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venerdì 4 giugno 2010

«Carceri, pianeta che può finire fuori controllo»


L’accusa di Luigi Morsello: in 37 anni ha diretto istituti minorili e case di reclusione. Nella sua autobiografia denuncia la situazione attuale: «La catena di comando si è dissolta, nessuno vigila più su nessuno»

LAURA BADARACCHI

«Sovraffollamento a parte, nelle carceri la catena di comando si è dissolta: nessuno controlla nessuno, mentre in passato non era così». Parla con franchezza e passione Luigi Morsello, classe 1938, ispettore generale dell’amministrazione penitenziaria da 5 anni in pensione; dal 1969 al 2005 ha diretto un istituto minorile, 7 case di reclusione ed è stato in missione come funzionario dirigente in altri 22 penitenziari italiani. E commenta con amarezza i fatti di cronaca che stanno portando quotidianamente alla luce «le nefandezze che accadono dietro le sbarre»: dalle nuove carceri costruite «con criteri folli, sprecando spazi nei corridoi e nei cortili » alle violenze: «Un comandante di reparto ha rimproverato un dipendente perché aveva malmenato un detenuto in sezione, davanti a tutti. Come dire: l’errore è stato nel farlo in pubblico, non nella condotta illegale». Un pianeta ormai fuori controllo, secondo Morsello, che ha appena pubblicato per Infinito edizioni 'La mia vita dentro. Le memorie di un direttore di carceri', volume curato da Francesco De Filippo e Roberto Ormanni. E in 36 anni è passato da quelli di massima sicurezza sulle isole di Gorgona e Pianosa a quelli a custodia attenuata, spesso scontrandosi con burocrazia e amministrazioni non sempre trasparenti. Morsello racconta i retroscena delle rivolte del 1974 e del 1977 a San Gimignano, l’evasione di Gianni Guido, la sezione speciale a Gorgona voluta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sullo sfondo, gli anni del terrorismo e il sequestro Moro, la paura delle Br e i processi ai suoi esponenti, gli attentati e l’assassinio di agenti di custodia e funzionari dello Stato. «Oggi le grandi rivolte non si verificano, ma siamo al limite: la corda si sta per spezzare», avverte, evidenziando come il ripetersi di suicidi e morti sospette denoti «la quasi totale incapacità di gestire i detenuti nella situazione di sovraffollamento: su oltre 200 istituti penitenziari, dubito che funzioni davvero più del 10%». Le soluzioni-tampone non bastano, osserva Morsello: «Innanzitutto, bisognerebbe sfrondare il codice di procedura penale di 200 reati, pensando ad ammende economiche. Invece ora la magistratura deve occuparsi di reati di bassissimo allarme sociale, che vanno a intasare le celle di persone spesso povere, come immigrati e tossicodipendenti, senza la possibilità di pagarsi un buon avvocato. Nel 2012 si arriverà a 80mila detenuti: si monteranno delle tendopoli, visto che ci vogliono almeno 5 anni per costruire un nuovo carcere?».

Altro nodo da sciogliere, il percorso di risocializzazione per chi sconta una pena definitiva. «Il carcere dovrebbe essere un luogo di recupero sociale, ma il sovraffollamento crea anche difficoltà nello svolgimento di attività, oltre che nel rispetto dei diritti umani: un penitenziario dovrebbe prevedere almeno 9 metri quadrati a detenuto e comunque una capienza massima di 200-300 detenuti».

martedì 18 maggio 2010

'La mia vita dentro': memorie di un direttore penitenziario


Paola Simonetti (18-05-2010)

Le riflessioni e la testimonianza unica di Luigi Morsello: 36 anni vissuti in 22 istituti di pena italiani, attraversando le rivolte dei detenuti degli anni '70, la minaccia degli 'anni di piombo', fino alla piaga del sovraffollamento.

"Non mi era mai accaduto, ma adesso la sera, quando vado a letto, tardissimo, la luce spenta, mi scorre nella mente un film disordinato: la mia vita per tanti, tantissimi anni. Chi dirige un carcere, chi dirigeva un carcere, non ha, non aveva, vita privata. (..) Un direttore di carcere – ma in realtà non so se capita anche ad altri: non l'ho mai chiesto – vede sfilare nei suoi ricordi facce, storie, divise, sbarre, manette, agenti e detenuti. Soprattutto detenuti. Come fosse una galleria di ritratti. Una mostra del passato".

