MARIO DEAGLIO
La telefonata del cancelliere tedesco Angela Merkel al primo ministro italiano Silvio Berlusconi, apparentemente rassicurante e di appoggio alla manovra finanziaria che si appresta ad essere esaminata dal Parlamento, costituisce in realtà un duro monito - mentre è riunito un vertice europeo di crisi - a procedere speditamente sulla via del risanamento finanziario, un invito pressante a resistere alle forti tentazioni, emerse in questi giorni, di un annacquamento della manovra appena presentata.
Ed è un segnale di quanto profonda sia la crisi attuale e di quanto limitate siano le opzioni di un’Italia almeno parzialmente sotto tutela europea.
Il limite delle opzioni italiane deriva dal fatto che l’Italia si trova in una situazione che qualcuno ha chiamato «tempesta perfetta» e che si verifica quando tutte le dimensioni di una crisi si influenzano e si aggravano a vicenda. La «tempesta perfetta» che si è scatenata in questi giorni sull’Italia è a un tempo finanziaria, economica e politica. È illusorio pensare di «sistemare» una di queste dimensioni senza sistemare anche le altre; e senza tener conto che, in realtà, l’attacco speculativo che coinvolge il debito pubblico italiano e
Tra moneta americana e moneta europea è in atto una sorta di duello tra due debolezze: gli americani devono fare i conti con un rilancio non riuscito della loro economia, con un «tetto» del debito pubblico di fatto già sfondato, senza il consenso parlamentare, con qualche preoccupante segnale di inflazione incipiente; gli europei con i conti pubblici pericolanti di molti Paesi dell’euro. L’attacco al debito pubblico italiano - oggi tecnicamente non più debole di ieri - potrebbe essere una sorta di diversivo per cercar di evitare, o quanto meno di procrastinare, una diffusa perdita di fiducia nel dollaro che rischia di lasciarsi sfuggire la sua posizione di punto centrale del sistema valutario mondiale.
Per l’Italia, la «tempesta perfetta» comporta pericoli molto gravi. Significa che tutti i nodi vengono al pettine nello stesso momento: la manovra finanziaria non può essere disgiunta da un nuovo equilibrio politico (di questo si è già avuto qualche sentore nel mutare dei rapporti tra Lega Nord e Popolo della Libertà, con una maggiore forza dialettica della prima) e probabilmente da un nuovo patto sociale, il che richiede consensi più vasti di quelli dell’aritmetica parlamentare. Perché questi consensi si materializzino è necessario che il tutto si collochi nell’ottica di una fondata speranza di ripresa quanto meno nel medio periodo.
La manovra finanziaria contiene al suo interno numerosi elementi di elasticità, forse già pensati per poter essere anticipati in una situazione di emergenza: lo slittamento in avanti di quanto è previsto dalla manovra per il 2013 e per il 2014 rappresenterebbe un «indurimento» apprezzato dai mercati. Occorrerebbe però anche l’introduzione di alcuni elementi non presenti nel progetto attuale, che potrebbero attenuare gli eccessi dell’attuale compressione della spesa pubblica, chiaramente insostenibile nella sua forma attuale, da parte della maggioranza degli enti locali: un programma di vendita, almeno parziale, di poste e ferrovie (due imprese pubbliche di grandi dimensioni che potrebbero avere motivi di interesse per i mercati), una vendita di oro che, per quanto relativamente modesta dati i vincoli internazionali che l’Italia deve rispettare, darebbe un’idea del carattere strutturale dei rimedi che si stanno approntando, e un inasprimento delle misure per la compressione del costo della politica. Naturalmente si dovrebbero scordare provvedimenti volti a sanare situazioni particolari come quelli che possono coinvolgere
Le grandi linee di un nuovo patto sociale dovrebbero essere rappresentate da sacrifici paralleli per «capitale» e «lavoro». I sacrifici per il «capitale» sarebbero rappresentati da una qualche forma di imposta patrimoniale. I sacrifici per il «lavoro» dall’attenuazione di alcune conquiste del passato nell’ambito dei contratti nazionali; la falsariga dovrebbe essere rappresentata dai grandi accordi sindacali tedeschi dell’anno scorso che hanno fortemente contribuito al robusto rilancio dell’economia della Germania. Naturalmente i dettagli sarebbero tutti da studiare e toccherebbe a chi si trova al governo gestire questo parallelismo con la necessaria credibilità e decisione. Tutto ciò sarebbe probabilmente sufficiente a «mettere in sicurezza» il sistema italiano e a prepararlo per una nuova fase espansiva dell’economia europea, se questa ci sarà davvero, oppure a conferirgli particolare solidità se questa fase espansiva non dovesse materializzarsi.
La logica di un simile insieme coordinato di provvedimenti è che questo Paese si merita qualcosa di meglio del piccolo cabotaggio che ha caratterizzato la sua politica e la sua economia negli ultimi anni, qualcosa di meglio del dissolversi della sua coscienza pubblica in uno scetticismo privo di qualsiasi moralità, purtroppo evidente nella successione di scandali pubblici e privati che l’hanno caratterizzato di recente. A centocinquant’anni dalla formazione dello Stato italiano, l’Italia ha ancora molte cose da dire sull’orizzonte mondiale e non dovrebbe aver bisogno di una telefonata del Cancelliere tedesco per sapere che cosa deve fare.
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