lunedì 19 maggio 2008

I FATTI DI VILLABATE

Peter Gomez

Credo che in questi giorni sia stata fatta molta confusione tra fatti e notizie. I fatti sono fatti, ma non tutti i fatti sono notizie. Nei miei cassetti conservo documenti, verbali d'interrogatorio, appunti di colloqui con fonti confidenziali e persino interviste, che non ho mai pubblicato. E che probabilmente non pubblicherò mai.
Parte di quell'archivio, accumulato da me come da ogni buon giornalista in anni di lavoro, di tanto in tanto si rivela però utile. A distanza di tempo dalla scoperta di un primo elemento di per sé ambiguo, apparentemente incredibile, o da solo non interessante o non verificabile, capita a volte che se ne trovi un altro che fa vedere le cose in maniera diversa. E allora ciò che inizialmente era (a mio sindacabile avviso) non pubblicabile, all'improvviso lo diventa. Nasce (anche così) una notizia.
Dicevamo che i fatti apparentemente incredibili e non riscontrati non sono notizie. È quindi scorretto deontologicamente citarli sui giornali scrivendo subito dopo, «ma io non ci credo». E soprattutto non si deve farlo se la verifica o il tentativo di verifica è semplice: se li si cita, senza alzare il telefono o perderci qualche ora o giorno di lavoro, si mette semplicemente in circolazione un veleno, non una notizia.
Uno dirà: ma allora perché avete scritto di Schifani, visto che i suoi rapporti con personaggi poi condannati per mafia, non hanno nemmeno portato all'apertura di un'inchiesta giudiziaria nei suoi confronti? Semplice: perché, nonostante che su parte di quelle storie Schifani sia stato ascoltato come testimone già nel '99, l'intera vicenda non è affatto chiara. E proprio la mancanza di chiarezza fa diventare tutta la questione una notizia ancora più grossa: Schifani, lo ricordo, non è un privato cittadino, ma è un senatore e ora è addirittura la seconda carica della Repubblica.
Lasciate perdere la Sicula Brokers, la società creata nel '79 che tra suoi soci oltre a Schifani aveva anche altri personaggi poi condannati per mafia, e concentratevi su Villabate, il paese del quale Nino Mandalà (uno degli ex soci di Schifani) diventa reggente intorno al 1994 dopo una sanguinosa guerra tra cosche.
Qui, nel 1995, Schifani ottiene una consulenza in materia amministrativo-urbanistica. Quella consulenza, visto il contesto, è già di per se interessante dal punto di vista giornalistico. Ma lo diviene ancor di più se si considera che intorno alla sua genesi esistono almeno quattro versioni.
La prima è quella di Mandalà che intercettato dai carabinieri confida nel 1998 a un altro uomo d'onore di avergliela fatta ottenere lui, su richiesta del senatore Enrico La Loggia.
La seconda è quella di La Loggia che, sentito come teste, dice sostanzialmente: è vero la consulenza a Schifani l'ho fatta avere io, ma non ricordo se ciò è avvenuto in seguito a una mia richiesta presentata al sindaco di Villabate (nipote di Mandalà ndr) o se io ho richiesto l'intervento di Gianfranco Micciché, allora coordinatore di Forza Italia. Il problema, secondo La Loggia, era quello di risarcire Schifani dei mancati guadagni causati dal tempo perso nell'attività politica, visto che sarà eletto solo nel 1996.
La terza versione è quella di Schifani che invece dice di aver ottenuto il lavoro da solo, semplicemente proponendosi al sindaco nipote del boss.
Poi c'è la quarta versione. Recentissima: addirittura del 2006. Quella del pentito Francesco Campanella, l'ex segretario dei giovani dell'Udeur che falsificò la carta d'identità utilizza da Bernardo Provenzano per andare in Francia a farsi operare. Campanella dice: ha ragione Mandalà, la consulenza a Schifani è arrivata grazie a lui. E poi ci mette un carico da novanta: scopo dell'intervento di Schifani (e di La Loggia) era quello di disegnare assieme a un progettista loro amico un piano regolatore di Villabate che assecondasse i voleri del boss Mandalà. Secondo Campanella, anzi, proprio Mandalà (che potrebbe benissimo aver mentito) sosteneva che Schifani e La Loggia si erano accordati perché parte della parcella destinata al progettista fosse girata a loro.
A questo punto dovrebbe essere chiaro per tutti che questa è una storia da raccontare sui giornali. E anche da approfondire, visto che molti dei personaggi coinvolti non sono ancora stati intervistati, e non tutti i documenti amministrativo-urbanistici dell'epoca sono stati esaminati. In un uno degli elementi del titolo (titolo, occhiello e sommario) un quotidiano, per necessità di sintesi, parlerebbe probabilmente di «rapporti di Schifani con il boss», o forse di «amicizie e relazioni pericolose», anche perché Mandalà ha sostenuto in aula che Schifani e La Loggia parteciparono al suo matrimonio. La notizia insomma è diventata tale grazie al lavoro, all'esperienza che ti ha permesso di valutare il contesto, e alla ricerca. Non è nata da una soffiata anonima (che pure può benissimo essere uno spunto), mandata in stampa senza alcuna verifica.
Detto questo quello che sta accadendo oggi a Marco credo che sia per tutti semplice: «Quando non si può attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore», diceva Paul Valery. Ma noi, finché lo si potrà fare, cercheremo di continuare a ragionare.

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