domenica 31 agosto 2008

RARE: Young Shostakovich Playing end of op.35 (1934?)

Pianist: Dmitri Shostakovich (1906-1975)
Trumpeter: Leonid Yuriev (1913-1971)
Conductor: Looks very much like Nikolai Golovanov (1891-1953)
Orchestra: Probably the "Old" Moscow Philharmonic Venue: Moscow Conservatory "Great Hall"
Date: Some time after 1933, October 15th, and, most likely, before the "official ban" of early 1936. So, 1934-1935.
Piano: Bechstein, E270. Year Built: ?

Progetto di formazione-lavoro "Speranza Verde"


PROGETTO DI FORMAZIONE-LAVORO “SPERANZA VERDE
ULTERIORI CONSIDERAZIONI E VALUTAZIONI
di Luigi Morsello *

Il progetto in oggetto non è stato finanziato.

Il Consiglio di Amministrazione della Cassa delle Ammende presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha deliberato in tal senso con la seguente motivazione:

“La decisione assunta scaturisce dalla considerazione che la più gran parte delle ingenti risorse di cui si chiede il finanziamento confluiscono in attività progettuali che non rientrano nelle finalità dell'art. 129 del D.P.R. 230/2000”.

Va detto, per sgomberare il campo da ogni equivoco, che la decisione è, in parte, assolutamente corretta, effettivamente non tutte le opere previste sono finanziabili con i fondi della Cassa delle Ammende.

Per capire perché, nonostante l’Autore avesse colto perfettamente questa realtà, tali opere siano state ugualmente previste ed inserite (oggi non più), facendo lievitare i costi in modo esponenziale, va fatta un po’ la storia della progettazione, iniziata nell’autunno 2004, subito dopo il varo del Regolamento, e della relativa circolare dipartimentale, circa le modalità di finanziamento dei progetti conformi alle finalità di cui all’art. 129 del d.P.R. n. 200/2000.

Va detto, in via preliminare, che in Lombardia vi sono 13 istituti di moderna costruzione, con ampi spazi da destinare al verde. Dopo attenta valutazione ne furono individuati sette, che poi al termine della lunghissima elaborazione progettuale si ridussero a tre.

Infatti, dei sette direttori convocati simultaneamente per discutere sulla base di progetti già approntati, solo tre diedero la loro adesione:

1) Casa Circondariale Bergamo;
2) Casa Circondariale Monza;
3) Casa Circondariale Vigevano
.


Si rendeva, pertanto, necessario verificare le effettive esigenze di ognuno dei tre istituti, mediante un sopralluogo sul posto.

I tre direttori rappresentarono esigenze e necessità di per sé estranee alla possibilità di finanziamento, che tuttavia si decideva di accogliere in quanto funzionali ai lavori della formazione pratica ed alla successiva utilizzazione del relativo risultato, con particolare riferimento ai campi sportivi interni per i detenuti.

Fu evidenziata anche l’opportunità di realizzare i campi sportivi in erba sintetica. Tale ipotesi è stata abbandonata perché molto costosa, per cui si è ripiegato sul c.d. “tappeto erboso pronto-effetto”, usato per realizzare prati di facile, rapida e durevole realizzazione (vedi il campo di calcio S. Siro di Milano).

Si trattava del primo progetto di questo tipo, mancando precedenti si rendeva necessario costruire il progetto pezzo dietro pezzo.

La filosofia dei corsi di formazione professionale è basata sul principio concettuale del “learning by doing”, letteralmente “imparare facendo”, e cioè “Sollecitazione ad apprendere attraverso l'esperienza, partecipando attivamente durante la fruizione dei corsi.

“L’approccio “Learning by doing” prevede un’ inversione metodologica e concettuale del modello formativo classico secondo il quale la formazione precede l’ingresso nell’esperienza lavorativa vera e propria. Fondamentale è infatti la possibilità di proporre una prima opportunità lavorativa contestualmente all’ accompagnamento formativo secondo una circolarità tra azione e retroazione, fase produttiva e fase formativa, apprendimento pratico e apprendimento teorico, permanente. In tal modo l’attività diventa riscontro effettivo della formazione e la formazione riscontro dell’ azione, lungo un processo che non considera separati i due momenti, e che, oltretutto offre il vantaggio, tutt’altro che trascurabile, di una verifica nei fatti, nel “vincolo produttivo”, della complessiva proposta formativa.

L’ apprendere dall’ esperienza sta alla base di gran parte delle proposte formative del centro studi C.A.O.S. per costruire contesti di formazione permanente capaci di integrare: la formazione tecnica / aggiornamento professionale rivolta a diversi e innovativi profili professionali; la formazione funzionale per il corretto svolgimento di funzioni che non sono direttamente collegate alle proprie specializzazioni (professionali o di ruolo); la formazione metodologica riferita alle competenze relazionali proprie del “lavoro di gruppo cooperativistico”; in una più ampia formazione alla complessità che rappresenta una sintesi tra metodi già sperimentati e “sicuri” e ricerca di nuove sperimentazioni.

Questa ottica permette il generarsi di una riscoperta della soggettività e di un protagonismo plurimo (delle identità professionali, personali e sociali) tanto più reale ed efficace e verificabile, nella misura in cui le proposte formative integrano i contributi metodologici - formativi provenienti dal dato esperienziale.” (Centro Studi C.A.O.S.).

“LEARNING BY DOING (AND BY THINKING, AND BY LOVING - Umberto Tenuta (Educazione & Scuola, 1.8.2008).

Learning by doing, imparare facendo, imparare attraverso il fare.

Sembrava, e sembra questa, la migliore strategia per imparare, ove l’imparare non sia solo il memorizzare, ma anche e soprattutto il comprendere.

Per comprendere e memorizzare, sembra che la strategia migliore sia l’apprendere attraverso il fare, attraverso l’operare, attraverso le azioni.
(1).

Learning by doing è stata l’insegna dell’Attivismo pedagogico ed è sostanzialmente l’insegna della didattica più aggiornata, ma con alcune precisazioni o aggiunte.

Innanzitutto, non si apprende attraverso il mero fare, la semplice attività non accompagnata dal pensiero, dalla riflessione.

Attraverso le semplici azioni si memorizzano azioni meccaniche.

Ma per comprendere deve intervenire la riflessione, il pensiero.

Le azioni debbono essere interiorizzate, eseguite mentalmente.

Occorre riflettere, pensare, acquisire consapevolezza delle azioni.

All’azione si deve accompagnare il pensiero: quindi learning by doing, ma anche learning by thinking.

Operare pensando, riflettendo, discutendo con se stessi e con gli altri (cooperative learning).

Forse questo viene sottointeso, quando si afferma il principio del learning by doing, ma è opportuno esplicitarlo, per evitare equivoci, come avviene quando si parla di ricerchismo ovvero di una ricerca fondata sul mero operare, agire, fare.

Oggi si insiste molto, ed opportunamente, sulla metacognizione: non basta agire, manipolare, operare, fare; è necessario riflettere, pensare.

E, tuttavia, fare e pensare non si può senza essere motivati.(2).

Non v'è azione, ma soprattutto non v'è pensiero, senza motivazioni, interessi, passioni.

Oggi si parla di intelligenza affettiva.

L’intelligenza, il pensiero, la stessa azione sono sempre sostenute dall’affettività: learning by loving!

Perché gli alunni operino e pensino, debbono essere motivati: non si impara senza motivazioni, non si comprende senza motivazioni, non si ricorda senza motivazioni.

La scuola deve essere il luogo dell’amore del sapere (philosophia = amore del sapere). Anche "Studium" in latino significa "passione, desiderio, impulso interiore" e quindi studente è "colui che ama il sapere".

La scuola è il luogo della gioia di imparare pensando e facendo.

Se faccio e se penso, capisco e ricordo. Ma non posso fare e pensare senza amare quello che faccio e penso.

Learning by doing, by thinking and by loving!

Vogliamo ricordarcene, ogni giorno, docenti e genitori?

Note

1 PIAGET J., Avviamento al calcolo, la Nuova Italia, Firenze, 1956, p. 31.

2 Bastien H., Psicologia dell’apprendimento, La Scuola, Brescia, 1954, p. 102.”

Le carceri nuove sono dotate di aule scolastiche ed ambienti polivalenti a josa, ed anche di superfici sterrate da impiantare a verde, all’interno ed all’esterno della cerchia muraria (muro di cinta), con ampi piazzali posti all’ingresso di ogni carcere.

Un corso di formazione professionale basato sulla disciplina di impianto e manutenzione ordinaria di zone verdi, con piantumazioni, formazione di tappeti erbosi, siepi ed altro sembrava il più idoneo ad essere organizzato e gestito in un istituto penitenziario.

Infatti, dall’organizzazione di simili corsi professionali si ottiene un duplice risultato:

1) la formazione di operai specializzati con possibilità di ampi sbocchi lavorativi, almeno nella regione Lombardia ed in previsione dell’EXPO 2015 (è prevista l’assunzione di 80.000 unità ed il ricorso a singoli per la manutenzione delle aiuole);

2) la sistemazione di ogni superficie sterrata, interna ed esterna al muro di conta, ivi compresi un campo sportivo regolamentare (interno al muro di cinta) ed un campo di calcetto posto a ridosso delle caserme agenti.

La presenza della scuola di formazione interna al carcere garantisce la tenuta delle zone a verde, notoriamente facilmente deperibili e deteriorabili, garantendo anche un aspetto dignitoso alla struttura penitenziaria, soprattutto nei confronti della comunità esterna, ma anche a beneficio di quanti, detenuti e personale, vivono e lavorano nell’ambito del carcere.

Insomma, le esercitazioni pratiche, di per sé inutilizzabili dopo la chiusura di un corso professionale di questo tipo, in carcere danno un prodotto permanente: il verde impiantato o reimpiantato e tenuto a regola d’arte.

Ogni corso professionale prevede la partecipazione di 15 detenuti compensati a norma di legge, oltre la possibilità di farvi accedere altri detenuti ‘volontari’, da compensare, eventualmente, con fondi specifici delle attività scolastiche tipiche.

Dei 15 detenuti da ammettere al corso di formazione 10 sono compensati dalla ditta di Florovivaismo prescelta, mentre gli altri 5 con fondi del finanziamento, specificamente richiesti.

L’utilità del progetto è ‘in re ipsa’, non abbisogna di altri chiarimenti.

Premesso che la relazione al progetto a suo tempo presentata, unitamente alla domanda di finanziamento, per la parte tecnico-teorica non ha bisogno di variazioni, in quanto alcune delle previsioni in essa contenute (tecnico per l’ingegneria del verde), resteranno solamente teoriche.

La loro presenza è più dettata da necessità di completezza degli specialisti che hanno partecipato alla stesura del progetto, coordinato dall’Autore, che da speranza di applicazione pratica.

Prima di passare alla descrizione della “cura dimagrante” alla quale il progetto è stato sottoposto, preme osservare che il progetto finale formulata, la relativa domanda di finanziamento e relazione tecnica, adesso sono in linea con i dettami di cui all’art. 129 del d.P.R. n. 230/2000.

L’Autore a suo tempo ha collaborato con la Rivista di informazione giuridica “Diritto & Giustizi@”, sia nella versione quotidiana online che nella versione cartacea settimanale, diretta dal dr. Roberto Ormanni fino al 31.12.2006.

Nell’ambito di questa collaborazione, che ha fruttato n. 67 articoli sulle pagine online quotidiane e n. 8 articoli sul settimanale cartaceo, sono compresi n. 7 articoli sull’argomento Cassa Ammende, domanda di finanziamento e proposta concreta di finanziamento.

Per dare una prima dimostrazione dei lavori, e relativi finanziamenti, stralciati, è sufficiente mettere a confronto il precedente e l’attuale quadro economico.

PRECEDENTE CONTO ECONOMICO – RIEPILOGO

A) Gli istituti interessati dagli interventi sono tre (Monza, Vigevano, Bergamo). L’importo degli interventi è (Monza €. 3.603.088,00 + Vigevano €. 4.109.946,00 + Bergamo €. 1.642.905,00)= € 9.355.939,00
N.B.: le somme relative a: tribune metalliche, impianti di illuminazione e video-sorveglianza, fornitura ed installazione dei garitta di sorveglianza aerea saranno stralciate in sede di affidamento del corso prativo di formazione poste a disposizione del gestore, per gli incombenti di sua competenza
€. 9.355.939,00

B) Il costo delle spese della Scuola di Formazione Professionale “Fondazione Minoprio”), esente I.V.A. ai sensi dell’art. 10, ammonta ad
€. 540.630,00

C) Le spese di pubblicizzazione del progetto ammontano a
€. 51.430,00

D) Il costo delle spese generali, come da dettaglio agli atti, per due anni di gestione ammontano a
€. 141.750,00

E) Il compenso per i n. 15 detenuti-corsisti supplementari in ragione di cinque per ogni istituto, a carico della Cassa delle Ammende

€. 17.903,00

F) Il compenso relativo alla figura del consulente tecnico per coordinamento e monitoraggio andamento/realizzazione/avanzamento del progetto teorico-pratico ammonta a
€. 155.520,00

G) Il compenso per il responsabile della gestione dell’azione e della gestione finanziaria del progetto, che avrà anche il compito di rappresentare l’Amministrazione nella valutazione mensile e bimestrale dei risultati, individuato in ragione del 5% (cinquepercento) dell’importo del progetto
€. 513.158,00

Il costo del progetto ammonta a
€. 10.776.330,00
I.V.A. 20% (A+C+D+E+F+G)
€. 2.047.140,00

Totale costo lordo del progetto
€. 12.823.470,00

ATTUALE CONTO ECONOMICO – RIEPILOGO

A) Gli istituti interessati dagli interventi sono tre (Monza, Vigevano, Bergamo). L’importo degli interventi è (Monza €. 1.800.929,55 + Vigevano €. 1.914.370,96 + Bergamo €. 1.291.805,76)=
€. 5.007.106,27

B) Il costo delle spese della Scuola di Formazione Professionale “Fondazione Minoprio”), esente I.V.A. ai sensi dell’art. 10,
€. 540.630,00


C) Il costo delle spese generali, come da dettaglio agli atti, per due anni di gestione ammontano a
€. 141.750,00

D) Il compenso per i n. 15 detenuti-corsisti supplementari in ragione di cinque per ogni istituto, a carico della Cassa delle Ammende
€. 17.903,00


E) Il compenso per il responsabile della gestione dell’azione e della gestione finanziaria del progetto, che avrà anche il compito di rappresentare l’Amministrazione nella valutazione mensile e bimestrale dei risultati, individuato in ragione del 5% (cinquepercento) dell’importo del progetto
€. 285.369,46

Il costo del progetto ammonta a
€. 5.992.758,73
I.V.A. 20% (A+C+D+E)
€. 1.090.425,75


Totale costo lordo del progetto
€. 7.083.184,48

Sono stati stralciati lavori per € 5.740.288,00 dei quali € 351.100,00 per la Casa Circondariale di Bergamo, € 1.802.159,00 per la Casa Circondariale di Monza, € 2.195.377,00 per la Casa Circondariale di Vigevano, € 51.430,00 per spese di pubblicizzazione, € 155.520,00 per il consulente tecnico (ritenuto non più necessario) a disposizione del gestore e, per effetto degli stralci suddetti, diminuisce anche il compenso del gestore, diminuzione pari ad € 227.189.00 (gli importi sono stati arrotondati).

E' adesso possibile affermare che il progetto coglie in pieno le finalità previste dall’art. 129 del d.P.R. 30 giugno 200 n. 230 per l’impiego dei fondi a disposizione della Cassa delle Ammende.

Infatti, i corsi di formazione professionale sono ispirati al principio, lo si ripete, del “Learning by doing”, in cui il risultato delle esercitazioni pratiche non sarà un fare e disfare ma un fare opere di definitiva sistemazione delle aree verdi dei tre istituti.

Naturalmente, questo progetto può essere tranquillamente trasferito in qualunque istituto penitenziaria sia dotato di zona verde da risistemare o da sistemare per la prima volta.

In questo modo non solo si formano detenuti in un settore florido, qual’è quello della floricoltura, ma si fanno diventare gli istituti penitenziari meritevoli di apprezzamento da parte della pubblica opinione.

Come dire che è la prima impressione quella che conta, per cui l’ingresso di casa deve essere particolarmente curato.

Resta il rammarico di aver dovuto accettare che gli istituti penitenziari da coinvolgere, inizialmente nove, siano stati prima ridotti a sette e adesso a tre.

Questo rammarico è però mitigato dalla consapevolezza che il progetto avrà successo, che potrà fare da progetto-pilota, che nei tre istituti finora previsti la formazione professionale potrà avere ulteriori corsi biennali sulla base dell’esistente, e, quindi, con costi molto più contenuti.

*Ispettore Generale dell'Amministrazione Penitenziaria

sabato 30 agosto 2008

Eboli infestata dal colombi selvatici


EBOLI INFESTATA DAI COLOMBI SELVATICI
di Luigi Morsello


Qualche giorno addietro, come faccio spesso, sono andato a visitare il Museo del Fonografo del prof. Vincenzo Mottola, che l’interessato ha allocato in un locale a piano terreno, adiacente a dove io abito.

Naturalmente, faceva caldo, per cui l’amico Vincenzo Mottola mi suggeriva di andare a prendere ‘qualcosa di fresco’ al bar, invito da me prontamente accettato.
Siamo andati ad un bar di viale Amendola, del quale ovviamente ometto il nome, ci siamo accomodati in una situazione apparentemente di tutto conforto, essendo entrambi settuagenari abbiamo ordinato due succhi di frutta freschi ‘a piacere’, intrattenendoci in conversazioni amichevoli.

Dopo un po’ sopravvenne il dr. Luigi “Gigi” Cardullo, mio amico d’infanzia (abitavamo entrambi nel palazzo Nigro, detto anche Sing Sing per la sua forma, negli anni ’40 e ’50, rispettivamente io al secondo piano e Gigi al terzo).

Ci siamo trattenuti, io e Vincenzo Mottola, per un po’, anche dopo che Gigi Cardullo era andato via.

Io feci rimarcare la circostanza che gli ombrelloni sotto i quali erano posizionati gli arredi (tavolini e sedie) era ‘graticati’ dalla presenza, piuttosto fastidiosa, di piccioni.

I ‘simpatici’ volatili erano piuttosto invadenti, svolazzando di qua e di là, all’evidente ricerca di cibo. Ebbi l’impressione che non temessero l’uomo, il che significava che venivano tollerati da tutti, avventori e gestori del bar.

Intorno all’ora di pranzo mi accommiatai da Vincenzo Mottola e me ne andai a casa.

Ivi giunto mia moglie notò subito qualcosa di anomalo.

Premetto che indossavo sandali, jeans ed una camiciola di lino blu.

D’un tratto mia moglie, allarmata, disse di togliere subito la camiciola, riservandosi a subito dopo la spiegazione del perché.

Quindi, mi fece notare che la parte posteriore era piena di insetti, letteralmente centinaia di animaletti, che risaltavano bene sul fondo scuro della camiciola.

Allora pensai che, forse, ne avevo anche sui jeans ed era proprio così, sempre sulla parte posteriore. Tolsi anche i jeans e mia moglie, allarmata, infilò immediatamente i due indumenti in lavatrice, per disinfestarli.

Quindi, mi riferì che aveva appreso da letture sui settimanali e da servizi televisivi, che il ‘pidocchio’ dei piccioni selvatici era molto pericoloso per l’uomo e, addirittura, in alcuni casi mortali, riferendomi l’episodio di una studentessa a Pavia che amava studiare a ridosso di una finestra che deva sui tetti di un edificio contiguo e che era stata ricoverata d’urgenza in rianimazione al Policlinico per gravi complicazioni polmonari, causate dai ‘pidocchi’ dei piccioni che infestavano quel tetto e non solo, a Pavia.

Allora ho cominciato a riflettere.

Casualmente, in bagno, dove la camiciola era stesa ad asciugare, notai che alcuni di quegli insetti, biancastri, erano ancora presenti sulla stessa, sopravvivendo ad un ciclo di lavaggio: si muovevano !

E no, così non andava bene ! allora mi sono premurato di fotografarne qualcuno, ne erano rimasti all’incirca una diecina, in ordine sparso.

Mi sono anche premurato di fotografare quelli che gravitano intorno a dove io abito, in attesa che una vecchietta di buon cuore, ma del tutto ignara e indifferente ai rischi (in una precedente circostanza ragguagliata che non doveva dar da mangiare ai piccioni la stessa rispondeva facendo spalluccie ed affermando che erano creature di Dio che avevano anch’esse diritto di vivere e lei avrebbe continuato a dar lorda mangiare): erano lì in attesa del pasto !

Ma ho voluto fare anche una ricerca in Internet, piuttosto faticosa perché trovavo solo siti di disinfestatori, le cui ‘verità’ non mi sembravano molto affidabili (tutti dicevano che potevano causare “60 malattie, alcune delle quali mortali e contagiose per l'uomo, quali psittacosi, criptococcosi, istoplasmosi, ornitosi e salmonellosi. Sono anche vettori per parassiti quali pidocchi, acari, pulci e zecche, rinvenibili in elevate quantità nei siti di nidificazione e nei posatoi”).

Nel corso della ricerca ho trovato un documento a firma di Cristina KHOURY e Michele MAROLI Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate, Istituto Superiore di Sanità, Roma, molto difficile da riprodurre.

Continuando la laboriosa ricerca, ho finalmente trovato uno studio del prof. Claudio Genchi, ordinario di malattie parassitarie, preside della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano, corredato da una vasta bibliografia, che è a disposizione di chi me ne facesse eventualmente richiesta, del quale riproduco i passi più significativi.
“ASPETTI SANITARI LEGATI ALLA PRESENZA DEL COLOMBO (Columba livia forma domestica) NELLE AREE URBANE


Claudio Genchi, Ordinario di Malattie Parassitarie, Presidne della.Facoltà di Medicina Veterinaria - Università degli studi di Milano – E-MAIL:

1. INTRODUZIONE

Il fenomeno dell'urbanizzazione dei colombi (Columba livia forma domestica) e il loro costante incremento demografico sono problemi di particolare attualità in relazione alle implicazioni di natura sanitaria,ambientale, biologica e giuridica che comporta. Negli ultimi anni sono sempre più numerosi i singoli cittadini e le amministrazioni che segnalano situazioni di degrado ambientale o richiedono interventi mirati a risolvere i problemi igienico sanitari legati alla presenza di colonie troppo numerose di questi uccelli.

Dal punto di vista ambientale è noto il danno arrecato agli edifici a causa dell'azione meccanica esercitata dagli uccelli e per il depositarsi degli escrementi, danno che diventa incalcolabile quando siano interessati edifici e monumenti di interesse artistico-storico.

Dal punto di vista igienico-sanitario il colombo rappresenta per la salute pubblica un potenziale pericolo sia per la possibilità di veicolare microrganismi patogeni, sia a causa dell’accumulo di materiale organico prodotto dai volatili, substrato ottimale per lo sviluppo di ulteriori microrganismi patogeni. Inoltre l'esplosione demografica di questi volatili ha portato ad un progressivo indebolimento della popolazione dei colombi, rendendola più sensibile ed esposta all'attacco di diversi agenti patogeni.

Studi epidemiologici hanno dimostrato come i colombi urbani risultino interessati da quadri patologici piuttosto ampi ed articolati, comprendenti anche antropozoonosi, caratterizzati da andamenti discontinui con periodiche punte di virulenza e frequenti casi di mortalità nell'ambito delle colonie (Pacetti et al., 1994; Manfredi et al., 1997). Da non sottovalutare inoltre l'emergenza più volte segnalata di episodi di contaminazioni di stabili e ambienti domestici da artropodi parassiti del colombo con gravi ripercussioni sulla salute umana.

I fattori che hanno concorso alla esplosione demografica della popolazione di colombi sono molteplici, fra i quali l'abbondante e costante disponibilità di cibo, la presenza sul territorio urbano di spazi ottimali per il rifugio e la nidificazione, l'uniformità delle condizioni micro e macroambientali fornite dall’ambiente urbano e l'assenza di predatori, con conseguente espansione del periodo di fertilità. Inoltre anche le modificazioni sociali, economiche e comportamentali dell'uomo negli ultimi decenni, tra cui il suo atteggiamento più benevolo e tollerante nei confronti di questa specie animale rispetto ad altre che vivono talora a stretto contatto con l'uomo (topi, ratti, pipistrelli, etc.), hanno contribuito al preoccupante aumento di questa popolazione animale.

Tra i vari rischi connessi alla presenza del colombo, le infestazioni causate dagli argasidi assumono sul piano epidemiologico e della salute pubblica un significato di particolare rilievo. Argas reflexus, Fabricius 1794 (Arachnnida: Acari) è un artropode ectoparassita temporaneo del colombo selvatico Columba livia livia, Gmelin 1789, che in questi ultimi anni si è posto all'attenzione di quanti si interessino di problematiche connesse alla salute pubblica per la sua capacità di infestare edifici adibiti ad uso civile, conseguenza della progressiva, stretta associazione tra l'acaro e le popolazioni di colombi sinantropici (Cagnoli et al., 1985; Sixl, 1975; Dusbabek, 1976; Haag, 1984; Dautel et al., 1991).

2.2 Ruolo patogeno e rischi connessi con la salute umana

Fin dalle prime segnalazioni (Raspail, 1833), la maggior parte delle infestazioni umane da A. reflexus sono state messe in evidenza in seguito alla penetrazione attiva della zecca nell'ambiente domestico (la maggior parte dei pazienti riferisce di essere stato aggredito durante le ore notturne). Ugualmente, fin dall'inizio il morso degli argasidi si è imposto all'attenzione del sanitario per i "fenomeni gravissimi" che è in grado di sostenere (Terrenzi, 1894) e per "l'effettiva perniciosità" per l'uomo (Brighenti, 1935).

Il morso dell'acaro comporta l'insorgenza di una sintomatologia polimorfa che può essere schematizzata come segue:

1. reazioni flogistico/tossiche, localizzate o generalizzate, di diversa gravità
2. reazioni allergiche
3. sindromi a carattere infettivo da agenti patogeni trasmessi.

Sono state osservate forme benigne locali, con la formazione di un pomfo reattivo più o meno evidente, fino ad esitare in sindromi febbrili con cefalea, dolori articolari e linfoadeniti con interessamento dei linfonodi satelliti (Brighenti, 1935; Genchi 1990), nausea e dispnea (Dausbabek e Rosiky, 1976), orticaria, angioedemi, shock anafilattico, edema della glottide, ipotensione (Coudert et al., 1973; Miadonna et al.,
1982; Ottoboni et al., 1990).

La presenza di elevate quote di tossine nei liquidi salivari della zecca, necessarie per il rapido e intenso pasto di sangue, riversate nella ferita causata dall'apparato boccale dell'acaro, facilitano l'insorgenza di sindromi morbose a carattere generale. Se da un lato, infatti, l'azione irritante e tossica esercitata dalla saliva e dagli escreti prodotti dalle ghiandole coxali nel corso del pasto di sangue per il rapido riequilibrio del bilancio idrico dell'acaro sembrano esercitare un ruolo determinante sull'insorgenza delle lesioni reattive, non vi è dubbio che l'elaborazione da parte dell'ospite di immunoglobuline di classe E, che rappresenta uno dei meccanismi fondamentali nel controllo immunitario delle infestazioni da artropodi, è il principale responsabile della sintomatologia allergica. Per altro lo shock a seguito di morsicature da argasidi sembra un evento non del tutto raro, tenuto conto che dal 1975 ad oggi gli episodi descritti in letteratura sono almeno 5 (Grzywacz e Kuzmicki, 1975; Miadonna et al. 1982; Simeoni, 1989, comunicazione personale), di cui 2 con il 7 coinvolgimento di più membri dello stesso nucleo familiare (Zerboni et al., 1985; Ottoboni et al. 1990). Un caso con esito mortale è stato da ultimo segnalato in Milano nel 1991 (Falagiani, comunicazione personale, 1991), ma casi di shock mortale erano già stati descritti nel 1986 (Buysson, 1896).

Si tratta di una patologia in larga parte sommersa, tenuto conto che la problematica è pressochè sconosciuta al medico e come tale sfugge ad una precisa diagnosi. A tale riguardo va ancora sottolineato che circa il 12-15% della popolazione italiana è costituito da soggetti atopici e come tali esposti ad un rischio elevato di reazione allergica grave al morso dell'acaro.

Tenuto conto della patogenesi del fenomeno allergico, della predisposizione dei soggetti atopici a reazioni gravi e al rischio obiettivo da parte di inquilini che abitano in stabili contaminati di essere più volte sottoposti al morso dell'acaro, il fenomeno appare grave e tale da necessitare di un pronto e drastico intervento da parte delle Autorità sanitarie competenti.

A tale proposito va ricordato che spesso il primo contatto con l'acaro passa del tutto inosservato o confuso con lesioni conseguenti alla puntura o al morso di altri artropodi e solo raramente il paziente è sottoposto ad esami di accertamento specifici. Nella Tabella 2 sono riportati i risultati per anticorpi IgE Argas-specifici ottenuti dal controllo di soggetti sospetti negli anni 1987-1992. Su 181 sieri di pazienti con anamnesi di sospetto morso di argaside, 48 (26.5%) sono risultati positivi per anticorpi sierici contro antigeni salivari dell'acaro con vari gradi di risposta RAST. A tale riguardo va notato che, a causa dei complessi fenomeni di interazione che caratterizzano la risposta immunitaria agli antigeni parassitari, mentre la risposta positiva è sicuramente indicativa dell'avvenuto contatto tra parassita e ospite, una risposta negativa non esclude che il soggetto sia stato morso dalla zecca.

Ancora sul piano della salute pubblica, di particolare rilievo è il ruolo di vettore sostenuto da questo artropode. Appare inutile ricordare che le zecche sono riconosciute tra i vettori biologici più efficienti: è noto infatti che il sangue ingerito durante il pasto dalla zecca viene "processato" all'interno dell'organismo dell'acaro e quindi "rigurgitato" nella ferita dell'ospite. In tal modo il passaggio di microrganismi patogeni dalla
zecca verso l'ospite è particolarmente efficiente, facilitato anche dai meccanismi replicativi attivati dal pasto di sangue. Negli argasidi tali meccanismi sono accelerati e resi più potenti. Soprattutto negli stadi ninfali e di adulto, il bilanciamento idrico nel corso del pasto avviene in buona parte tramite il rilascio di liquidi metabolici dalle ghiandole coxali. Questi sono particolarmente abbondanti e possono infettare la ferita praticata dall'apparato boccale della zecca.

In Francia, Argas reflexus è stato trovato naturalmente infetto dai virus Grand Arbaud (GA) e Ponteves (PTV), entrambi della famiglia Bunyaviridae (Hannoun et al., 1970), mentre sperimentalmente è risultato essere in grado di trasmettere il virus Tahyna (TAH) e West Nile (WN) (Hannoun e Rau, 1970) e il virus della encefalite da zecche (TE) (Wegner, 1964). Più volte è stata richiamata l'attenzione sul possibile ruolo dell'argaside nella trasmissione della Malattia di Lyme (Borrelia burgodorferi). Il sospetto era stato emesso sulla base dei dati anamnestici e dei risultati di esami di laboratorio effettuati su due pazienti nella città di Bolzano (Pacetti et al., 1988) e di prove sperimentali condotte da Staneck e Simeoni (1989), indicazioni riprese anche dalla stampa medica di grande diffusione. E’ però importante notare che successive indagini condotte su numerose popolazioni di piccioni hanno dimostrato l’assenza di questo microrganismo, il che porta a concludere che in condizioni naturali Argas reflexus è poco idoneo alla trasmissione della spirocheta 8 (Fabbi et al. 1995) mentre ne conferma il ruolo vettore per Borrelia anserina, specifica degli uccelli e appartenente a un diverso genotipo.

Da ultimo, tenuto anche conto delle elevate percentuali di sieropositività per Chlamydia (20-40%) osservate in colombi provenienti da diverse aree urbane (Pacetti et al., 1994; Manfredi et al., 1997) e delle segnalazioni di infezioni umane conseguenti al morso della zecca (Facco et al., 1991), non è possibile escludere che altri agenti zoonosici possano essere trasmessi dalla zecca in condizioni naturali nel corso del pasto di sangue.

4. CONCLUSIONI

La presenza di colonie di colombi spesso in precario stato di salute e l'invasione da parte degli argasidi di locali adibiti ad abitazione civile è una problematica emergente e sotto certi aspetti drammatica tenuto conto delle obiettive difficoltà di intervento, della capacità della zecca di adattarsi all'ospite umano (vedi anche Benoit-Bazille, 1910) e delle scarse probabilità di una diagnosi precoce di morsicatura sul paziente umano, unico evento in grado di proteggere con una certa efficacia da rischi di lesioni gravi.

Sul piano pratico, accanto all’obbligo di interventi di disinfestazione (meglio dei carbamati sarebbe consigliare l'uso di piretroidi, sostanze dotate di minore tossicità e persistenza) e l’allestimento di opportuni dispositivi per l'allontanamento dei colombi dagli stabili volti al controllo di Argas anche al fine di evitare la possibile emergenza di infestazioni zoonosiche da Ornithomya avicularia (già riportate da Galli Valerio, 1936) e da pidocchi (Columbicola columbae e Lipeurus columbae) recentemente rilevati in abitazioni civili e locali pubblici, è necessario intervenire in modo da ridurre la numerosità delle popolazioni di colombo anche al fine di ottenere una popolazione in migliore stato di salute e in grado di meglio resistere nei confronti dei vari agenti di malattia, inclusi quelli trasmissibili all’uomo.

Tenuto conto delle caratteristiche di urgenza che riveste il problema, è indispensabile che da subito vengano fatti rispettare (dove esistano) o adottati provvedimenti mirati a proibire la distribuzione di cibo ai colombi e ad aumentare le misure di igiene urbana. La causa principale del notevole incremento demografico della popolazione di colombi è da imputare essenzialmente all'intervento dell'uomo. Infatti i colombi cittadini hanno una larga disponibilità di cibo reperibile fra i rifiuti urbani o distribuito direttamente dagli zoofili. La disponibilità di cibo è uno dei principali fattori in grado di regolare l'espansione demografica delle popolazioni animali. La grande quantità di alimento fornito dall'uomo interferisce con i meccanismi di selezione naturale ed annulla gli effetti di questo importante elemento di regolazione. Esperimenti in tal senso hanno dimostrato che la popolazione di piccioni può essere riportata entro condizioni di sviluppo fisiologico e sopportabili sia per quanto riguarda il disturbo arrecato da questi uccelli, sia per il loro stato sanitario semplicemente controllando la distribuzione del cibo e con una attenta applicazione delle norme di pulizia e igiene urbana (Haag-Wackernagel, 1995).

Un primo intervento deve essere quindi mirato a rendere consapevole il cittadino che l'offerta indiscriminata di cibo non è un atteggiamento "zoofilo" e che anzi, nella attuale situazione, può essere causa di gravi danni per la popolazione di colombi. Infatti la mancata selezione naturale nei confronti dei soggetti più deboli e malati facilita la diffusione di malattie, con grave rischio anche nei confronti dei soggetti apparentemente sani.

Altro metodo più volte preso in considerazione per un piano di controllo demografico della popolazione di colombi è rappresentato dalla sterilizzazione farmacologica consistente nella somministrazione di mangime contenente sostanze ormonali ad attività anticoncezionale, oppure alla sterilizzazione chirurgica (vasectomia) dei soggetti di sesso maschile. Questi metodi che possono essere attuati dopo un preciso censimento delle colonie presenti sul territorio urbano, prevedono modalità di intervento differenziati:
- la sterilizzazione farmacologica non necessita di catture, ma si pone come una modalità d'intervento non mirata alla specie colombo, con possibile diffusione nell'ambiente di sostanza potenzialmente nocive per
altre specie animali e per l'uomo;
- la sterilizzazione chirurgica invece prevede la cattura dei piccioni e l'intervento di vasectomia dei maschi; questa tecnica oltre comportare manualità complesse, legate all'intervento chirurgico, e spese elevate, potrebbe risultare poco efficace considerato il comportamento sessuale delle femmine che risultano essere non strettamente monogame.

L'efficacia di entrambi gli interventi dovrebbe essere testata su colonie "stabili" e di numero limitato di soggetti. Si tratta di metodi che messi in atto di concerto ad altre misure di controllo demografico, possono contribuire al contenimento numerico della popolazione di colombi.

È invece piuttosto ben documentato il fatto che una semplice e drastica riduzione numerica dei piccioni come quella che si può ottenere con la cattura e la soppressione o la "deportazione" dei volatili ottiene scarsissimi risultati. Si verrebbero infatti a creare dei vuoti biologici che verrebbero rapidamente riempiti dai nuovi nati e dai giovani soggetti che, trovando ottimali condizioni di sviluppo legate in modo particolare a condizioni innaturali di superalimentazione, riporterebbero in breve tempo la popolazione alla stessa o ad una maggiore consistenza numerica. È inoltre un metodo che non ottiene il consenso della pubblica opinione, degli zoofili e delle associazioni protezionistiche.”

Tanto mi preme di segnalare, con lettera aperta, alle autorità comunali e sanitarie competenti, perché provvedano a quanto previsto per legge.

La nuova offensiva del Cavaliere. "Ascolti vietati per corruzione"



Liana Milella
La Repubblica
30 agosto 2008
Ma Lega e An si mettono di traverso: quel testo non si tocca


ROMA - Era ancora luglio. Un tavolo riservato a casa di Berlusconi per discutere di giustizia e di intercettazioni. Lui, il Cavaliere, scatenato, continuava a ripetere: "Dovete darmi retta. Questo disegno di legge va cambiato. In consiglio dei ministri mi avete forzato la mano. Ma io non sono per niente soddisfatto. Avete voluto a tutti i costi prevedere una lista ampia di reati. Così non va bene. I magistrati continueranno a massacrarci. Finiremo sempre sui giornali. Dobbiamo limitare la possibilità di ascoltare le telefonate solo ai delitti gravi, la mafia e il terrorismo. E basta. Perché...".

D'improvviso, fatto non proprio usuale quando parla il Cavaliere, lo interrompe Bobo Maroni: "Silvio, scusami. Ma hai per caso qualche altro problema che ti assilla?". Angoscia giudiziaria, ovviamente, ma il fair play impone di non chiamare le cose col loro nome. Il premier si fa una risata e replica: "Problemi? Io? Altre inchieste? Proprio no. Che io sappia non ne ho. Ma è il sistema che fa schifo. Ieri è toccato a me, domani toccherà a un altro. Qui non si salva nessuno. Prima o poi finiamo tutti sulla graticola, sputtanati sui e dai giornali. Per questo, e non finirò mai di ripetervelo, i reati sulla pubblica amministrazione non devono essere più ascoltati dai giudici. Capito?".

Ma la Lega di Maroni e An con Giulia Borgiorno non si sono spostate di un centimetro. "La corruzione è intercettabile, e tale deve restare" disse allora, e ripete ancora oggi, la delegata di Fini al tavolo della giustizia. Il Carroccio era ed è altrettanto irremovibile.


Sicché Berlusconi, quando l'altra sera gli hanno messo sul tavolo l'anteprima della copertina di Panorama col servizio su Prodi, ha avuto buon gioco ad esplodere: "Eccoci qua. È disgustoso. Ieri ero io la vittima, adesso è lui. Qui non si salva nessuno. Questi comportamenti non sono più tollerabili. Bisogna approvare la legge il più presto possibile. E bisogna stringere sulla lista dei reati".

Ha chiamato Niccolò Ghedini, il suo avvocato e consigliere giuridico. Con lui s'è lamentato con forza per "quella legge troppo morbida" che però Ghedini difende. "Berlusconi ha dato delle indicazioni, il ministro della Giustizia Alfano ha presentato un testo, ne abbiamo discusso, il consiglio dei ministri l'ha approvata, il premier stesso l'ha firmata, ora è in Parlamento.

Non ci sono accelerazioni particolari da imporre, il testo farà il suo iter, che non sarà certo breve, ma alla fine sarà approvato". E l'opposizione che oggi accusa Berlusconi di aver provocato e quasi ordinato lo scoop di Panorama per poi sfruttarlo politicamente e imporre il voto su una legge che in realtà serve soprattutto lui? Ghedini esplode in un mezzo moccolo: "Abbiamo una maggioranza fortissima. La legge ce la possiamo votare da soli. Che ce ne importa di Prodi? La verità è che Berlusconi ha scritto esattamente quello che provava. Fastidio, esasperazione, condanna per pubblicazioni inaccettabili".

Silvio sincero? Silvio autentico? Silvio che arriva a contrirsi per l'ex premier e l'ex avversario? Ghedini giura che è proprio così: "Berlusconi non sapeva nulla del servizio del settimanale. Se ne fossimo stati informati avremmo tentato di dire che stavano per fare una cosa pazzesca, anche perché si tratta di un comportamento penalmente rilevante". Avreste censurato Panorama? "Berlusconi non lo fa mai. E non lo avrebbe fatto nemmeno in questo caso. Ma la sua reazione è stata di indignazione profonda".

Quella che ieri mattina, a ridosso dell'incontro con Napolitano che lodava i risultati bipartisan sulla Georgia ottenuti dopo il confronto Frattini-Fassino, gli ha fatto dettare alle agenzie una nota decisamente a favore di Prodi.

Ma alla versione di Ghedini s'oppone quella del Pd e di Di Pietro. Solidarietà "pelosa". Come sospetta Marco Minniti, solo "una manovra architettata". Che serve a Berlusconi come pezza d'appoggio per giustificare non solo la stretta sulle intercettazioni, ma più in generale quella contro i giudici. Ma un fatto è certo. Nell'incontro tra il premier e il Guardasigilli Alfano a palazzo Grazioli, appena due giorni fa, il capo del governo ha detto al suo ministro: "E poi, Angelino, mi raccomando le intercettazioni. Segui la legge a ogni passo. E dammi retta. Limate quella lista dei reati".

Via la corruzione, la concussione, gli abusi. È l'unica preoccupazione del Cavaliere. Non il carcere per i giornalisti, ché quello vuole eliminarlo. Non la durata degli ascolti, ché non lo preoccupa. Ma la "lista". È quello il vero problema su cui vorrebbe che almeno i benpensanti della sinistra stessero dalla sua parte.

L'ultimo trucco del mago di Arcore



Giuseppe D'Avanzo
La Repubblica
30 agosto 2008


LA CLASSE non è acqua. Prodi dimostra di averne. Uno degli house organ del Cavaliere lo mette in mezzo. Scopre che è stato intercettato in un'inchiesta giudiziaria. Pubblica stralci delle sue conversazioni. È una buona occasione per rilanciare il "giro di vite" per le intercettazioni, già al primo posto dell'agenda del governo per l'autunno. Farle? Come disporle e per quali reati? Per tutti o soltanto per alcuni? Pubblicarle, e come e quando?

Senza troppo fantasia o sorpresa, si affaccia al proscenio prontamente - toh! - il Cavaliere ancora in vacanza (come non pensare che la minestrina se la siano cucinata in famiglia?). Esprime una solidarietà tartufesca al suo predecessore e chiede al Parlamento di approvare con sollecitudine il disegno di legge che, regolando l'uso delle intercettazioni, imbriglia il lavoro dei magistrati e ammutolisce l'informazione vietandone di fatto le cronache, a prezzo del carcere per gli scriba e punizioni pecunarie per gli editori.

È l'ennesimo trucco del mago di Arcore. Al terzo round governativo, ha deciso di esercitare il suo potere secondo una tecnica che gli impone di creare - volontariamente e in modo artefatto - una necessità dopo l'altra, giorno dopo giorno, quale che siano le priorità più autentiche del Paese. Abitualmente i trucchi del mago di Arcore sono di cattiva qualità. Tutti vedono il passo storto, ma sono efficaci perché ipnotici. Per lo meno, per chi all'opposizione ci casca per non smarrire l'onda mediatica, che immagina essere l'unico canale per essere in sintonia con il Paese reale, condividendo così l'agenda del governo e l'offerta di un immaginario "dialogo istituzionale".


Questa volta, però, c'è Prodi di mezzo. Come il bambino di Andersen, dice quel che vede. E quel che vede è il sovrano nudo. Quel che scorge è un giochetto maldestro e molesto. Avverte che si vuole soltanto creare artificiosamente un "caso politico" per accelerare una soluzione legislativa che egli non condivide: "Le intercettazioni sono utili", dice. È tranquillo, certo di non avere nulla da temere dall'accertamento penale. Invita, chi vuole, a pubblicare integralmente le sue conversazioni, sicuro di non doversi vergognare delle sue parole. Con il che, l'ultimo tentativo di Berlusconi di creare uno stato di necessità, che imponga l'annichilimento delle intercettazioni e delle cronache, s'affloscia come un soufflé malfatto e svela i suoi ingredienti.

Da quando il Cavaliere è al governo è il terzo affondo. Si comincia nei primi giorni di giugno. Una nota di Palazzo Chigi annuncia che il governo ha approvato un decreto con immediata forza di legge che vieta le intercettazioni, se si esclude terrorismo e mafia, praticamente per tutti i reati (anche quelli per corruzione) e dispone il carcere per chi le pubblica. "È un provvedimento atteso da tutti i cittadini" giura Berlusconi. Deve intervenire addirittura il Quirinale per ricordare che il capo dello Stato ha già fatto sapere al governo che non intende riconoscere né l'urgenza né la necessità di un decreto legge. Palazzo Chigi impiega due ore per correggersi.

È "un refuso": presentiamo un disegno di legge, non un decreto. La rettifica arriva dopo che anche la Lega ha fatto la voce grossa (vuole che le intercettazioni siano consentite anche per i reati contro la pubblica amministrazione).

Il mago di Arcore ci riprova in luglio. Per giorni il Paese è inchiodato a un dilemma: che cosa dice Berlusconi nelle conversazioni privatissime registrate dalla procura di Napoli? Le sue parole sono davvero così inappropriate da costringerlo alle dimissioni? È vero che, in un'intercettazione, spiega a Fedele Confalonieri le ragioni postribolari dell'ingresso di qualche ministra nel governo? Quelle conversazioni semplicemente non esistono. Non sono mai esistite in un fascicolo giudiziario. L'avvocato del Cavaliere - Nicolò Ghedini, ministro di Giustizia di fatto - lo sa.

Sa che a Napoli e a Milano sono stati raccolti dei colloqui privati del Cavaliere (niente a proposito di ministre) e sa che, irrilevanti dal punto di vista penale, sono stati o saranno distrutti. Ghedini si guarda bene dal dirlo. Non aiuterebbe la performance dell'illusionista che, con notizie farlocche affidate ai famigli, veleni insufflati nelle redazioni, deve rappresentare la necessità di un urgente "giro di vite". Mi spiano illegalmente, geme Berlusconi. Vogliono ricattarmi con intercettazioni private, abusivamente consegnate alle redazioni, protesta. Minaccia incursioni televisive e requisitorie parlamentari.

La pantomima, che si è affatturato con la complicità del suo avvocato-consigliere, lo autorizza a chiedere subito alle Camere genuflesse l'approvazione della nuova legge. Si sente finalmente abilitato a pretendere dal capo dello Stato di riconoscere l'urgenza costituzionale di un decreto legge. Il sette luglio è a un passo dall'imporre al Consiglio dei ministri un provvedimento che vieta, pena la galera per il giornalista e la disgrazia dell'editore, la pubblicazione delle intercettazioni. Si ferma, lo fermano (troppo presto per dare battaglia a Napolitano).

Ci riprova ora combinando dal nulla un "caso Prodi" alla vigilia del suo rientro a Roma, tanto per spiegare ai suoi che cosa gli interessa che facciano in Parlamento nelle prossime settimane.

I suoi dimostrano di aver capito al volo. Il presidente del Senato Renato Schifani (chi lo sa con quale titolo istituzionale) chiede che le Camere approvino subito la riduzione al silenzio della stampa (gli appare addirittura una mossa "indifferibile") rinviando alla discussione della riforma della giustizia "l'individuazione delle tipologie di reato per le quali poter utilizzare quel metodo di indagine".

Difficile avere dubbi (chi ne aveva?): Berlusconi pretende che la sua legittimità a governare sia libera dall'impaccio della legalità; intende legale con un "soltanto formale" e legittimo come il suo opposto. Vuole tagliar corto con le dispute togate e avvocatesche di uno Stato giurisdizionale e le lunghe, faticose discussioni dello Stato parlamentare. Ridotte già le Camere a una sorta di "servizio al governo", era così scritto che il Cavaliere si dovesse occupare al più presto di magistratura e informazione, i due ordini che, nell'equilibrio di checks and balances, sono le istituzioni di controllo dei poteri e, nell'interpretazione della legittimità di Berlusconi, soltanto pericolosi ostacoli che impediscono al sovrano di governare perché sorvegliano le sue decisioni.

Quella vigilanza è un impedimento che crea uno status necessitatis, che gli impone di andare avanti per decreti con forza di legge o per leggi approvate in pochi giorni creando ad hoc il "clima giusto". È quel che è accaduto con il fasullo "caso Prodi" e quel accadrà in un autunno, freddissimo per la Costituzione.


MOZART - DON GIOVANNI

Dagli aeroplani all'immobiliare. Le contropartite per l'operazione


Alberto Statera
La Repubblica
30 agosto 2008
Beretta (Confindustria): "Progetto ambizioso.
Serve però un partner internazionale"

"ALZI la mano chi non sarebbe pronto a investire nell'Alitalia!" esclamò come sempre guascone Silvio Berlusconi il 7 giugno scorso dinanzi ai giovani industriali riuniti a Santa Margherita Ligure.

La sala plaudente di fans si fece repentinamente sorda e grigia, molti distolsero imbarazzati lo sguardo dall'amor loro interdetto sul palco e nessuno ebbe il coraggio di alzare né una mano né un dito. Neanche la neopresidente di Confindustria Emma Marcegaglia, la cui azienda di famiglia spicca oggi tra i magnifici sedici ardimentosi che si sono iscritti al club dei salvatori della patria, accettando di partecipare al "Pittoresco Capitalistico" che va sotto il nome di "Operazione Fenice", quella che dovrebbe far risorgere dalle ceneri l'ectoplasma della Compagnia di bandiera.

Pochi giorni dopo Santa Margherita moriva a Roma quasi novantenne, e non dal ridere, Umberto Nordio, l'ultimo presidente dell'Alitalia che firmò bilanci in attivo, ma che giusto vent'anni fa fu cacciato da Romano Prodi, allora presidente dell'Iri, perché era un po' troppo autonomo. Cos'è successo da quei primi giorni di giugno capace di coagulare la coraggiosa cordata che sfiderà guidata da Roberto Colaninno la legge di gravità oltre a quella del mercato? E' successo che uno stuolo di emissari politici sguinzagliati da Berlusconi, dal banchiere Gaetano Miccicché al factotum Bruno Ermolli, ha spiegato al colto e all'inclita, seppur ve ne fosse bisogno, che questa non è una faccenda qualunque, ma "è una delle partite che contano nel capitalismo italiano", come dice sempre Cesare Geronzi, impegnato a sua volta nella partita delle partite, quella che - Mario Draghi permettendo - lo dovrebbe portare al controllo assoluto di Mediobanca e della Galassia del grande potere finanziario da Trieste a Roma, da Milano a Torino, orfano ormai da anni di Enrico Cuccia. Chi resta fuori dalla partita Fenice non avrà da guadagnarci su altri ben cospicui fronti finanziari.


Così è nata la cordata dei patrioti coraggiosi, i 16 "coscritti" - ma quanti altri si accoderanno sull'onda della tremontiana economia sociale di mercato ? - disposti a fare gli azionisti "captive" del governo sotto le vesti di "cavalieri bianchi". In cambio di che? Con quale contropartita politica derivante dal rapporto privilegiato con Palazzo Chigi, che su rifiuti napoletani e Alitalia si è giocato la periclitante credibilità degli annunci? Eugenio Scalfari, Francesco Giavazzi, Tito Boeri, Franco Debenedetti e altri hanno già ritratto a grandi linee l'album di famiglia dell'"Operazione Fenice", che, nella migliore tradizione, è nutrita di politica, l'unica che sembra poter dare "dividendi", con la pubblicizzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti, a questo capitalismo che aborrisce di fatto, se non a parole, il libero mercato. Come vuole la religione monopolista e antimercatista del "Lider Maximo", nato a suo tempo sulla benevolenza di Bettino Craxi e di qualche loggia bancaria e oggi spalleggiato dall'ideologo Giulio Tremonti.

L'ha detta bene Michael O'Leary, patron di Ryanair: "Uno sport folle": l'interferenza della politica in Italia è uno sport folle. Cui i capitalisti nutriti di animal spirits, di shumpeteriana gagliardia, si acconciano con entusiasmo. Ne abbiamo almeno sedici nel "Pittoresco Capitalistico" che va in scena in queste ore, ma potrebbero ancora crescere, attratti dalle contropartite governative. Quali contropartite? Non scherziamo.

Altro che il Ponte sullo Stretto, di cui Benito Mussolini annunciò l'imminente inizio dei lavori settant'anni fa, ma che forse non si farà mai, o che comunque noi purtroppo non vedremo. C'è pronta la manna del 2015: l'Expò di Milano, la ex capitale morale che torna grande, maestosa, quasi da bere, come ai bei tempi. Scorri i nomi dei sedici ardimentosi e non ne trovi uno che non sia in attesa di assai lucrosi favori governativi.

Lasciamo stare per un istante Salvatore Ligresti, palazzinaro e assicuratore, già protagonista della Milano da bere e di quella in manette, i Benetton, Tronchetti Provera, Marcellino Gavio, i pubblici concessionari autostradali, i proprietari di aeroporti e stazioni, e gli altri i cui interessi, curati con affetto in cambio dell'intervento patriottico, sono evidenti: 16 miliardi pubblici d'investimenti e di relativi appalti per l'Expò destinati ai padiglioni, ma soprattutto a due autostrade, due metrò, una nuova tangenziale, stazioni, ferrovie e quant'altro.

Lasciamo stare Francesco Caltagirone Bellavista che con l'Ata ha mire consistenti su Linate e su altri cospicui business milanesi, dopo aver ristrutturato a Venezia il Molino Stucky. Tralasciamo anche Emilio Riva, l'acciaiere tradizionale supporter berlusconiano di ferro, e Marco Fossati che deve difendere il suo investimento in Telecom dalle mire spagnole. E, per carità, la Emma che, poveretta, è sulla graticola di Confindustria e ha Berlusconi che le fiata sul collo. Carlo Toto poi deve in qualche modo far volare quell'Airone zoppo e scalcagnato che ha sul gobbo. Claudio Sposito e Salvatore Mancuso, bontà loro, rispondono all'appello del premier con un "chip" milionario che, statene certi, produrrà interessanti favori governativi ai loro fondi.

Concentriamoci piuttosto su Davide Maccagnani, imprenditore ignoto ai più, che proprio incuriosisce. Ex titolare, presidente e amministratore delegato della Simmel Difesa, unico produttore in Italia di munizioni e di spolette di medio e grosso calibro per cannoni navali, oltre che di esplosivi, teste missilistiche, razzi e sistemi d'arma a razzo, questo Davide ha appena venduto l'azienda, con stabilimenti a Colleferro e ad Anagni, vicino Roma, agli inglesi della Chemring.

Di Davide, che si divideva tra Torino e gli stabilimenti laziali dove ci fu un'esplosione che provocò un morto e molti feriti, il "santino" del premio di un "Gran Galà Stampa" del 2003 ci racconta che "è uno dei più stimati e apprezzati capitani d'industria a livello intercontinentale, un industriale che si è fatto veramente da solo con notevoli sacrifici, con lo studio, con l'applicazione, con il coraggio e la grandissima perseveranza".

Che c'entra Maccagnani con l'Alitalia ? Non disperate, ha messo via i soldi degli inglesi che hanno comprato i suoi missili di Colleferro e ha messo in piedi una piccola immobiliare, la Macca srl. Volete vedere che la Macca, a dispetto della sigla casereccia, spunterà in qualche bell'affare edilizio milanese, visto che tra Scilla e Cariddi non si muoverà neanche un ciotolo? Del resto un produttore di teste missilistiche che subentrò anni fa alla Fiat e alla Snia BPD nel business delle armi deve avere ganci governativi e con i Servizi di primaria qualità. Ci riserviamo magari di chiederlo, se ci darà udienza, a Gianni Letta, il cui nipote Enrico in questa vicenda è stato il più realista: con l'"Operazione Fenice", stanno facendo un'altra Efim, l'ente voluto da Aldo Moro e Pietro Sette, la cui liquidazione costò ai cittadini italiani settemila o più miliardi del tempo.

Poi ci sono i fratelli Fratini, Corrado e Marcello, che facevano jeans in Toscana, area privilegiata di Denis Verdini, neocoordinatore nazionale di Forza Italia, l'uomo che fa venire il morbillo a Fabrizio Cicchitto, l'antico trotskista della sinistra lombardiana che, iscritto alla Loggia P2 come l'attuale capo Berlusconi, criticava Berlinguer da sinistra e che purtroppo tutte le sere ci tocca subire nei telegiornali nazionali. Ma ancora per poco, finché il suo capo toscano, con ottimi agganci di tutti i tipi a cominciare da quelli veri massonici, non metterà all'incasso il ruolo appena assunto al posto dell'ecumenico Sandro Bondi e quello svolto con Ermolli e altri nella leva dei coscritti Alitalia. Questi Fratini, insomma, un po' stufi degli stracci griffati, hanno messo su indovinate che? Un'immobiliare, la Fingen Real Estate. Chissà che la nuova nata non conquisti qualche appezzamento al sole ai confini della Brianza, sulle soleggiate terre dell'Expò 2015.

"Magliana ai magliari", ci dice sghignazzando un ex amministratore delegato che naturalmente non vuole essere citato, in onore al "Pittoresco Capitalistico" d'Italia. Non resta allora che un flebile e assai poco speranzoso interrogativo: sarà Colaninno a salvarci dal capitalismo intossicato dalla politica?

Cercasi arca: nove orsi polari da salvare


Guido Santevecchi
Il Corriere della Sera
30 agosto 2008
Allarme lanciato dal WWF: stanno andando alla deriva su un lastrone di ghiaccio e il loro istinto li inganna

LONDRA - Solo una moderna Arca di Noè della Marina degli Stati Uniti potrebbe cercare di salvare un gruppo di orsi polari dispersi al largo dell’Alaska. Li hanno avvistati il 16 agosto nel Chukchi Sea, un mare che rappresenta una zona di caccia naturale per gli orsi polari. Ma i nove esemplari osservati da un ricognitore aereo rischiano di annegare perché la superficie ghiacciata su cui si muovevano si è sciolta, andando alla deriva di una cinquantina di miglia. Gli orsi sarebbero in grado di nuotare e tornare indietro ma, secondo gli scienziati del WWF che hanno dato l’allarme, stanno invece seguendo il loro istinto che li spinge a dirigersi verso Nord: per effetto del restringimento della fascia di ghiacci si tratta di 400 miglia di mare, un’impresa impossibile.


Gli animalisti hanno chiesto aiuto alla Guardia Costiera degli Stati Uniti, sollecitandola a inviare un’unità «Arca di Noè» per salvare gli orsi-naufraghi. I nove esemplari sono stati avvistati di nuovo il 18 agosto e poi il 22. Le condizioni del mare sono peggiorate e si sono persi i contatti. Secondo il World Wide Fund for Nature, in passato un gruppo di orsi è riuscito a nuotare per 100 miglia (oltre 160 km), ma sono arrivati sulla terraferma esausti e molti sono annegati. «L’Artico è un oceano è trovare nove orsi dispersi è una missione estremamente difficile, oltretutto temiamo che quelli segnalati siano solo una parte degli animali finiti in mare aperto», ha detto Margaret Williams, direttrice del WWF Alaska.

MOZART - DON GIOVANNI - SCENA DEL COMMENDATORE

Dispotismo democratico



Giorgio Bocca
L'Espresso
29 agosto 2008
Quello praticato da Berlusconi è la base dell'autoritarismo morbido. Con una linea di governo simile a quella di Craxi: non disturbare il manovratore


Per millenni le aristocrazie dei guerrieri e dei sacerdoti hanno goduto il privilegio di essere differenti dai comuni cittadini davanti alla legge. L'appartenenza alle classi dominanti gli consentiva di essere, in tutto o in parte, esentati dalla legge che valeva per le classi inferiori. Coloro che di professione in Italia si occupano di politica, fanno la politica, pensano ancora, come le passate aristocrazie, di essere al di sopra della legge o differenti di fronte alla legge comune?

Sicuramente differente è il segretario padrone del partito di governo, secondo un mussolinismo perenne dalle nostre italiche parti. Silvio Berlusconi non è diverso in questo senso da Bettino Craxi. Il Partito socialista di Craxi, come quello di Forza Italia berlusconiano, non è un partito di classe o di opinione. È un insieme di consorterie borghesi che hanno trovato il loro capo, qualcosa che sta fra il demagogo e l'amministratore delegato.

Chi è il più furbo, il più abile del reame? Il più furbo, il più abile e anche il più ricco è lui, i suoi grandi cortigiani vivono della sua gloria e dei suoi favori.Come con Craxi la linea del governo, il modo di governare è 'non disturbare il manovratore'.

E cosa vuole il manovratore? Ricostruire a suo modo lo Stato che ha distrutto, riformare la giustizia, l'informazione, la fabbrica del consenso. Come Craxi, Silvio non ha una corte di partito, come Craxi i suoi veri amici e compagni di avventura sono i grandi imprenditori e i finanzieri. A ragione il mondo capitalista lo considera un suo protettore, lui stesso ripete che il suo programma di governo è quello della Confindustria, che gli imprenditori sono suoi sodali, che aspetta da loro consigli e aiuti. Il partito di Silvio non ama i congressi, basta il capo padrone a decidere il da farsi. La divinizzazione è inevitabile, gli organi di controllo sono inesistenti, il dispotismo democratico è la base dell'autoritarismo morbido.


Uno dei miti craxiani, il suo primato non in discussione nel partito e nel paese, era la governabilità, che in pratica consiste nella certezza, di Craxi allora come di Silvio adesso, che con lui al potere tutto in qualche modo si risolverà per il meglio. Il culto della personalità è uno spettacolo quotidiano, a volte ridicolo, spesso affliggente.

Si ricorda un episodio di servilismo del sindacalista Ottaviano Del Turco che sale alla tribuna di un congresso e dopo aver detto che lo sciopero per il ticket sanitario è stato giusto, conclude che però Craxi ha avuto ragione a dire che è stato un errore. Simili contorcimenti erano la regola al congresso milanese nel capannone dell'Ansaldo, salivano alla tribuna i compagni rivoluzionari e antiborghesi e poi svoltavano appena saputo che Bettino era a colloquio con Silvio nel suo camper.

Come Craxi, Silvio gliela canta chiara ai suoi nemici, ai suoi "persecutori che non gli chiedono neppure scusa". In questo Craxi era inarrivabile. Bobbio era "un filosofo dei miei stivali", "Scalfari un mascalzone grandissimo e recidivo", "Biagi un moralista un tanto al chilo", "De Mita? Per durare deve servire il caffelatte ai socialisti tutte le mattine".

Nel partito di Craxi il maestro di politica era il compagno Antonio Natali che insegnava ai giovani l'arte di raccogliere le tangenti per finanziare il partito. E se qualcuno diceva a Bettino che certe sezioni erano piene di ladri, lui rispondeva: "Adesso mi occupo di vincere le elezioni, poi mi occuperò anche dei ladri". Ma la distinzione fra le finanze del partito e le finanze personali rimase piuttosto fluida. E i veri nemici dei politici, allora come adesso, rimasero i giustizialisti.

Crisi Usa al bivio



Luigi Zingales
L'Espresso
È finita o i suoi effetti si faranno sentire in ritardo? Molto dipenderà dalle decisioni sui mutui e sul mercato immobiliare

A quasi un anno dall'inizio della più grave crisi finanziaria dagli anni Trenta la maggiore sorpresa è quanto solida sembra essere l'economia americana. A dispetto delle notizie catastrofiche, nel primo trimestre 2008 il Pil Usa è cresciuto dell'1%, e le stime parlano di un 2-2,5% nel secondo trimestre: tassi di crescita inferiori alla media, ma assolutamente invidiabili per noi italiani. Come spiegarlo?

Una possibilità è che gli effetti della crisi finanziaria si facciano sentire con ritardo. Quando le banche in difficoltà vogliono tagliare credito alle imprese, non riescono a farlo subito. Non possono cancellare le linee di credito esistenti, possono solo rifiutarsi di rinnovarle o di aprirne di nuove. Le imprese, da parte loro, quando non riescono ad ottenere credito, inizialmente usano le proprie riserve di liquidità per fare fronte agli impegni già presi. È solo con il passare del tempo che gli effetti della crisi del credito si ripercuotono sugli investimenti delle imprese ed i consumi delle famiglie, riducendo la domanda di beni e servizi e precipitando la crisi. Se così fosse, ci attende un triste futuro.

L'ipotesi alternativa è che l'economia reale sia diventata meno sensibile alle crisi finanziarie. Prima di questa crisi le imprese avevano accumulato forti riserve di liquidità, che permettono loro di continuare ad investire nonostante le riduzioni di credito. Queste riduzioni poi non sono così terribili come anticipato, perché i fondi sovrani hanno permesso alle banche di raccogliere una quantità enorme di capitale di rischio in tempi molto brevi, sollevandole dall'obbligo di tagliare i prestiti per mantenere i rapporti patrimoniali richiesti. Grazie al forte declino del dollaro, infine, il settore delle esportazioni sta tirando e gli interessi reali negativi rendono investimenti e consumi sempre più allettanti. Se così fosse, il peggio sarebbe già passato.


Quale futuro ci attende? Purtroppo ci troviamo ad un bivio. Entrambi gli scenari sono realistici. Quale dei due si realizzerà dipende dall'andamento delle insolvenze sui mutui immobiliari. Fino a questo momento, la maggior parte delle insolvenze è stata concentrata tra i mutui più a rischio, concessi nell'illusione che il mercato immobiliare salisse sempre. Adesso, però, il declino del 20% dei prezzi delle case minaccia anche i mutui 'normali'. L' americano medio che nel 2006 ha comprato una casa per 300mila dollari con un anticipo in contanti del 5%, si trova oggi a possedere una casa che vale 240mila dollari con un mutuo di 285mila. Se abbandona la casa e si libera del mutuo (negli Stati Uniti è possibile), il signor Smith risparmia la bellezza di 45mila dollari. Al suo guadagno, però corrisponde una perdita di 142mila dollari per la banca, perché le case abbandonate non vengono mantenute e sono difficili da vendere. Storicamente la perdita è pari al 50% del credito.

Se l'economia americana (e a seguito quella mondiale) entrerà in una crisi profonda o si solleverà rapidamente, dipende quindi dalle decisioni dei molti signor Smith che si trovano in questa situazione. Se la maggior parte di queste famiglie decide di abbandonare casa e mutuo, le perdite per le banche aumenteranno e i prezzi delle case si ridurranno ulteriormente, innescando una spirale negativa. In questo caso lo scenario catastrofico è assicurato. Se invece resistono, l'economia è nelle condizioni per riprendersi.

Storicamente lo stigma sociale della bancarotta e il costo (economico e psicologico) di un trasloco ha dissuaso le famiglie che si sono trovate con un valore netto della casa negativo ad andarsene. Le insolvenze si verificavano solo quando l'onere in interessi diventava insostenibile.

Oggi, però, la situazione è diversa. Da un lato, il forte declino dei valori immobiliari aumenta la tentazione di dichiararsi insolvente. Dall'altro, il problema è talmente diffuso che tale scelta potrebbe diventare socialmente accettabile, ampliando l'entità del fenomeno. Per evitare che questo succeda sarebbe utile un intervento del governo che riduca gli incentivi ad abbandonare mutui e case. Teoricamente questo obiettivo può essere conseguito in due modi. Si possono agevolare le banche che riducono l'ammontare dei loro mutui. O si puo rendere più costoso alle famiglie dichiararsi insolventi. In un anno elettorale, però, solo la prima strada è percorribile, perché la seconda sarebbe estremamente impopolare. Ma il tempo stringe. Domani potrebbe essere troppo tardi.

La ricerca e la fede


Eugenio Scalfari
L'Espresso
29 agosto 2008
A che punto è la discussione sulla soggettività o oggettività del ricercatore. Sulla 'buona scienza' e la 'cattiva scienza'

Tra i tanti dibattiti in corso che riguardano la storia delle idee ce n'è uno di importanza particolare: ha come protagonista il pensiero scientifico, i suoi rapporti con la religione, con la politica, con la tecnica, con la filosofia e con ciascuno di noi, uomini e donne che viviamo in quest'epoca agitata, incerta, dinamica quant'altre mai.

Fino a qualche tempo fa tra la scienza e le cosiddette discipline umanistiche c'era una sorta di incomunicabilità: procedevano ciascuna per strade parallele che non si incontravano; perfino il lessico era diverso, due linguaggi estranei e reciprocamente incomprensibili. Ma ciò che le rendeva estranee l'uno all'altra al punto da farle definire 'due culture' era la profonda differenza dei metodi conoscitivi, quasi che due diversi cervelli o due diverse mappe cerebrali presiedessero alla cultura umanistica e a quella scientifica.

Non era stato sempre così. All'alba del pensiero occidentale la filosofia era stata tutt'uno con la scienza, le cosmogonie e il ruolo degli elementi primari, l'aria, l'acqua, il fuoco, nascevano da un pensiero al tempo stesso religioso, artistico, scientifico. L'unità tenne ancora fino a Pitagora, poi le due culture si separarono sviluppandosi ognuna per conto proprio, ma ancora in pieno rinascimento alcune personalità d'eccezione come Leonardo e Giordano Bruno riunificarono i linguaggi delle due culture che l'evoluzione delle idee aveva separato.

Oggi il pensiero scientifico ha avviato un percorso di profonda trasformazione dal quale emerge un aspetto che merita un attento esame: la ricerca sperimentale, che da Galileo in poi ha costituito l'ossatura della scienza moderna, è condizionata da ipotesi teoriche pregiudiziali, esalta il ruolo dello sperimentatore e per conseguenza la soggettività (e la precarietà) dei risultati di volta in volta raggiunti. Quest'aspetto è sempre stato implicito nella ricerca sperimentale ma ora è dichiaratamente esplicito. Senza una visione pregiudiziale del mondo che ci circonda, la sperimentazione sarebbe cieca, ma senza la conferma sperimentale la visione del mondo sarebbe vacua: questa è ormai la convinzione dominante che gli scienziati più avvertiti condividono.


Di qui il bisogno epistemologico di analizzare con cura crescente il ruolo dell'osservatore, cioè del soggetto, dei suoi punti di vista preliminari e dell'influenza che essi possono esercitare sui risultati della ricerca. Attraverso quest'analisi epistemologica si cerca insomma di 'ponderare' l'elemento soggettivo e 'ricaricare' l'oggettività della sperimentazione per quanto possibile. Se poniamo la questione da un altro punto di vista esaminando i rapporti tra il pensiero scientifico e le culture umanistiche, emergono problemi relativi all'autonomia della scienza e alle finalità della ricerca. Le questioni che si pongono sono le seguenti:

1. La scienza accetta che la politica e/o la religione pongano limiti alla ricerca? Accetta cioè vincoli di carattere etico oppure si pone al di fuori dell'etica?
2. La scienza cerca la spiegazione ultima del mistero della vita, la chiave che apra tutte le porte, la formula che racchiuda tutti saperi? Oppure procede a caso nella ricerca essendo consapevole che la spiegazione ultima non esiste se non affidandosi ad una fede che trascende la fenomenologia del mondo?
3. La scienza accetta i vincoli dell'etica e della trascendenza e si limita ad una ricerca con 'sovranità limitata' entro ambiti stabiliti da autorità extra-scientifiche?

Il mondo degli scienziati non è gerarchicamente organizzato, non esiste un papa né un imperatore che possano imporre le loro volontà. Perciò di fronte alle domande sopra formulate ci sono state e ci saranno sempre risposte soggettive. Dal punto di vista religioso esiste infatti una 'buona scienza' (quella che accetta di operare nell'ambito determinato dalla visione religiosa) e una 'cattiva scienza'. Esiste una verità assoluta o molte verità relative e questa divaricazione non deriva soltanto dai rapporti con il pensiero religioso ma anche dalla diversa posizione degli scienziati rispetto alla 'spiegazione ultima' del mistero della vita.


Questo grappolo di questioni variamente intrecciate tra loro hanno più d'un secolo di storia alle spalle. L'inizio che mise in discussione la scienza dell'epoca di Newton risale infatti alla teoria della relatività formulata da Albert Einstein agli inizi del Novecento e, qualche tempo dopo, dalla fisica dei 'quanti' e dei 'fotoni'. La discussione sulla soggettività o sull'oggettività della ricerca raggiunse il suo culmine alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quando Heisenberg formulò il principio dell'indeterminazione, constatando che è impossibile conoscere la posizione e la velocità dell'infinitamente piccolo, cioè dell'elettrone che ruota attorno al nucleo atomico. Posizione e velocità sono percepite dall'osservatore soltanto bombardando la particella infinitesima e sbalzandola dall'orbita. Significa rompere il giocattolo, il che preclude la conoscenza del giocattolo integro.

Poco dopo la tappa fondamentale di Heisenberg, la meccanica quantistica andò ancora più oltre. Con Pauli arrivò addirittura a teorizzare l'ipotesi della trascendenza come possibile elemento di inferenza nel processo fisico. Mise in discussione il principio della non contraddizione, quello della reversibilità del tempo e la legge di gravitazione. Infine prospettò la necessità di interconnessione tra pensiero scientifico e pensiero filosofico da effettuare attraverso un nuovo e comune linguaggio. La discussione, sempre più ricca ma non priva di incertezze e di confusione, è a questo punto. Tralascio, sebbene lo consideri essenziale, il rapporto tra scienza e tecnologia sul quale mi propongo di tornare.

Fondi a sovranità limitata


Massimo Riva
L'Espresso
29 agosto 2008
Dai tempi delle crociate sono cambiati gli atteggiamenti degli interlocutori dell'Occidente. Adesso si presentano sul mercato in forme organizzate, hanno sagacia finanziaria e potere contrattuale

Gli storici delle crociate, o almeno quelli meno conformisti fra loro, ritengono che una concretissima motivazione economica sia stata ben dissimulata dietro le giaculatorie religiose sulla riconquista della cosiddetta Terra Santa finita in mano agli infedeli. Essi partono dalla constatazione che in quei secoli, bui ma di intensi traffici commerciali, le economie dell'Europa avevano subito un pesante impoverimento della loro base monetaria (allora principalmente in argento) con parallela concentrazione di ricchezze nei forzieri dei califfati mediorientali. Se per la bandiera, insomma, il fine era di liberare il sepolcro di Cristo, per la cassa si trattava più prosaicamente di riprendersi il malloppo.

Un processo finanziario non troppo dissimile è quello che Europa e Stati Uniti stanno vivendo ora a seguito del colossale trasferimento di risorse da Occidente a Oriente in forza di due fattori sovrapposti: la brutale escalation dei prezzi petroliferi e il rapido accumulo di riserve in eccesso in paesi a forte crescita economica, la Cina avanti a tutti. Una recente stima dice che non meno di 3 mila miliardi di dollari sarebbe la dote nelle mani dei cosiddetti 'fondi sovrani' ovvero di quei soggetti finanziari che fanno capo al governo di un determinato Stato: da Abu Dhabi a Singapore, dal Kuwait alla Cina, dalla Arabia Saudita alla Russia e così via.

Anche una trentina d'anni fa, al tempo dei due primi shock petroliferi, l'Occidente si trovò ad affrontare un'analoga requisizione di liquidità. Preclusa la via di nuove crociate, si fece ricorso a un intenso riciclaggio dei petrodollari sia con maggiori forniture di prodotti ai paesi esportatori di greggio sia con investimenti diretti di questi ultimi in imprese europee: tipico il caso della Libia con la Fiat. La differenza rispetto a oggi è che gli interlocutori dell'Occidente erano meno avvezzi agli usi e costumi della finanza internazionale, mentre ora hanno imparato la lezione e si presentano sul mercato in forme organizzate (i fondi sovrani, appunto) che sanno ben combinare sagacia finanziaria e potere contrattuale.

Questa novità sta allarmando non pochi paesi occidentali. Al punto che perfino in Germania il governo di Angela Merkel ha messo in campo un disegno di legge per impedire a soggetti esterni all'Unione europea di acquisire partecipazioni rilevanti in imprese tedesche qualora ricorrano non meglio precisate ragioni "di ordine pubblico o di sicurezza nazionale". Un preoccupante segnale di paura dato che viene da un paese che è primo al mondo per esportazioni e dunque dovrebbe essere il più aperto sul piano degli scambi. Diventa perciò serio il rischio che la deriva protezionistica trovi altri seguaci in Europa, innescando una corsa alle barriere nazionali tale da trasformare il continente in una fortezza assediata con grave pericolo per la sopravvivenza del mercato unico. L'iniziativa tedesca è ora al vaglio di Bruxelles: c'è da sperare che al vertice dell'Unione non si sia smarrita la nozione dei vantaggi che la liberalizzazione degli scambi può ancora portare all'economia di tutti i paesi associati. La fruttuosa esperienza degli anni Settanta non va dimenticata.

Michelangeli - Ravel Piano Concerto - [2] Adagio assai

A.B. Michelangeli playing the Adagio of Ravel's Piano Concerto.
The orchestra is conducted by the famous Sergio Celibidache.

A caro prezzo



Alfredo Recanatesi
L'Unità
29 agosto 2008


Il decreto e il disegno di legge che il Consiglio dei ministri ha approvato ieri mattina costituiscono il compimento formale dell’operazione Alitalia: ossia dell’uso del potere esecutivo e legislativo in funzione di interessi particolari se non addirittura personali. Perché, non dimentichiamolo mai, tutta questa vicenda è nata dall’interesse personale di Berlusconi di far credere, per fini elettorali, che per la compagnia di bandiera fosse possibile una soluzione più conveniente di quella che il governo Prodi aveva imbastito con il gruppo Air France-Klm.


Se non ci fossero state di mezzo le elezioni, oggi Alitalia farebbe parte del più grande gruppo europeo di trasporto aereo; la gran parte del personale eccedente avrebbe trovato nuove collocazioni all’interno del gruppo ed un’altra parte sarebbe stata in attesa di rientrare; l’Italia avrebbe continuato ad avere una compagnia di bandiera, solida e con un rilevante potenziale di espansione, che avrebbe portato nel mondo i colori del nostro Paese; lo Stato avrebbe visto riconosciuto un valore netto della compagnia ceduta incassando soldi. Ma tutto questo avrebbe costituito - come ebbe a dire propagandisticamente - una “svendita”.


Bene. E ora la vendita qual è? La lista di quanto è stato venduto è corposa, ma è fatta di principi, di trasparenza, di legalità, di molte delle regole che in una democrazia compiuta dovrebbero guidare il comportamento e le determinazioni di ogni pubblico potere. Non si tratta solo degli oneri finanziari che finiranno per ricadere, direttamente o indirettamente, sulle finanze statali: saranno assai cospicui, ma c’è di peggio. C’è che la parte più consistente dell’operazione si perderà nei meandri obliqui di trattative private, di intese discrezionali, di regole ad hoc per comprare o compensare l’adesione al progetto di tutte le parti in causa. Non potremo avere mai un conto, sia pure approssimativo, di tutti i costi che ne deriveranno, ma saranno costi ingenti. Basti pensare quali potranno essere gli elementi dei calcoli di convenienza che possono aver indotto aziende di gestione di autostrade, imprese di assicurazione, aziende siderurgiche, armatori, a metter mano alla tasca per partecipare, in un settore di attività estraneo e distante quant’altri mai, ad una impresa che - ne parleremo dopo - è destinata a concludersi comunque con la fine dell'autonomia e della italianità di Alitalia. È forse un caso che quasi tutti i partecipanti alla cordata siano titolari di concessioni pubbliche o svolgano attività i cui ricavi dipendono da decisioni amministrative? È almeno lecito immaginare che nel rinnovo delle concessioni, o nella determinazione di tariffe, o nella concessione di licenze questi si attendano - come dire? - un occhio di riguardo?


Basti pensare a quale scompiglio potrà essere determinato dalla confluenza di migliaia di esuberi nell’azienda postale dopo che - sempre con una legge ad hoc giustificata dalla salvaguardia della efficienza e del conto economico - è stato bloccata l'assunzione di chi già vi ha lavorato con contratti a tempo determinato. Basti pensare all’indennizzo previsto - sarebbe davvero interessante sapere in base a quale principio lo Stato soccorre chi perde dall’investimento in attività finanziarie - a beneficio degli azionisti e degli obbligazionisti di Alitalia, una azienda di diritto privato, quotata in borsa come molte altre, le cui condizioni prefallimentari (a differenza del caso Parmalat tante volte evocato) erano da tempo ampiamente note. Basti pensare a quale futuro possano essere destinate le tariffe per i voli sulla tratta Roma - Milano, una tratta che già è stata dalle uova d’oro con quel po’ di concorrenza che Air One poteva fare ad Alitalia e sulla quale ora la nuova Alitalia potrà fare ancor più quel che gli parrà dal momento che Air One sarà stata incorporata e le norme antitrust tranquillamente scavalcate ope legis.


Basti pensare che la legge Marzano è stata modificata per consentire che una azienda in dissesto - nel caso Alitalia, ma d’ora in avanti potrà essere applicata ad altri casi - possa essere spaccata in due, con le cose buone da una parte e quelle in perdita da un’altra insieme ai debiti, in modo che con opportune ripartizioni sia possibile sottrarre dalle procedure fallimentari ciò che di buono può esserci, con buona pace dei creditori (una misura, questa, che può avere ripercussioni assai pesanti sull’intera economia andando nella direzione esattamente opposta a quella nella quale è da tempo avvertita la necessità di una riforma della legge fallimentare).


E qual è il risultato di una simile devastazione di principi, regole, doveri di trasparenza, criteri di sana amministrazione? Una Alitalia che, seppure ripulita da debiti ed inefficienze, e con un personale drasticamente ridotto e con stipendi “ricontrattati”, sarà assai più piccola, con una flotta quasi dimezzata ed una rete fortemente connotata dal corto e medio raggio. In tempi nei quali compagnie del calibro di Iberia e di British Airways si uniscono nella consapevolezza che da sole non ce la possono più fare, chiunque può capire quale sia il respiro, la prospettiva di questa operazione. La contropartita della devastazione di cui si è detto non può essere che quella di guadagnare un po’ di tempo prima che per Alitalia si compia il destino univocamente scritto da tempo: quello di confluire in un grande gruppo di trasporto aereo. Fino ad allora sarà italiana, certo, ma non per questo si potrà dire che ne sarà stata salvaguardata l’italianità. Una italianità così precaria, così costosa, ottenuta con tanto sacrificio di persone e di principi, vale ben poco, anzi è peggio di niente; comunque peggio di un accordo che fosse stato stipulato quando Alitalia un valore netto ancora lo aveva e con esso un minimo di forza contrattuale. Ma quella sarebbe stata una svendita. Noi, liberi da preconcetti, rimaniamo in attesa - poco fiduciosa, dobbiamo francamente dire - che qualcuno ci dimostri che questo, invece, è un affare.