domenica 25 maggio 2008

PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI

Armando Voza

Il 18 novembre 2007 il Centro Culturale Studi Storici di Eboli ha organizzato una serata dal titolo “PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI - Idee e suggerimenti per la tutela e la salvaguardia del patrimonio storico ed artistico di Eboli -. La risposta del pubblico è stata soddisfacente ma mancavano gli attori principali, i residenti del centro antico di Eboli.
Non vorrei annoiarvi ma ho voluto riportare, integralmente, il contenuto del mio intervento perché sintetizza la situazione drammatica nella quale versa quello che dovrebbe essere, a detta dell’attuale amministrazione comunale, il volano che rilancerà la rinascita culturale ed economica di questo paese. Ecco cosa osai dire in presenza di consiglieri ed assessori comunali, assessori provinciali ed ex sindaci.
“Stasera, a distanza di circa sette anni, ci ritroviamo ancora una volta a parlare di un problema di assoluta gravità: la piaga dei furti delle opere d’arte ed arredi urbani nel centro antico di Eboli, dimostrando che quello che andiamo dicendo e gridando da tempo è solo un esercizio dialettico vuoto. Questo incontro nasce dalla necessità di fare il punto della situazione cercando di proporre, stasera, qualche suggerimento e qualche soluzione.
Il mio contributo, quindi, ha l’unica pretesa di preparare il terreno agli interventi dei relatori che mi seguiranno e che, meglio di me, sapranno spiegarvi quali pericoli stiamo correndo. L’incontro di questa sera sarà un momento di riflessione per capire chi siamo e da dove veniamo ma soprattutto dove stiamo andando e questo perché riteniamo che la conoscenza delle cose e dei luoghi e la loro salvaguardia siano l’unico strumento che abbiamo per capire, amare e rispettare le generazioni che ci hanno preceduto ed i frutti del loro lavoro ma potrebbe essere anche la nostra tangibile dimostrazione di amore verso i nostri figli e nipoti ai quali non potremmo lasciare un dono più bello. Prima di iniziare, vorrei ringraziare e salutare tutti voi per essere qui stasera, un saluto affettuoso ed un ringraziamento lo rivolgo a Don Donato Paesano per averci ospitati e ai nostri amici esperti di storia locale, presenti tra il pubblico.
Ringraziamenti doversi vanno anche al presidente del Centro Culturale Studi Storici Giuseppe Barra che da oltre dieci anni porta avanti questa dura lotta contro la “distrazione” dei politici e l’indifferenza degli stessi ebolitani affiancato, da qualche anno, dalla nostra guerrigliera ed amica Vitina Paesano – presidente dell’associazione Tufara – i quali (con i rispettivi associati) condividono lo sforzo di vedere un centro antico degno di questo nome, più vivibile e dignitoso. Saluto gli amici delle altre associazioni culturali e gli amici della Pro Loco con i quali speriamo di iniziare un percorso proficuo.
Permettetemi, però, di fare una cosa che desideravo di fare da tempo ed esattamente da quando, un anno fa, scrissi sul mensile “Il Saggio” un articolo, in tre parti, intitolato “Uno scrigno violato” nel quale trattai il problema dei furti di opere d’arte soffermandomi sulla sparizione e sul successivo ritrovamento del trittico del maestro Pavatino da Palermo – un’opera del 1472 – rubato nella chiesa di San Biagio tra il 20 e il 26 aprile 1990 e ritrovato nel 1996 dopo una lunga e difficile attività di intelligence di un bravo e astuto sottufficiale dei carabinieri in servizio presso il Comando Tutela Patrimonio Culturale dell’Arma dei Carabinieri di stanza a Napoli, parlo del maresciallo Roberto Gallo, un ebolitano, di cui mi onore di essergli amico, che stasera ho il piacere di avere tra il pubblico un amico dell’Associazione che dopo inviteremo a parlare e a portarci un poco della sua esperienza operativa in questo settore. E’ a lui che, personalmente, vorrei dedicare questa serata visto che, oltre dieci anni fa, alla notizia del ritrovamento e del ritorno a casa di questa meravigliosa opera nessun’autorità politica si degnò di rendere il giusto riconoscimento all’Arma e al sottufficiale che tanto si era impegnato (nessuno è profeta in patria e ad Eboli questo principio vale di più). Ci resta solo una bellissima lettera di don Donato Paesano – coinvolto personalmente nelle ricerche – indirizzata al generale Roberto Conforti, allora comandante del Nucleo dei Carabinieri alla quale fece seguito quella del vescovo di Salerno.


Illustrissimo Signor Generale
La ricognizione fotografica del dipinto del maestro Pavatino da Palermo, trittico raffigurante “Madonna con bambino”, “S. Eustachio” e “S. Caterina”, trafugato dalla Chiesa di S.Eustachio in Eboli (SA) nel 1990, mi ha dato la certezza sicura del suo ritrovamento. Non si può credere quanto questa notizia mi ricolmi di gioia ed esultanza insieme alla popolazione; il ritrovamento rappresenta la ricostituita integrazione spirituale e morale con i tratti distintivi che segnano una storia e una antica tradizione religiosa. L’occasione è gradita per sottolineare come continui successi registrati dal reparto operante dell’Arma dei carabinieri evidenziano ormai lo spessore crescente di una coscienza civile e culturale che attraverso l’abnegazione, l’impegno e lo sforzo operativo di uomini e strutture, traduce e qualifica efficacemente la risposta dello Stato democratico contro l’odioso delitto costituito dal trafugamento delle opere d’arte ed il conseguente svilimento di valori spirituali, artistici e morali che questo reca all’intera collettività. E’ una vittoria che rinsalda e rinvigorisce il prestigio dell’Arma al cospetto della popolazione intera. A Lei, signor Generale, ai marescialli Roberto Gallo, Lagravinese Leopardo e Vicidomini Rocco Antonino ed agli uomini del Suo Reparto esprimo la mia gratitudine e riconoscenza.
Con sensi di profondo ossequio
Sac. Donato Paesano.

Questa meravigliosa opera, e con essa altri due magnifici dipinti a tema religioso, oggi sono esposti nel museo diocesano di Salerno e trovo inconcepibile che nessuno di quelli che si sono riempiti e si riempiono la bocca di paroloni come “rilancio culturale” e “grandi progetti di sviluppo” non si sia ancora attivato per chiederne la legittima restituzione così da poterli riportare, previe opportune garanzie di tutela, di nuovo del nostro paese. Ma lasciamo solo momentaneamente questa dolente nota per fare qualche accenno alla storia della nostra comunità.
La storia dell’insediamento abitativo di Eboli è strettamente legata alla frequenza delle incursioni barbariche. Se pensiamo a come si sia sviluppata nei secoli la nostra città, abbandonando Montedoro, dove sono affiorati insediamenti umani risalenti a circa 3000 anni fa, per scendere verso valle, si può comprendere come nel tempo le antiche popolazioni locali abbiano acquisito maggiore sicurezza nei propri mezzi temendo sempre meno il pericolo di attacchi dall’esterno. Lo sviluppo dell’ abitato urbano, in parte protetto da mura in altre sfruttando la morfologia del terreno (penso al profondo solco scavato dal torrente Tufara che ha creato una difesa naturale), permise al nucleo abitativo di espandersi sul territorio assumendo quella forma a cuneo facilmente osservabile dalla Piana e dalle colline circostanti. L’accesso all’interno dell’abitato era favorito da porte che, fatta eccezione per alcune scomparse dopo l’ampliamento della cittadina (porta Dogana), fino a circa 70 anni fa erano ancora cinque: porta S. Caterina detta anche porta Principale o porta della Terra, porta Pendino, porta S. Sofia, porta Barbacani (o Sant’Eustachio) e porta Borgo. La gente lasciava le proprie abitazioni attraversando proprio queste porte, che di sera venivano rigorosamente chiuse, per recarsi alla chiana a lavorare i campi o a raccoglierne i frutti, o per salire sulle colline circostanti per la raccolta delle olive o della legna. Esistono diverse descrizioni della nostra cittadina e in alcuna di queste (della metà dell’800) viene fuori un quadro a dir poco desolante che richiama alla mente gli oscuri e nauseabondi vicoli napoletani del Seicento nei quali la luce del sole filtrava con difficoltà e dove l’odore acre degli scarti alimentari ed organici lasciati per strada (molto spesso gettati nel Tufara) creavano cloache a cielo aperto con rivoli di liquami, nei quali possiamo immaginare sguazzassero i bambini, che rendevano l’aria di quelle anguste stradine e dell’intera zona letteralmente irrespirabile.
Nel centro antico di Eboli convivevano, quasi gomito a gomito, persone di classi sociali diverse: nobili, notabili, commercianti, contadini che passavano da gesti di grande solidarietà a forti tensioni di natura sociale o politica.
Fino al 1870 circa la vita cittadina si svolgeva, come detto, quasi esclusivamente nel centro antico per cui qui troviamo palazzi nobiliari ed edifici pubblici e numerose chiese che segnalano una particolare sensibilità religiosa del popolo ebolitano. E’ inutile dire che questi edifici (religiosi e non) contenevano al proprio interno arredi di grande pregio, oggetti che in seguito sono diventati particolarmente appetibili per chi ne ha fatto della loro ricettazione una fonte di reddito.
E’ a questo punto che vorrei ricollegarmi all’argomento trattato questa sera.
Il volto di questa parte del paese, sfigurato dai bombardamenti del ’43 e dal terremoto dell’80, negli ultimi dieci anni ha subìto un cambiamento radicale. Le operazioni di ricostruzione (e non recupero) per le quali sono stati previsti, saggiamente, alcuni vincoli (piano cromatico, riutilizzo dei basoli, definizione delle aperture e degli infissi, impianti di illuminazione adeguati) hanno ridotto ma non eliminato i danni causati dal maldestro intervento dell’uomo, pur nel meritevole tentativo, difficile lo sappiamo, di ridare dignità a questi luoghi. Ma mentre si lavorava per permettere alla gente di ritornare a ripopolare queste contrade alcuni scorci del centro antico venivano alterati o sparivano per sempre a causa di operazioni di recupero a dir poco scandalosi: nel frattempo fili elettrici e telefonici appesi, tubi dell’acqua e del gas sulle mura antiche dei palazzi rendevano tale tentativo del tutto “incoerente”. E’ stato commesso il grave errore di non tutelare quello che, dopo decenni di ladrocinio, era rimasto in questa parte del paese: non ci risulta che nessuna istituzione abbia mai censito le opere d’arte o pezzi di particolare pregio a rischio trafugamento (lo hanno fatto alcune associazioni – la nostra e la “Simone Augelluzzi” di Francesco Manzione - e qualche appassionato storico locale) nè si è mai proceduto a rimuovere quei pezzi che potevano far gola ai ladri per custodirli adeguatamente fino alla loro ricollocazione: quest’atteggiamento omissivo ha causato una spoliazione senza precedenti, come avete ben sentito dal lungo elenco letto da Vitina. Alla ricostruzione materiale non è seguita quella dei contenuti così che a distanza di molti anni dall’inizio dei lavori di ricostruzione ed oltre un miliardo delle vecchie lire spesi per la cultura, Eboli ancora non è ancora riuscita a mettere in piedi iniziative durature capaci di attrarre turisti. Ho avuto modo di visitare il sito del Comune: è bello non c’è dubbio, ma quando parla delle bellezze del centro antico siamo sicuri che un ipotetico turista in visita possa rimanere soddisfatto dei servizi che vi troverebbe?
Le immagini sui computer e quelle esposte sono il simbolo di questa vergogna … dovremo vergognarci un po’ tutti per aver permesso, nel silenzio e nell’indifferenza, che ciò accadesse, ed è lo stesso colpevole silenzio delle istituzioni che, pur sollecitate, e non poche volte, hanno preferito scrollare le spalle e guardare altrove. Nessuna giustificazione sarà accettata perché la perdita di pezzi della nostra storia sono definitivi e nulla ce li potrà mai più restituire: siamo vittime dell’indifferenza della politica e della negligenza delle autorità preposte al controllo che avrebbero dovuto vigilare e non l’hanno fatto: un silenzio colpevole sarebbe la migliore risposta. Quelle immagini, dicevo, sono una vergogna per un paese che solo in rare occasioni, e per motivi molto più terreni, ha dimostrato di avere scatti di orgoglio e un forte senso d’appartenenza. Lo scempio che traspare da quelle foto è frutto di uno stupro che dura da decenni e stasera vogliamo usare parole forte per rompere, una volta e per sempre, quest’assordante silenzio che è complice di chi commette questi orribili reati: ladri su commissione ma anche poveri disperati che, pur di guadagnare qualche euro, non si sono fatti alcuno scrupolo nel divellere marmi di bellissime scalinate, di rimuovere antichi fontanili per rivenderli come ferro vecchio, di rimuovere stupendi portali causando danni irreparabili e cancellando per sempre un pezzo di storia della nostra comunità.
E mentre le autorità facevano la loro misera figura, ad accrescere lo scandalo si sono messe anche alcune persone che hanno deciso di venirci ad abitare e che, in spregio delle tante ordinanze del Sindaco, sulle quali mai nessuno ha vegliato e fatto rispettare, e senza nessun rispetto delle più minime regole di convivenza civile e del bene comune (per non parlare della mancanza di senso estetico), hanno rincarato la loro dose di scempio: condizionatori d’aria o antenne paraboliche sui balconi, sfiatatoi che sbucano vicini ad edicole votive, infissi di alluminio anodizzato alle finestre, vicoli chiusi abusivamente, montagne di detriti mai rimossi per non parlare di tuguri affittati a stranieri a cifre spropositate e rigorosamente “a nero” (ma questo è un altro discorso sul quale qualcuno dovrebbe certamente ritornarci).
Si vorrebbe inserire il centro antico di Eboli tra i centri storici da tutelare per poter accedere, presumo, a fondi da utilizzare per la ripresa dei lavori di ricostruzione. Ma se questi sono i presupposti (e ho raccontato solo una minima parte di quello che in questi anni è successo) dove pensiamo di andare?
Non ci vengano a dire, proprio stasera, che si sta lavorando per migliorare la situazione, che in realtà hanno a cuore il destino di questa parte di paese perché sarebbero smentiti spudoratamente dai segnali che ci giungono (le persone presenti stasera potranno intervenire a confermare o smentire quanto sto dicendo).
Perché riteniamo che discutere di tutto questo sia importante? Perché pensiamo che parlare della nostra storia e delle nostre radici, e di chi ne minaccia l’integrità, non sia puro diletto dello spirito, un’operazione sterile, un argomento da trattare nei salotti buoni del paese, o un’arma di contrasto politico, ma sia la tangibile dimostrazione dei profondi sentimenti che proviamo per questo nostro sciagurato paese in quanto portatrice di valori, spirituali e materiali, necessari per la crescita di ogni comunità. La cultura, la conoscenza, non può e non deve rimanere chiusa tra quattro mura, non può e non deve essere un fatto elitario ma deve scendere tra la gente, elevarne lo spirito per farne cittadini migliori: di questo deve farsene carico l’istituzione pubblica che può e deve intervenire anche con il contributo del mondo associazionistico. Il Centro Culturale ha sempre fatto la sua parte intervenendo, segnalando e, in qualche caso, anche denunciando – vedi il caso della chiesetta di Santa Maria del Carmine alla Montagna, esempio tipico di questa sciagurata disattenzione o, come ci segnala Francesco Manzione, lo stato di abbandono della chiesa della Madonna di Loreto che contiene affreschi del ‘500 che, dopo un timido tentativo di restauro, è stata completamente abbandonata - (per questo eccesso di attivismo oggi siamo invisi a molte persone che ci ritengono dei rompiscatole, per non dire altro; diamo fastidio e non sono mancate occasioni per boicottarci: l’ultima è l’articolo apparso ieri su un quotidiano locale dove questa manifestazione veniva affiancata ad un’altra sulla degustazione di vini ed entrambe alle 18.30, anche se noi avevamo segnalato un’ora prima, ma la vostra numerosa presenza fa capire a questi signori quali siano i veri problemi che ci stanno a cuore). Sarebbe un segnale di svolta se a noi si affiancassero anche le altre associazioni (con le quali vorremmo finalmente iniziare una collaborazione leale e sincera, per il bene del paese) e gli stessi cittadini i quali vivono oggi sentimenti di profonda sfiducia verso le istituzioni che sentono indifferenti o lontane dai loro problemi.
Ma insistere sulla salvaguardia ed il rilancio del centro antico ha anche una valenza economica: le storiche fabbriche ebolitane stanno lentamente chiudendo, l’ospedale ed il comune non sono più pozzi inesauribili di impiego, il commercio langue ed in queste condizioni i nostri figli non hanno altra scelta che andare via (il lento calo demografico lo dimostra).
E’ inconcepibile che la passione per l’arte e per la storia porti molti nostri concittadini in giro per l’Italia e quando questi ritornano, estasiati, nel nostro paese ripiombano nella più totale abulia: se questi sentimenti sono da condannare per un semplice cittadino sono esecrabili se arrivano da chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica.
Eboli ha le carte in regola per poter riprodurre le stesse condizioni che esistono in molti centri antichi sparsi per l’Italia, dove per molti mesi l’anno arrivano turisti a ridare ossigeno all’economia (la strategica posizione geografica ci favorisce), ma occorre cambiare radicalmente modo di pensare, essere meno provinciali e più aperti al nuovo, abbandonare la vecchia mentalità clientelare e localistica agganciandosi ad iniziative di più ampio respiro, diventare più dinamici e meno legati alla propria rendita di posizione: è in questo – e solo in questo - che si racchiude il futuro nostro e quello dei nostri figli.
Chiediamo da tempo ai nostri amministratori di pensare alle sorti di questo paese più con il cuore che con la mente poiché, come ha detto Papa Giovanni Paolo II “fare politica, in tutti i settori, significa amare la persona umana e spendere tempo, intelligenza e fatica per venire incontro alle sue necessità ...” e non è, invece, come ha detto lo scrittore Roberto Gervaso “chiedere al cittadino il nulla osta per infischiarsene di lui”. Un buon amministratore è colui che è anche capace di fare atto di contrizione, che è capace di ammettere i propri errori – se fatti in buona fede – evitando di sbandierare ai quattro venti solo quello che di buono ha fatto (se lo ha fatto): riconoscere gli errori per migliorare il proprio lavoro ed evitarne altri in futuro è segno di intelligenza e di un giusto approccio all’azione politica. “Coerenza” e “lealtà”, questo è quello che chiediamo a qualsiasi politico che intenda amministrare il nostro paese ma so bene che questi aggettivi poco si attagliano a certi personaggi (qualche saccente lo chiamerebbe “ossimoro”), ma noi ci proviamo lo stesso. Un accorato appello lo lanciamo anche a coloro che abitano in questa meravigliosa parte del paese i quali tanto potrebbero fare per migliorare le cose. A loro chiediamo di rispettare maggiormente questi luoghi perché sono gli stessi dove hanno vissuto i loro antenati per cui rispettare questi posti significa rispettare anche la loro memoria. Con piccoli sforzi è possibile rendere ogni angolo del centro antico un piccolo paradiso trasformandolo, per se stessi e per gli altri, in una gioia per gli occhi ed un toccasana per lo spirito (a questo proposito vorrei ricordare la bella iniziativa avuta dall’assessorato alla cultura che ha organizzato “Balconi in fiore”, un tentativo per ridare dignità a questi luoghi; ma la gente non ha risposto all’appello forse perché mal stimolata per cui applaudiamo all’iniziativa che speriamo si ripeta ma seguendo una strategia diversa). Signori amministratori, davanti a noi non abbiamo nessun nemico da abbattere, sappiamo di parlare usando parole “politicamente poco corrette” ma è la disperazione che ci spinge a farlo, non ci sono problemi personali da risolvere; è un problema di ruoli: noi siamo un’associazione ed abbiamo il dovere di attenzionare i problemi, voi siete gli amministratori e avete il dovere di ascoltarci – anche quando esageriamo, in buona fede – e darci risposte sensate. Eboli ha bisogno di pensare ad un futuro migliore. Agli abitanti di questi luoghi, invece, vorrei dedicare una bellissima frase di Don Milani, il prete di Barbina, appello che aveva indirizzato ai tanti perbenisti che, pur apprezzandone il lavoro e la sua concreta azione di sostegno agli emarginati, vivevano la cosa con distacco intellettuale, tipico di molti uomini di una certa area politica:

“A che serve avere le mani pulite se poi le teniamo in tasca? “

Armando Voza

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