Esce "La mia vita dentro" di Luigi Morsello, che ha diretto un istituto minorile, 7 case di reclusione ed è stato in missione come funzionario dirigente in altri 22 penitenziari italiani. "Oggi le grandi rivolte non si verificano, ma siamo al limite"
ROMA - «Sovraffollamento a parte, nelle carceri la catena di comando si è dissolta: nessuno controlla nessuno, mentre in passato non era così». Parla con franchezza e passione Luigi Morsello, classe 1938, ispettore generale dell'amministrazione penitenziaria da cinque anni in pensione; dal 1969 al 2005 ha diretto un istituto minorile, 7 case di reclusione ed è stato in missione come funzionario dirigente in altri 22 penitenziari italiani. E commenta con amarezza i fatti di cronaca che stanno portando quotidianamente alla luce «le nefandezze che accadono dietro le sbarre»: dalle nuove carceri costruite «con criteri folli, sprecando spazi nei corridoi e nei cortili» alle violenze: «Un comandante di reparto ha rimproverato un dipendente perché aveva malmenato un detenuto in sezione, davanti a tutti. Come dire: l'errore è stato nel farlo in pubblico, non nella condotta illegale».
Un pianeta ormai fuori controllo, secondo Morsello, che ha appena pubblicato per Infinito edizioni "La mia vita dentro. Le memorie di un direttore di carceri", primo volume - curato da Francesco De Filippo e Roberto Ormanni - sulla vita nei penitenziari scritto da uno che aveva la responsabilità di dirigerli. E in 36 anni è passato da quelli di massima sicurezza sulle isole di Gorgona e di Pianosa a quelli a custodia attenuata, spesso scontrandosi con burocrazia e amministrazioni non sempre trasparenti. Morsello racconta i retroscena delle rivolte del 1974 e del 1977 a San Gimignano, l'evasione di Gianni Guido, la sezione speciale a Gorgona voluta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, le guardie carcerarie col whisky e le sfide per gestire il primo carcere dotato di computer. Sullo sfondo, gli anni del terrorismo e il sequestro Moro, la paura delle Brigate Rosse e i processi ai suoi esponenti, gli attentati e l'assassinio di agenti di custodia e funzionari dello Stato.
«Oggi le grandi rivolte non si verificano, ma siamo al limite: la corda si sta per spezzare», avverte, evidenziando come il ripertersi di suicidi e morti sospette denoti «la quasi totale incapacità e impossibilità di gestire i detenuti nella situazione di sovraffollamento: su oltre 200 istituti penitenziari, dubito che funzioni davvero più del 10%». Le soluzioni-tampone non bastano, osserva Morsello: «Innanzitutto, bisognerebbe sfrondare il codice di procedura penale di 200 reati, pensando ad ammende economiche. Invece ora la magistratura deve occuparsi di reati di bassissimo allarme sociale, che vanno a intasare le celle di persone spesso povere, come immigrati e tossicodipendenti, senza la possibilità di pagarsi un buon avvocato. Nel 2012 si arriverà a 80mila detenuti: si monteranno delle tendopoli per la reclusione, visto che ci vogliono almeno 5 anni per costruire un nuovo carcere?».Altro nodo da sciogliere, il percorso di risocializzazione per chi sconta una pena definitiva. «Il carcere dovrebbe essere un luogo di recupero sociale, ma il sovraffollamento crea anche difficoltà nello svolgimento di attività, oltre che nel rispetto dei diritti umani: un penitenziario dovrebbe prevedere almeno 9 metri quadrati a detenuto e comunque una capienza massima di 200-300 detenuti». (lab)
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