21 GENNAIO 2009
TEODORO CHIARELLI
Una pietra miliare nel settore dell’auto, in uno scenario in rapido cambiamento e nel bel mezzo di una crisi epocale per l’intero comparto. Sergio Marchionne usa parole «pesanti» per commentare l’accordo preliminare tra Fiat e Chrysler che prevede l’ingresso della casa torinese al 35% nel gruppo Usa senza esborsi. In effetti l’iniziativa delle due aziende ha interessanti potenzialità per entrambe.
Se l’intesa andrà in porto (e per la verità le incognite sono di non poco conto) Chrysler potrà assistere gli italiani nel lancio della 500 e del marchio Alfa Romeo negli Stati Uniti, mettendo probabilmente a disposizione gli stabilimenti produttivi. Fiat fornirà la sua rete di distribuzione in Europa, Brasile e Argentina e metterà a disposizione piattaforme produttive e motori nei segmenti delle vetture di piccola e media cilindrata dove il costruttore americano è praticamente assente. Inoltre ci sarà la condivisione di tecnologie, soprattutto per quanto riguarda i motori ecologici e a basso consumo nei quali il Lingotto è fra i leader mondiali.
Ma soprattutto, e questo sarebbe un risultato eccezionale per Sergio Marchionne e la sua squadra che in pochi anni hanno rivoltato la Fiat come un calzino rilanciandola fra i competitori a livello mondiale, il gruppo italiano offrirà a Chrysler servizi di management per realizzare negli Usa la stessa opera di risanamento e ristrutturazione realizzata in casa propria. Fiat aveva la reputazione di una qualità approssimativa, ora ha ricostruito l’immagine del proprio marchio tanto da far dire al Financial Times che è vicino agli standard di Volkswagen.
Giustamente proprio Ft nell’edizione on line di ieri ricordava che l’amministratore delegato del Lingotto aveva affermato che il mercato dell’auto assisterà a manovre di consolidamento e che a sopravvivere saranno solo alcuni grandi gruppi, chiosando alla fine che «ora Marchionne si sta adoperando affinché Fiat sia uno dei sopravvissuti».
Proprio questo è il punto nodale: l’accordo con Chrysler, se andrà a buon fine, è una grande opportunità per Fiat: è a costo zero e riapre al Lingotto il mercato Usa. Non solo, se Fiat vincesse la scommessa del risanamento della casa americana, cosa che non è riuscita alla blasonata Daimler, sarebbe un risultato clamoroso e si tradurrebbe in un affare colossale. Ma ciò nonostante non sarebbe sufficiente a risolvere gli attuali gravi problemi che affliggono il gruppo torinese. La crisi che attanaglia l’economia italiana e mondiale fa sì che le vendite di auto calino più velocemente dei costi, che il sistema finanziario sia in tilt e che l’azienda abbia un crescente fabbisogno di cassa. Sono problemi «a breve» che necessitano di soluzioni urgenti, quasi immediate. In poche parole: mezzi finanziari freschi.
Per carità: è un discorso che vale per l’intero settore industriale e non solo per l’auto e la Fiat. Ma qui sono in ballo grandi numeri e, soprattutto, una concorrenza che non va tanto per il sottile. In America l’amministrazione Bush ha già stanziato cifre imponenti per sostenere il settore. La Germania dopo aver foraggiato le banche è pronta a farsi carico dei problemi di Opel, Bmw, Daimler e Volkswagen. La Francia proprio ieri ha annunciato 6-7 miliardi di euro per Peugeot Citroën e Renault.
Giusto o sbagliato che sia, è chiaro che in questa maniera si generano distorsioni alla concorrenza. Bisognerebbe veramente trovare il modo di coordinare un piano di interventi di sostegno a livello per lo meno europeo. Non fare nulla, però, sarebbe la cosa peggiore. Ma purtroppo è esattamente quanto sta avvenendo in Italia. Nessuno chiede interventi a pioggia o, peggio, regalie alle imprese private. Sta al governo e al Parlamento mettere i paletti regolamentari e chiedere le lecite contropartite. Sarkozy, ad esempio, ha detto che darà gli aiuti all’auto ma che non si devono chiudere stabilimenti in Francia. Se non altro, una linea politica chiara.