I mille volti delle anime malconce passate per i penitenziari da lui diretti, sono fissi nel ricordo con cristallina nitidezza. Un singolare omaggio a chi ha pagato e paga ancora, ma anche un percorso a ritroso per riconoscere errori e mancanze del proprio operato.

Nel libro 'La mia vita dentro' (Infinito edizioni), Luigi Morsello classe 1938, ispettore generale dell'amministrazione penitenziaria, oggi in pensione, racconta il carcere come zona d'ombra di un'affollata solitudine; un'isola in cui chi dirige deve avere l'abilità (qualche volta senza riuscirci) di orchestrare destini, dolori e riscatto con i freddi carteggi della legge e dei suoi rappresentanti. Un mestiere che può togliere il sonno per anni.

Sulla pagina, memorie e riflessioni di Morsello hanno trovato il rigore della narrazione cronologica, che giudica, con amara presa di coscienza, la deriva di un sistema penitenziario alle corde. Il suo volume è un diario di viaggio unico, un ritorno di memoria necessario perché attuale. Ma per scriverlo ci è voluta la pressante sollecitazione di Roberto Ormanni, giornalista e co-curatore del volume, insieme a Francesco De Filippo, che ha avertito come i tempi fossero maturi, e azzeccati, per realizzare qualcosa mai tentato prima: far parlare un mondo dolente e malato attraverso la penna di chi lo ha diretto tanto a lungo e così intensamente, da tentare il suicidio.

"Avrei potuto scrivere questo libro molto tempo fa - spiega Morsello -, ma ero troppo impegnato a fare il direttore. Poi, quando il tempo me lo ha concesso, il materiale era divenuto così copioso, che non avrei saputo dove mettere le mani. A salvarmi è arrivato il prezioso aiuto dei curatori del volume".

Dopo 36 anni di servizio, dal 1969 al 2005, in un istituto minorile, sette case di reclusione e missioni come funzionario dirigente in altri 22 penitenziari della Penisola, un direttore 'scomodo', come lui stesso si definisce, ha deciso di ripercorre la sua vita professionale con schietta trasparenza, cadenzata anche da tragiche tappe esistenziali. Propulsiva l'urgenza di testimoniare quasi un quarantennio di storia italiana turbolenta e ferita, paradossalmente capace, lascia intendere l'autore, di rivendicazione e mobilitazione più di quanto si sappia fare oggi.

Il libro, in quest'ottica, sembra agganciarsi con straordinaria tempestività al recente e accorato appello del Sindacato dei direttori penitenziari (Si.di.pe), a non lasciare sola la categoria nel guado del sovraffollamento carcerario, giunto ad un livello di allarme mai sfiorato prima. La piaga delle galere che scoppiano è una bomba destinata ad esplodere con una violenza che, a detta di Morsello, oggi viene sottovalutata.

"È un pianeta ormai fuori controllo – spiega -, soggetto a leggi che non ne garantiscono il buon funzionamento, e ne acuiscono mali ormai divenuti endemici. Siamo destinati a veder tornare le rivolte carcerarie che precedettero la riforma della metà degli anni '70, quando si invocavano i 'permessi premiali' – pronostica-, ma stavolta le conseguenze potrebbero essere molto più devastanti, la corda si sta per spezzare. I campanelli di allarme sono i numerosi suicidi e le morti sospette, che evidenziano la quasi totale incapacità e impossibilità di gestire i detenuti nella situazione di sovraffollamento: su oltre 200 istituti penitenziari, dubito che funzioni davvero più del 10 per cento".

Primo passo, suggerito da Morsello, quello di sfoltire il codice penale di almeno 200 reati, pensando ad ammende economiche in un contesto in cui "la magistratura deve occuparsi di reati di bassissimo allarme sociale, che vanno a intasare le celle di persone spesso povere, come immigrati e tossicodipendenti, senza possibilità di pagarsi un buon avvocato. Nel 2012 si arriverà a 80mila detenuti. Il reato di clandestinità ha aggravato in modo drammatico la situazione".

"Soprattutto – aggiunge Morsello - occorrono urgentemente nuove risorse e personale adeguato (psicologi, volontari, medici) a sostegno del percorso di risocializzazione dei detenuti, le cui condizioni sono da terzo mondo: un penitenziario dovrebbe prevedere almeno 9 metri quadrati a detenuto, e comunque una capienza massima di 200-300 detenuti".

Diritti che, per l'ex direttore, passano anche per le tanto discusse 'stanze dell'amore', "certamente da regolamentare, con l'accesso consentito solo alle coppie sposate - precisa Morsello -, ma che senza dubbio renderebbero più dignitosa ed equilibrata l'esistenza nella restrizione della libertà. La rabbia alimentata dalla carenza di spazio vitale e diritti potrebbe esplodere dentro e fuori il carcere, anche una volta scontata la pena. E questa non è la rieducazione che teoricamente un penitenziario civile si propone di fornire".

Il passato dovrebbe essere capace di insegnare molto, secondo Luigi Morsello, perché lui, di questa storia, è stato uno dei protagonisti. 'La mia vita dentro' racconta i retroscena delle rivolte del 1974 e del 1977 a San Gimignano, l'evasione di Gianni Guido, la sezione speciale a Gorgona voluta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, le guardie carcerarie col whisky e le sfide per gestire il primo carcere dotato di computer. Sullo sfondo, gli anni di piombo ("in cui – ricorda l'autore- eravamo tutti preda della 'sindrome da accerchiamento. Nessuno sapeva quando e come sarebbe stato colpito dalla mano armata delle Br'), il sequestro Moro, l'assassinio di agenti di custodia e funzionari dello Stato, i processi agli esponenti delle Br.

La strada è stata lunga. Abbastanza lunga anche per capire, sottolinea l'autore, "che gli agenti penitenziari avrebbero bisogno di maggiore formazione per sostenere i ritmi e le atmosfere di un carcere, in grado di essere non solo custodi, ma anche garanti di un percorso di pena giusto e nel contempo umano. La rieducazione non è e non deve essere considerata un'utopia – conclude Luigi Morsello -, gli strumenti ci sono. Non usarli sarebbe un fallimento disastroso".

SCHEDA:

Titolo: 'La mia vita dentro. Le memorie di un direttore di carceri'

Autore: Luigi Morsello

A cura di: Francesco De Filippo e Roberto Ormanni

Casa editrice: Infinito edizioni

Prezzo: Euro 14.00

martedì 4 maggio 2010

Il carcere raccontato da un direttore: "Pianeta fuori controllo"

da REDATTORE SOCIALE
LAURA BADARACCHI

Esce "La mia vita dentro" di Luigi Morsello, che ha diretto un istituto minorile, 7 case di reclusione ed è stato in missione come funzionario dirigente in altri 22 penitenziari italiani. "Oggi le grandi rivolte non si verificano, ma siamo al limite"

ROMA - «Sovraffollamento a parte, nelle carceri la catena di comando si è dissolta: nessuno controlla nessuno, mentre in passato non era così». Parla con franchezza e passione Luigi Morsello, classe 1938, ispettore generale dell'amministrazione penitenziaria da cinque anni in pensione; dal 1969 al 2005 ha diretto un istituto minorile, 7 case di reclusione ed è stato in missione come funzionario dirigente in altri 22 penitenziari italiani. E commenta con amarezza i fatti di cronaca che stanno portando quotidianamente alla luce «le nefandezze che accadono dietro le sbarre»: dalle nuove carceri costruite «con criteri folli, sprecando spazi nei corridoi e nei cortili» alle violenze: «Un comandante di reparto ha rimproverato un dipendente perché aveva malmenato un detenuto in sezione, davanti a tutti. Come dire: l'errore è stato nel farlo in pubblico, non nella condotta illegale».

Un pianeta ormai fuori controllo, secondo Morsello, che ha appena pubblicato per Infinito edizioni "La mia vita dentro. Le memorie di un direttore di carceri", primo volume - curato da Francesco De Filippo e Roberto Ormanni - sulla vita nei penitenziari scritto da uno che aveva la responsabilità di dirigerli. E in 36 anni è passato da quelli di massima sicurezza sulle isole di Gorgona e di Pianosa a quelli a custodia attenuata, spesso scontrandosi con burocrazia e amministrazioni non sempre trasparenti. Morsello racconta i retroscena delle rivolte del 1974 e del 1977 a San Gimignano, l'evasione di Gianni Guido, la sezione speciale a Gorgona voluta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, le guardie carcerarie col whisky e le sfide per gestire il primo carcere dotato di computer. Sullo sfondo, gli anni del terrorismo e il sequestro Moro, la paura delle Brigate Rosse e i processi ai suoi esponenti, gli attentati e l'assassinio di agenti di custodia e funzionari dello Stato.

«Oggi le grandi rivolte non si verificano, ma siamo al limite: la corda si sta per spezzare», avverte, evidenziando come il ripertersi di suicidi e morti sospette denoti «la quasi totale incapacità e impossibilità di gestire i detenuti nella situazione di sovraffollamento: su oltre 200 istituti penitenziari, dubito che funzioni davvero più del 10%». Le soluzioni-tampone non bastano, osserva Morsello: «Innanzitutto, bisognerebbe sfrondare il codice di procedura penale di 200 reati, pensando ad ammende economiche. Invece ora la magistratura deve occuparsi di reati di bassissimo allarme sociale, che vanno a intasare le celle di persone spesso povere, come immigrati e tossicodipendenti, senza la possibilità di pagarsi un buon avvocato. Nel 2012 si arriverà a 80mila detenuti: si monteranno delle tendopoli per la reclusione, visto che ci vogliono almeno 5 anni per costruire un nuovo carcere?».Altro nodo da sciogliere, il percorso di risocializzazione per chi sconta una pena definitiva. «Il carcere dovrebbe essere un luogo di recupero sociale, ma il sovraffollamento crea anche difficoltà nello svolgimento di attività, oltre che nel rispetto dei diritti umani: un penitenziario dovrebbe prevedere almeno 9 metri quadrati a detenuto e comunque una capienza massima di 200-300 detenuti». (lab)

mercoledì 10 marzo 2010

"La mia vita dentro", viaggio nelle carceri, come sono e come dovrebbero essere

Luigi Morsello


di SILVANA MAZZOCCHI

Il carcere, il luogo chiuso dove il tempo è sospeso e non esiste più, dove detenuti e agenti sono costretti a dividere ore e spazio. "Istituzione totale" definisce il carcere Michel Foucault, al pari dei manicomi o degli ospizi. "Ma", sottolinea puntuale il magistrato Pierluigi Vigna nella prefazione al libro di Luigi Morsello La mia vita dentro, quella definizione si rivela carente. Perché "trascura il flusso di vita che lì si svolge, l'interscambio tra custodi e custoditi e non guarda alla considerazione del vissuto di ogni detenuto prima del suo ingresso in istituto, e che egli porta irrimediabilmente con sé."

E la realtà carceraria dura nel tempo, fra il sovraffollamento endemico delle celle, il personale carente, i fondi spesso inadeguati, la burocrazia che frena e tutte le difficoltà che rendono arduo, quando non impossibile, il percorso di rieducazione e di reinserimento che ai detenuti dovrebbe essere garantito per legge.

Una realtà sulla quale ora riaccende i riflettori il libro di memoria (non di memorie) La mia vita dentro. Lo ha scritto Luigi Morsello, per trentasei anni direttore carcerario in sette case di pena e funzionario in missione in altre ventidue, grande conoscitore del pianeta carcerario; e lo ha pubblicato Infinito edizioni, una casa editrice da sempre attenta all'attualità che sarà a Modena al Buk Festival della piccola e media editoria il 13 e il 14 marzo prossimi.

Ripercorre decenni di "carcere" Morsello, durante i quali hanno trovato spazio gli eventi più devastanti vissuti dal Paese. Attraversa gli anni foschi del terrorismo, gli scandali, la mafia, la criminalità grande e piccola. Ecco i luoghi di massima sicurezza come Gorgona o Pianosa, gli istituti " a custodia attenuata". Non ricostruisce, offre lampi. Significativi. Evasioni, Rivolte, scontri con amministrazioni non sempre trasparenti. Ma anche vita quotidiana, fatica, dolore. E i detenuti, facce, storie, una galleria di fatti, e di ritratti. Da Epaminonda a Gianni Guido, da Renato Curcio a Marco Donat Cattin, fino a Sindona.

Una lettura istruttiva che, se è vero che anche dal carcere passa la nostra memoria, può aiutare la capacità di stare nel presente.

Morsello, qual è il ricordo più duro della sua vita dentro?

