MARIO DEAGLIO
Rapido deterioramento», «diffusione del contagio» e «ritardo della politica»: non ha usato mezzi termini Pier Carlo Padoan - vice-segretario dell’Ocse e terzo italiano, insieme con Mario Draghi e Mario Monti, in prima linea in questo periodo sulla scena dell’economia globale - nel presentare le previsioni semestrali sull’andamento dell’economia mondiale e, in particolare, di quella dei Paesi ricchi, nei prossimi due anni.
Fino all’estate si discuteva della velocità della ripresa, ora, avverte l’Ocse (forse il più credibile dei grandi enti previsivi internazionali) si discute dell’esistenza della ripresa. Non si è trattato di un semplice aggiustamento, di una lieve correzione ma quasi di un’inversione di rotta. Se fino a due-tre mesi fa si pensava che la navicella dell’economia mondiale stesse riprendendo il largo, ora si può dire che passerà molto rasente agli scogli e che, se non si fa molta attenzione, potrebbe anche finirci sopra. Nel peggiore dei tre casi illustrati da Padoan, non si tratterebbe di un rallentamento bensì di una caduta.
Una caduta destinata a prolungarsi per i prossimi due anni non soltanto in Italia (in ogni caso uno dei Paesi meno dinamici tra quelli avanzati) ma anche, sia pure in misura minore, nel resto della zona euro, negli Stati Uniti e in Giappone.
Le grandi economie emergenti, a cominciare dalla Cina, non sfuggirebbero a un forte rallentamento del loro tasso di crescita. L’espansione del commercio mondiale, simbolo dell’integrazione economica del pianeta, appare comunque destinata a ridursi a poca cosa. Nella migliore delle ipotesi, il mondo, secondo l’Ocse, se la caverà per il rotto della cuffia. A queste prospettive si aggiungono quelle - per la verità alquanto fantascientifiche, che possono determinare allarmismi ingiustificati ma delle quali sarebbe errato non tenere conto - avanzate da Moody’s, una delle maggiori agenzie di rating, circa la possibilità di insolvenze a catena di Paesi europei.
Perché questo pessimismo? Perché i guai della finanza si stanno abbattendo come un macigno sull’economia reale sia per il bavaglio imposto alle banche, soprattutto a quelle grandi, costrette a dotarsi di un capitale proprio forse eccessivo sia per il «tetto» al debito pubblico (e quindi alla spesa pubblica) imposto agli Stati Uniti da un partito repubblicano miope che, avendo il controllo di una delle Camere, blocca qualsiasi azione di effettivo stimolo all’economia.
A far sembrare molto distante ogni prospettiva di vera ripresa contribuisce il numero, oggi anormalmente elevato, dei disoccupati dei Paesi ricchi. Esso pare destinato a rimanere ancorato attorno ai 45 milioni e reca con sé pesanti incognite politiche, si può senz’altro aggiungere, che un simile accumulo di scontentezza può provocare.
C’è un marcato contrasto tra simili prospettive e l’andamento, apparentemente euforico, delle Borse mondiali che nel pomeriggio e nella serata di ieri hanno messo a segno miglioramenti del 3-4 per cento. In realtà le Borse mondiali hanno semplicemente cancellato qualche giorno di caduta in base alla notizia comparsa domenica su «La Stampa» - di un possibile, massiccio aiuto internazionale all’Italia, tale da coprire il fabbisogno finanziario del Paese per circa un anno in cambio dell’attuazione di un vasto programma di riforme. Al di là delle smentite ufficiali, si tratta di un progetto ragionevole, sia per l’Italia sia per la salute dei mercati mondiali, e non ci si può non augurare che abbia seguito, indipendentemente dalle modalità tecniche.
Perché si realizzi la prospettiva di un’economia mondiale che riesce a non naufragare contro scogli particolarmente aguzzi sono necessari di fatto tre requisiti: il consenso tedesco, il consenso americano e il consenso del Parlamento italiano. Il consenso tedesco è indispensabile perché il «fondo salvastati» faticosamente creato tra i Paesi europei venga subito indirizzato a un aiuto di liquidità all’Italia, mettendo l’Italia stessa e l’intera economia finanziaria internazionale al riparo dall’attuale, crescente instabilità. Il consenso americano è a sua volta indispensabile perché il Fondo Monetario Internazionale possa aggiungere la sua «potenza di fuoco», ossia le sue risorse finanziarie, all’operazione riguardante l’Italia ed eventualmente altri Paesi. Per questa decisione, occorre infatti il voto favorevole di Paesi che complessivamente detengano l’85 per cento delle quote del Fondo stesso e gli Stati Uniti possiedono il 17 per cento delle quote e quindi dispongono di un diritto di veto.
A queste due condizioni necessarie si aggiunge una condizione sufficiente, ossia che l’Italia si proponga, con la dovuta determinazione e la necessaria credibilità, di affrontare provvedimenti duri di politica economica che annullino già dal prossimo anno il deficit pubblico. In maniera molto tangibile, anche se indiretta, quindi, i problemi del mondo faranno tra breve il loro ingresso nelle aule di Palazzo Madama e di Montecitorio. In un modo che tutti avremmo preferito evitare, per un breve periodo Roma torna a essere il centro del mondo.