Se l’intesa andrà in porto (e per la verità le incognite sono di non poco conto) Chrysler potrà assistere gli italiani nel lancio della 500 e del marchio Alfa Romeo negli Stati Uniti, mettendo probabilmente a disposizione gli stabilimenti produttivi. Fiat fornirà la sua rete di distribuzione in Europa, Brasile e Argentina e metterà a disposizione piattaforme produttive e motori nei segmenti delle vetture di piccola e media cilindrata dove il costruttore americano è praticamente assente. Inoltre ci sarà la condivisione di tecnologie, soprattutto per quanto riguarda i motori ecologici e a basso consumo nei quali il Lingotto è fra i leader mondiali.
Ma soprattutto, e questo sarebbe un risultato eccezionale per Sergio Marchionne e la sua squadra che in pochi anni hanno rivoltato la Fiat come un calzino rilanciandola fra i competitori a livello mondiale, il gruppo italiano offrirà a Chrysler servizi di management per realizzare negli Usa la stessa opera di risanamento e ristrutturazione realizzata in casa propria. Fiat aveva la reputazione di una qualità approssimativa, ora ha ricostruito l’immagine del proprio marchio tanto da far dire al Financial Times che è vicino agli standard di Volkswagen.
Giustamente proprio Ft nell’edizione on line di ieri ricordava che l’amministratore delegato del Lingotto aveva affermato che il mercato dell’auto assisterà a manovre di consolidamento e che a sopravvivere saranno solo alcuni grandi gruppi, chiosando alla fine che «ora Marchionne si sta adoperando affinché Fiat sia uno dei sopravvissuti».
Proprio questo è il punto nodale: l’accordo con Chrysler, se andrà a buon fine, è una grande opportunità per Fiat: è a costo zero e riapre al Lingotto il mercato Usa. Non solo, se Fiat vincesse la scommessa del risanamento della casa americana, cosa che non è riuscita alla blasonata Daimler, sarebbe un risultato clamoroso e si tradurrebbe in un affare colossale. Ma ciò nonostante non sarebbe sufficiente a risolvere gli attuali gravi problemi che affliggono il gruppo torinese. La crisi che attanaglia l’economia italiana e mondiale fa sì che le vendite di auto calino più velocemente dei costi, che il sistema finanziario sia in tilt e che l’azienda abbia un crescente fabbisogno di cassa. Sono problemi «a breve» che necessitano di soluzioni urgenti, quasi immediate. In poche parole: mezzi finanziari freschi.
Per carità: è un discorso che vale per l’intero settore industriale e non solo per l’auto e la Fiat. Ma qui sono in ballo grandi numeri e, soprattutto, una concorrenza che non va tanto per il sottile. In America l’amministrazione Bush ha già stanziato cifre imponenti per sostenere il settore. La Germania dopo aver foraggiato le banche è pronta a farsi carico dei problemi di Opel, Bmw, Daimler e Volkswagen. La Francia proprio ieri ha annunciato 6-7 miliardi di euro per Peugeot Citroën e Renault.
Giusto o sbagliato che sia, è chiaro che in questa maniera si generano distorsioni alla concorrenza. Bisognerebbe veramente trovare il modo di coordinare un piano di interventi di sostegno a livello per lo meno europeo. Non fare nulla, però, sarebbe la cosa peggiore. Ma purtroppo è esattamente quanto sta avvenendo in Italia. Nessuno chiede interventi a pioggia o, peggio, regalie alle imprese private. Sta al governo e al Parlamento mettere i paletti regolamentari e chiedere le lecite contropartite. Sarkozy, ad esempio, ha detto che darà gli aiuti all’auto ma che non si devono chiudere stabilimenti in Francia. Se non altro, una linea politica chiara.

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