L'Unità
Una decisione che ha provocato aspre opinioni come quella espressa dal Parlamentare Europeo e coordinatore di Sinistra democratica, Claudio Fava: «Un magistrato che è stato rappresentante di categoria, che è Presidente della Fondazione Borsellino, dovrebbe chiedere a Lombardo cosa vogliono dire i tabulati trovati sul suo computer, quando era Presidente della Provincia di Catania in cui c’era una lista puntuale e rigorosa di tutte le raccomandazioni fatte, dei concorsi manipolati, delle gare d’appalto, l’elenco dei giurati del concorso di abilitazione per dottori commercialisti e l’elenco dei raccomandati tutti passati (la Procura di Catania ha aperto un fascicolo), appalti ecc… E ancora Massimo Russo dovrebbe sapere che l’assessore alla sanità della Giunta Cuffaro era un uomo di Lombardo e attraverso di lui ha gestito la sanità in Sicilia. E la Sicilia è la Regione che ha sottoscritto il più alto numero di convenzioni con laboratori di analisi, cliniche private, pari a tutte le convenzioni stipulate dalle regioni italiane. Per fare qualche esempio: la Lombardia, ne ha stipulate 120, l’Emilia 80 e la Sicilia 1900».
Massimo Russo nelle scarne dichiarazioni fin qui rilasciate spiega di aver rifiutato la candidatura alla Camera e si chiede: «Ma si può sempre dire di no rischiando di perdere il diritto di critica?». Replica Fava: «La proposta di Lombardo è una di quelle proposte a cui si deve rispondere con il titolo del celebre romanzo di Giorgio Boatti “Preferirei di no”. In Sicilia la proprietà transitiva in politica non si applica mai. E pensando alle stragi di Capaci e di via D’Amelio di cui ricorrono gli anniversari aggiungo che Falcone e Borsellino dissero parecchi “no” a chi avrebbe voluto loro tagliare le unghie depositandoli come soprammobili in qualche angolo oscuro della politica».
Certo, anche se a onor del vero Falcone accettò di diventare Direttore degli Affari Penali ma solo perché da lì avrebbe potuto intraprendere una nuova forma di strategia di lotta alla mafia, cosa che puntualmente è avvenuta.
Non resta, dunque, che sperare e augurare a Massimo Russo che per combattere la mafia ha rischiato anche la vita, come testimonia la scorta che lo accompagna giorno e notte, che da assessore alla sanità della giunta Lombardo, appoggiata da Cuffaro, riesca a modificare quell’idea di sanità fin qui sperimentata.
COMMENTO
Le scarne dichiarazioni del magistrato però non devono indurre a pensare ad imbarazzo. Non solo. Esse sono nella migliore tradizione della imperscrutabilità siciliana, fatti dei silenzi di Leonardo Sciascia, dei quali ha parlato Andrea Camilleri sabato scorso alla penultima puntata di “Che tempo che fa”, di significati reconditi, per cui non è dato concludere alcunché se non che Massimo Russo, siciliano di Mazara del Vallo, oggi vice capo del dipartimento dell’Amministrazione giudiziaria del Ministero della Giustizia, ha ritenuto di svolgere la propria attività proprio nel cuore di quel pozzo senza fondo dei soldi della sanità regionale siciliana.
È difficile pensare che la sua sia una decisione di tipo opportunistico, salvo che non si pensi ad un nuovo modo di svolgere la propria attività di contrasto alla criminalità mafiosa.
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