenni va in scena il copione che prevede l’abbordaggio dei nostri pescherecci accusati di essersi spinti fuori dalle acque internazionali e il successivo intervento governativo o regionale teso alla liberazione degli equipaggi. Liberazione per modo di dire, perché alla fine si è sempre trattato di decidere diplomaticamente il «prezzo giusto» da pagare ai governi nordafricani. In genere il tutto richiede qualcosa come tre settimane di carcere che, in quelle latitudini, non è esattamente una villeggiatura. Proprio per questo, dice Gaspare Marrone, comandante dell’”Ariete”, «non ci siamo fermati all’alt dei libici». Temeva, il capitano, oltre al sequestro del pescato, una lunga permanenza in carcere. E per questo si è beccato il piombo.

Eppure questa volta c’è qualcosa di diverso, al di là della stridente anomalia di vedersi sparare da una motovedetta «donata» dal governo italiano e frequentata da ufficiali della Guardia di Finanza, in borghese, per carità, così da non urtare la suscettibilità dei militari libici che forse in presenza di divise si sentirebbero in qualche modo «commissariati». Il qualcosa in più sta nelle «scuse» delle autorità africane che hanno giustificato l’intervento violento col sospetto che il peschereccio, premiato dall’Alto commissariato Onu per aver salvato centinaia di vite umane in quella fossa comune che è il Canale di Sicilia, potesse nascondere clandestini in fuga. Già, ai clandestini e a chi li aiuta si può sparare. Ecco il qualcosa in più: forse c’è un malinteso nell’accordo tra Italia e Libia che ha praticamente annullato, tra la legittima soddisfazione del Viminale, l’arrivo via mare dei disperati della terra. Le mitragliatrici non devono essere usate, né contro i clandestini né, tantomeno, contro i pescatori. Anche se si spingono qualche miglio più in là del limite stabilito a senso unico.

Nessun commento: