di Giulietto Chiesa
Eugenio Scalfari dice che il collasso definitivo della democrazia repubblicana e costituzionale e della stessa unità del Paese potrebbe prodursi per tre fattori convergenti: l’arrendevolezza del presidente della Repubblica, l’irrilevanza della sinistra, e l’indifferenza dell’opinione pubblica democratica.
Poi si corregge e salva Napolitano. Io non lo salverei, ma è quello che, ormai, conta meno. E su cui, comunque, contare non è opportuno. E aggiungerei, dalla parte che arreca l’offesa, il micidiale patto tra Berlusconi e la Lega, l’uno che guarda le spalle all’altro. E che vogliono andare fino in fondo. E la insulsa e miope realpolitik neocentrista di De Benedetti, che fotografa lo stato penoso della cosiddetta borghesia illuminata italiana. Credo che si debba essere realistici all’estremo.
Vincere questa partita mortale, con questo tipo di protagonisti, sarà oltremodo difficile.
Sono passati quattro anni dal referendum del 2006. Allora l’opinione pubblica democratica sconfisse la devolution anche senza e contro i partiti della sinistra (tutti). Io penso che quell’opinione ancora esista e regga. E sia la maggioranza del Paese. Cioè affermo che la narrazione berlusconiana dell’Italia è falsa. Ma da allora il disfacimento e l’irrilevanza della sinistra si sono aggravati e approfonditi.
Si devono dunque individuare le forme della battaglia in queste condizioni. Che impongono due compiti che hanno tempi diversi. Uno è l’urgenza di costruire una trincea comune. Di costruirla a prescindere dalle diversità strategiche, tattiche e personali. Individuando nemici e amici. Chi cede sul terreno delle cosiddette “riforme condivise” deve essere considerato l’avversario. Non per niente Berlusconi e Calderoli hanno applaudito Napolitano alla Scala. Il Pd si appresta a negoziare. Non tutto. Quelli che non negoziano sono amici. Gli altri stanno col nemico.
Una parte dell’opinione pubblica democratica sta a guardare e non capisce. Bisogna aiutarla a capire. Ciascuno faccia la sua parte, ma noi siamo fuori dal Parlamento e possiamo solo muovere quelle parti dell’opinione pubblica che riusciamo a toccare.
Torno a chiedere, a tutte le componenti dell’intellettualità, del sindacato, del giornalismo e dello spettacolo, di riunirsi attorno a un tavolo per decidere se dotarsi, da subito, di uno strumento per parlare con l’opinione pubblica democratica e per mobilitarla. Rai per una notte deve diventare un appuntamento per tutti i giorni. Anche fosse per un’ora al giorno. Questo è l’unico passo politico realizzabile, possibile. Forse perfino decisivo. Non affrontarlo significa assumersi una responsabilità decisiva per le sorti dello scontro.
Chiedo alla Federazione Nazionale della Stampa di chiamare a questa raccolta. Altre convergenze non sono praticabili in questa fase. Ed è inutile, a mio avviso, proporre cartelli di vecchi partiti, fuori e dentro il Parlamento. Non si formeranno e perderemo tempo.
La seconda cosa che occorre fare è renderci conto che la nostra irrilevanza complessiva deriva dalla incomprensione della crisi generale del mondo e dalla impossibilità di rimettere in moto lo sviluppo. È un tempo più lungo, ma sarà tanto più lungo quanto più tardi cominceremo. Riguarda i contenuti di un’alternativa di sistema.
Alleanze politiche non saranno costruibili senza trovare dei contenuti comuni. I contenuti comuni si trovano se si organizza una ricerca comune e non si definisce un preciso ordine del giorno per avviarla.
Ci sono due giornali indipendenti che coprono due aree decisive e attive dell’opinione pubblica democratica e possono, senza suscitare sospetti, farsi promotori di una raccolta di forze capaci di affrontare il primo e il secondo compito: sono il Manifesto e Il Fatto.
Propongo che se ne facciano carico.