mercoledì 28 maggio 2008

DESAPARECIDOS E OMICIDI DI STATO -ITALIA E URUGUAY SI LASCIANO SFUGGIRE UN EX-MILITARE


Roberto Ormanni

Un caso diplomatico sta tenendo impegnati in queste settimane i funzionari della Farnesina e i vertici dello Stato dell’Uruguay. Una vicenda che nasce da un’indagine in Italia e un processo a Montevideo nei confronti di un ex militare uruguayano accusato di omicidio e sequestro di persona in riferimento alle attività di “repressione” dell’opposizione durante il regime dittatoriale.
L’ex capitano di vascello ed ex componente del servizio di intelligence della marina militare dell’Uruguay (Fusna) Nestor Jorge Fernandez Troccoli, arrestato nel 2007 dalla Procura di Roma per strage e sequestro di persona per la scomparsa di 6 cittadini di origine italiana durante le dittature del Plan Condor, non sarà mai estradato in Uruguay.
L’estradizione è impedita espressamente dal trattato che lega l’Italia al Paese sudamericano, secondo il quale non è possibile in nessun caso estradare cittadini italiani. E Troccoli, nato in Italia, è rimasto cittadino italiano, oltre ad assumere la cittadinanza uruguayana.
Un dettaglio di non secondaria importanza, che l’ufficio dell’ambasciatore uruguayano in Italia, Carlos Abin, e le autorità dell’Uruguay avrebbero dovuto conoscere. Se avessero letto il trattato avrebbero anche saputo che invece di un’inutile richiesta di estradizione (inviata per giunta in ritardo) avrebbero potuto chiedere all’Italia di processare – e dunque di arrestare – Nestor Troccoli per eventuali reati contestati dalla magistratura dell’Uruguay.
Il “caso Troccoli” è stato tra quelli peggio gestiti nella storia delle indagini internazionali sul cosiddetto “terrorismo di Stato”, ossia su quelle organizzazioni governative che hanno affiancato i regimi dittatoriali del dopoguerra occupandosi di far scomparire presunti dissidenti ricorrendo anche alla tortura come strumento di interrogatorio.
Nel 2005, in Uruguay, in seguito alla scoperta di un dossier delle forze armate, la magistratura individua Troccoli come personaggio chiave delle drammatiche vicende di cui sono state vittime decine di membri del Gau, il gruppo politico di opposizione al regime ed altri movimenti di resistenza uruguayana. Nel processo per le sparizioni avviato nello stesso anno, Troccoli viene accusato sulla base di diversi documenti e prove raccolte e condannato, nel dicembre del 2007, insieme con l'ex dittatore Gregorio Alvarez e il collega del Fusna Juan Carlos Lacerbeau. Alvarez e Lacerbeau finiscono nel carcere militare di Montevideo, mentre Troccoli, che non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana e ne ha conservato il passaporto, fugge in Italia.
La prima nota stonata della storia è questa: come mai Troccoli riesce a fuggire mentre gli altri due condannati vengono messi in carcere al termine del processo?
In realtà, seguendo la ricostruzione dei fatti dagli atti processuali, le cose non sembra siano andate proprio così. Troccoli risulta in Italia, residente a Marina di Camerota per la precisione (una cittadina turistica del Cilento, poco a nord del Golfo di Policastro), fin dal 2002. Dunque, tre anni prima dell’inizio del processo a suo carico in Uruguay. Addirittura, secondo una dichiarazione ufficiale rilasciata dal suo avvocato, Adolfo Domingo Scarano, Troccoli sarebbe in Italia dal 1995, quando è arrivato, al di sopra di ogni sospetto, insieme allo stesso ambasciatore uruguayano. E allora, perché le autorità uruguayane invece di processare in contumacia un cittadino (anche) italiano non hanno chiesto all’Italia, attraverso il loro ambasciatore, di arrestarlo e processarlo in Italia per gli stessi reati contestati in Uruguay?
In attesa della risposta a questo primo interrogativo (risposta che dovrebbe venire anche dall’ambasciatore Abin), vediamo cosa succede in Italia (che non perde mai l’occasione per ingarbugliare le carte giudiziarie).
Nestor Troccoli se ne sta tranquillo sulle spiagge di Marina di Camerota (anche se il Ros, il reparto speciale dei carabinieri, afferma di aver incaricato i militari della Benemerita di Marina di Camerota di “tenerlo d’occhio”) fino al 24 dicembre 2007. Il giorno della vigilia di Natale, invece di pensare al cenone, l’ex ufficiale intanto appena condannato in Uruguay, si presenta, spontaneamente, ai carabinieri di Salerno per avere informazioni sul processo a suo carico in Uruguay (e che ne possono sapere i carabinieri di Salerno?). In questa circostanza invece di trovare informazioni sulla sua situazione giudiziaria all’estero, trova un paio di manette italiane. Alcuni giorni prima infatti il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, aveva ottenuto dal gip Luisanna Figliolia ben 140 ordinanze di custodia in carcere nell’ambito di una maxi inchiesta sul Plan Condor, ossia l’organizzazione di annientamento delle opposizioni ai regimi sudamericani, nei confronti di altrettanti militari ed esponenti di quasi tutti i governi del “Cono Sud” per reati che vanno dalla strage, al tentato omicidio, al sequestro di persona. Sessantuno argentini, tra cui lo stesso dittatore Jorge Videla e l'ammiraglio Edoardo Massera, 33 uruguayani, compreso l'ex presidente Juan Maria Bordaberry e il suo successore Gregorio Alvarez (che sebbene siano 33 non entrano trotterellando da nessuna parte perché restano nei loro Paesi), 7 boliviani, 23 cileni, tra cui l'ex capo della Dina Juan Manuel Contreras, già condannato in Italia per il tentato omicidio dell'ex leader della Dc cilena, Bernard Leighton, 7 paraguaiani, 4 peruviani e 11 brasiliani, incluso il colonnello della polizia Carlos Alberto Ponzi.