L'evasione da San Gimignano di Giovanni Guido, detto Gianni, (uno dei responsabili della strage del Circeo del 1976). Che ebbe l'effetto di un ciclone nella mia vita e in quella della mia famiglia. Guido fuggì con modalità di una banalità incredibile. Lavorava come scopino in portineria; a mia insaputa, durante un mese di assenza dovuto a una missione nel carcere di Pianosa, aveva ottenuto, in aggiunta alle mansioni di scrivano presso lo Spaccio Agenti, il compito di inserviente in caserma agenti e portineria. Un lavoro normalmente affidato a due detenuti. Ma, appena arrivò Guido, uno di loro chiese di essere esentato dal servizio. Così, quando il 25 gennaio 1981, domenica, alle ore 19, Guido si presentò da solo, la cosa non destò sospetti nel portinaio. Pochi minuti dopo Guido lo colpì alla testa, con un pesante posacenere. Così aprì senza problemi il portone di ingresso e si dileguò nella campagna. Una latitanza durata molti anni. Io fui sottoposto a procedimento penale per 'procurata evasione' (ripeto, non ero presente in quei giorni, né mi era stata comunicata la mansione di Guido), derubricata in 'evasione per colpa' dal Giudice istruttore, assieme ad altri. La Corte d'Assise d'appello confermò l'applicazione dell'amnistia per la "culpa in vigilando", come anche la Cassazione.

Anni di piombo, criminalità. Chi sono i detenuti che sono rimasti nella sua memoria?

Fra tutti spicca la figura di un anziano, Guerrino Costi, in carcere dal 1954 per duplice omicidio volontario non premeditato, scarcerato nel 1976. Un delitto maturato nel mondo di tensioni tra ex partigiani e nuovi democristiani. Lo accompagnai in centro a San Gimignano, dopo avergli fatto ottenere la liberazione condizionale, gli regalai una cravatta e dovetti fargli il nodo, che non aveva mai saputo fare. Aveva lavorato nel mio alloggio di servizio, conosceva la mia famiglia, scrisse dopo un anno dalla scarcerazione una lettera a mia moglie, per ringraziarla dell'umanità col quale era stato trattato.

Poi Angelo Epaminonda, mafioso, in carcere a Busto Arsizio, sezione per semiliberi trasformata in sezione speciale. Un uomo tremendo, irascibile, aggressivo, collaborava col pm Francesco Di Maggio, aveva confessato diverse decine di omicidi, mandando in carcere molti componenti del suo gruppo milanese, con i quali conviveva nella stessa sezione, loro stessi divenuti tutti collaboratori di giustizia. E ancora, Patrizio Peci, Sezione Pentiti, Marco Donat Cattin, Sezione Dissociati ad Alessandria.

Il carcere, come è e come dovrebbe essere.

Come è: invivibile. Il sovraffollamento mortifica ogni possibilità di intervento trattamentale efficace. A distanza di appena tre anni dall'indulto del 2006. Le cause: l'inesistenza di una politica criminale e dell'esecuzione penale. Troppi tipi di reati a basso allarme sociale nel codice penale e nelle altre centinaia di leggi penali, che potrebbero essere derubricati a infrazione amministrativa e sanzione pecuniaria; una politica sbagliata di approccio al gravissimo fenomeno delle tossicodipendenze, che portano in carcere persone per tipi di droghe e quantità insignificanti. Vi sono carceri e sezioni di carceri in attesa di essere utilizzati, fermi per mancanza di personale e risorse economiche.

Come dovrebbe essere: ho letto che un intervento normativo produrrebbe la rapida scarcerazione di almeno ventimila detenuti. Le nuove carceri dovrebbero essere di 300 posti per le case circondariali e 200 per le case penali, con celle standard di venti metri quadri servizi compresi per tre detenuti, laboratori per attività lavorative e corsi professionali. Occorrono educatori, psicologi e criminologi a tempo pieno, le misure alternative alla detenzione debbono essere applicate con rigore ma, in modo massiccio e rigorosamente mirato al trattamento dei detenuti invece che trasformate in una sorta di area di parcheggio.

Luigi Morsello

La mia vita dentro

A cura di Francesco De Filippo e Roberto Ormanni

Infinito edizioni

Pag 203, euro14

(10 marzo 2010)