Tommaso Di Francesco
IL MANIFESTO
Che cosa hanno in comune gli assalti ai rom diventati il pericolo pubblico numero uno, la campagna di maxiblitz di polizia in tutta Italia, l’introduzione da parte del governo del reato di clandestinità con la richiesta di poteri locali straordinari?
L’Italia si fa ronda, sostenuta da un governo che ne rappresenta l’avanguardia politica.
Il gioco è sporco e ci riguarda. Qui si parla di libertà. Quella che vogliamo costruire, per la quale esistiamo. Una libertà liberante, inclusiva, che riconosce l’irripetibilità dell’altro nella sua capacità di costituirsi come soggetto che spera, lotta, cambia il mondo; una libertà che integra e parla agli individui, ai deboli, ai loro bisogni, nella dolorosa consapevolezza d’essere sfruttati e divisi in classi, emarginati dai processi di globalizzazione forse giunti a un punto terminale. In una umanità sessuata ma in guerra oscura e materiale con il genere femminile contraddetto e avversato da ogni forma di potere maschile.
Ecco che ora invece l’Italia si fa ronda, anzi si fa «comunità», nel senso degenerato dello slogan neonazistaforzanuovista «difendi il simile, distruggi tutto il resto». Escludi tutto il resto. E cieca riduce il delitto alla sola appartenenza etnica.
Peggio. Chi non è simile non solo è diverso, è tout court colpevole. Così la clandestinità non è la condizione tragica di chi decide di diventare protagonista del proprio destino e sceglie la fuga dalla miseria del Maghreb, della grande Africa nera o dell’Asia.
Questo voler fuggire dalle condizioni reali di dannati della terra è nient’altro che crimine.
Qualcuno, in modo bipartisan, invoca una «politica estera adeguata» lì dove la migrazione ha origine.
Vuol dire che allarghiamo l’universo concentrazionario, con nuovi cpt subito in ogni regione italiana prima della grande pulizia etnica, per poi assegnare ai regimi locali le chiavi dei cancelli di nuovi campi di concentramento che già disegnano una geografia carceraria, da Ceuta e Melilla alla Libia e all’Egitto.
È la sicurezza tour operator.
E i rom, che in molti hanno subìto le recenti espulsioni delle guerre balcaniche e tutti lo sterminio nazista come gli ebrei, diventano sinonimo di richiesta di sicurezza. Eppure ben altro è il delinquere italiano delle grandi mafie come dei pozzi neri profondi sparsi nella periferia del Belpaese.
Siamo all’ideologia della sicurezza. Ideologia vuol dire falsa coscienza. Guardate a Niscemi dove tre adolescenti diventano branco e seviziano il corpo di una ragazza coetanea, si danno l’ordine d’uccidere per Sms, pronti a raccontare che la vittima prima di sparire «aveva sentito un uomo nero»; e ora il paese chiede la «cacciata del branco». Quando dietro c’è «da cacciare» una generazione costretta nell’adolescenza al sesso come sotterfugio, nell’incapacità di confrontarlo con i modelli mediatici dominanti e quelli «paesani» e adulti del gruppo d’appartenenza.
Guardate all’ossimoro che cammina in carne ed ossa per le strade di Napoli. Dove alla testa delle proteste popolari contro i rom c’è la camorra, la stessa che negli ultimi mesi ha insanguinato con centinaia di delitti veri quella città.
La comunità dei simili applaude.
L’Italia si fa ronda, sostenuta da un governo che ne rappresenta l’avanguardia politica.
Il gioco è sporco e ci riguarda. Qui si parla di libertà. Quella che vogliamo costruire, per la quale esistiamo. Una libertà liberante, inclusiva, che riconosce l’irripetibilità dell’altro nella sua capacità di costituirsi come soggetto che spera, lotta, cambia il mondo; una libertà che integra e parla agli individui, ai deboli, ai loro bisogni, nella dolorosa consapevolezza d’essere sfruttati e divisi in classi, emarginati dai processi di globalizzazione forse giunti a un punto terminale. In una umanità sessuata ma in guerra oscura e materiale con il genere femminile contraddetto e avversato da ogni forma di potere maschile.
Ecco che ora invece l’Italia si fa ronda, anzi si fa «comunità», nel senso degenerato dello slogan neonazistaforzanuovista «difendi il simile, distruggi tutto il resto». Escludi tutto il resto. E cieca riduce il delitto alla sola appartenenza etnica.
Peggio. Chi non è simile non solo è diverso, è tout court colpevole. Così la clandestinità non è la condizione tragica di chi decide di diventare protagonista del proprio destino e sceglie la fuga dalla miseria del Maghreb, della grande Africa nera o dell’Asia.
Questo voler fuggire dalle condizioni reali di dannati della terra è nient’altro che crimine.
Qualcuno, in modo bipartisan, invoca una «politica estera adeguata» lì dove la migrazione ha origine.
Vuol dire che allarghiamo l’universo concentrazionario, con nuovi cpt subito in ogni regione italiana prima della grande pulizia etnica, per poi assegnare ai regimi locali le chiavi dei cancelli di nuovi campi di concentramento che già disegnano una geografia carceraria, da Ceuta e Melilla alla Libia e all’Egitto.
È la sicurezza tour operator.
E i rom, che in molti hanno subìto le recenti espulsioni delle guerre balcaniche e tutti lo sterminio nazista come gli ebrei, diventano sinonimo di richiesta di sicurezza. Eppure ben altro è il delinquere italiano delle grandi mafie come dei pozzi neri profondi sparsi nella periferia del Belpaese.
Siamo all’ideologia della sicurezza. Ideologia vuol dire falsa coscienza. Guardate a Niscemi dove tre adolescenti diventano branco e seviziano il corpo di una ragazza coetanea, si danno l’ordine d’uccidere per Sms, pronti a raccontare che la vittima prima di sparire «aveva sentito un uomo nero»; e ora il paese chiede la «cacciata del branco». Quando dietro c’è «da cacciare» una generazione costretta nell’adolescenza al sesso come sotterfugio, nell’incapacità di confrontarlo con i modelli mediatici dominanti e quelli «paesani» e adulti del gruppo d’appartenenza.
Guardate all’ossimoro che cammina in carne ed ossa per le strade di Napoli. Dove alla testa delle proteste popolari contro i rom c’è la camorra, la stessa che negli ultimi mesi ha insanguinato con centinaia di delitti veri quella città.
La comunità dei simili applaude.
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