MARIO DEAGLIO
Di fronte alle notizie in arrivo dalla Grecia, che parlano di gravi disordini e di possibile instabilità politica, di fronte ai mugugni dei cittadini-elettori dei Paesi ricchi, che si esprimono con sempre minor consenso ai partiti di governo, c’è da domandarsi se il mondo della finanza non abbia, per caso, fatto i conti senza l’oste.
L’oste, in questo caso, è rappresentato dai cittadini-elettori, appunto, ai quali si richiede un esercizio di austerità quasi sempre non piccolo, in certi casi durissimo, per compensare i tempi allegri in cui gli stessi cittadini hanno eletto governi-cicala. I governi-cicala hanno varato sistemi pensionistici non sostenibili, aumentato spese pubbliche non essenziali, indebolito in vari altri modi la finanza pubblica. Naturalmente i cittadini hanno sbagliato a scegliere governanti poco saggi, ma è sufficiente quest’errore a giustificare il sacrificio di intere generazioni di giovani che non trovano lavoro, nonché di quella porzione di lavoratori che vede diminuire sia la stabilità del proprio lavoro sia il potere d’acquisto dei propri salari?
Non si tratta di una domanda retorica, bensì di un interrogativo politico del quale nessuno conosce bene la risposta. È però legittimo supporre che, prima o poi, appaia sulla scena politica qualche leader che, rispolverando ideologie oggi in soffitta, si chiederà se non è preferibile far pagare, almeno in parte, la crisi al «capitale» - oggi peraltro diffuso ben al di là della normale cerchia dei capitalisti - invece che al «lavoro». Del resto, molti cittadini-elettori sarebbero probabilmente d’accordo con una proposta che riducesse il valore dei titoli pubblici in loro possesso purché i loro figli e nipoti siano in condizione di avere un lavoro stabile a condizioni almeno non peggiori di quelle dei padri.
In quest’orizzonte si inquadrano i dibattiti sul debito della Grecia: un Paese che non può essere aiutato con la «ristrutturazione» del suo debito senza che ne soffra tutto il sistema (ovvero le banche - non italiane - detentrici di gran parte di questo debito), ma che ugualmente non può essere aiutato con il rifinanziamento del debito stesso da parte dei Paesi dell’euro senza una ribellione elettorale da parte dei cittadini-elettori chiamati a sopportare un ennesimo, gravoso peso.
Probabilmente per
Siamo condannati a vivere un lungo periodo d’incertezza monetaria che, di fatto, lega le mani a tutti i governi e che impedisce in particolare al governo italiano di allentare i cordoni della borsa, come piacerebbe a molti ministri. Basterebbe un solo accenno concreto in questa direzione a far iscrivere l’Italia nell’elenco dei Paesi a rischio e a far cadere il valore di mercato dei titoli del debito pubblico italiano. In questo contesto va collocato il pesante avvertimento della Banca Centrale Europea, nel suo bollettino mensile uscito ieri, perché il Paese specifichi meglio «ulteriori interventi» (ossia tagli alle spese pubbliche e quant’altro) per alcune decine di miliardi di euro entro il 2013. Erano cose già note, ma il ripeterle nel momento in cui un italiano sta per prendere il timone a Francoforte può avere l’intento di sottolineare che, non per questo, l’Italia potrà anche solo pensare a condizioni di favore.
Il sistema monetario che emergerà da questa fase di passaggio, che si spera il più possibile ordinata, non potrà più essere incentrato sul dollaro, ostaggio dei giochi politici interni degli Stati Uniti; sarà probabilmente multipolare e all’inizio molto confuso. Se si continuerà a commerciare, a scambiare, però, non si comincerà a guerreggiare su larga scala ed episodi tristi come quello libico rimarranno isolati.
1 commento:
Possibile che i nostri attuali governanti siano così ciechi e sordi da non rendersi conto delle ricadute, disastrose, di ulteriori interventi a debito? Che così il sistema-Italia, già gravemente offeso dalla incapacità di vergogna dei suoi 'governanti' si destruttura, fallisce, va a puttane, cazzo!
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