Un’indagine che il Pm Capaldo conduceva dal 1998, ossia da quasi dieci anni, da quando, cioè, secondo le dichiarazioni dell’avvocato difensore, Troccoli era in Italia già da tre anni.
Ecco un secondo interrogativo: come mai Troccoli, che tutti – almeno in apparenza – sapevano essere in Italia (lasciamo perdere da quando, ma certo da prima delle ordinanze di custodia), non è stato arrestato quando il gip ha emesso i provvedimenti di cattura? Perché è stato necessario attendere che egli stesso si recasse dai carabinieri per chiedere: “Novità?”.
Anche a questo interrogativo non è facile, allo stato degli atti (come si dice in gergo) dare una risposta chiara. Forse nessuno aveva pensato a Troccoli in vacanza nel Cilento, dal momento che tutti i 140 destinatari dei provvedimenti di custodia sono a piede libero perché in giro per il mondo e senza alcun timore di estradizioni (o meglio, era stato arrestato Troccoli, ma poi le… coincidenze burocratiche hanno rimediato garantendogli la scarcerazione).
In ogni caso l’italo-uruguayano, che di fatto si è consegnato ai carabinieri, viene portato a Regina Coeli, il carcere romano, dove tre giorni dopo, il 27 dicembre, viene interrogato dal gip. Nega tutto, dice di non aver mai ucciso nessuno e di aver partecipato al piano (il Plan Condor) solo per raccogliere informazioni.
Lungo è l’elenco delle vittime di origine italiana di quel “Piano”, per le quali procedono gli inquirenti di Roma, e tra queste 6 persone scomparse sono “imputate” a Troccoli. Ma venti giorni più tardi, il 17 gennaio 2008, il tribunale di riesame al quale l’avvocato di Troccoli presenta richiesta di annullamento della misura cautelare, stabilisce che gli indizi raccolti in quei dieci anni di indagini del Pm Capaldo non sono sufficienti per addebitare a Troccoli la scomparsa di quei sei italiani e dunque ritiene che i reati contestati non possano giustificare la custodia in carcere. In poche parole, Troccoli è libero di andare, anche se, naturalmente, resta indagato per quegli stessi reati e, anzi, il Pm Capaldo si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per tutti e 140 gli accusati.
E’ a questo punto che la vicenda giudiziaria italiana si intreccia con quella uruguayana: Nestor Jorge è stato condannato pochi giorni prima e le autorità dell’Uruguay decidono di chiedere l’estradizione per fargli scontare la pena nel suo Paese. Una richiesta che dimostra come nessuno abbia letto il trattato e ignora che, per giunta, in quello stesso momento Troccoli è indagato anche in Italia. L’estradizione, dunque, sarebbe impossibile per ben due motivi: uno diplomatico e l’altro processuale.
Nonostante questo, si avvia un valzer di disguidi e ritardi nei carteggi tra Italia e Uruguay. Un valzer di cui sono protagonisti le autorità politiche e giudiziarie di Montevideo e il console uruguayano in Italia Carlos Abin.
La richiesta di estradizione arriva rapidamente in Italia, proprio nei giorni in cui Troccoli avrebbe dovuto essere scarcerato per ordine del tribunale del riesame e così viene modificata la causa per la quale l’ex capitano di vascello è in carcere: non più le accuse contestate dalla Procura di Roma (che il riesame giudica poggiate su indizi insufficienti) ma l’attesa per l’estradizione. Perciò la magistratura italiana richiude la porta della cella di Regina Coeli che stava per aprire in attesa della documentazione necessaria a sostenere l’estradizione. Come prevede la legge, prima di stabilire se la richiesta può essere accolta, l’accusato può restare al massimo 90 giorni in stato di fermo: l’arresto risale al 24 dicembre e dunque entro il 23 marzo la procedura di estradizione deve essere conclusa.
L’Italia invia in quattro e quattr’otto (si fa per dire) i documenti necessari alla pratica di estradizione alla magistratura di Montevideo. Qui c’è un altro punto oscuro: non si capisce come mai la Corte di Cassazione dell'Uruguay abbia ricevuto i documenti italiani solo il 13 febbraio.
Come non bastasse le autorità uruguayane aggiungono altro ritardo a quello accumulato: preparano la risposta per l’Italia, con tanto di allegati, ma impiegano 30 giorni per tradurre tutto dallo spagnolo all’italiano. Infine, la ciliegina sulla torta: una volta pronti, i documenti per la spedizione impiegano 6 giorni per arrivare in Italia con un corriere diplomatico.
Arriviamo così al 18 marzo, quando finalmente la documentazione è a Roma, nell’ufficio dell’ambasciatore uruguayano Carlos Abin (che però, in quel momento, pare fosse in viaggio). L’ambasciatore deve girare l’incartamento alla Farnesina, il traguardo finale da raggiungere entro i 90 giorni. Può farlo direttamente lui o, naturalmente, può delegare qualcuno. Decide di fare le cose per bene. E prima di consegnare tutto al ministero degli Esteri italiano, vuole guardare attentamente quei documenti, per essere certo che sia tutto in regola. Sarà che con gli atti tradotti in italiano impiega un po’ più di tempo a leggere, sarà per qualche altra valida ragione, certo è che quelle carte arrivano alla Farnesina il 31 marzo. Una settimana dopo la scadenza dei termini.
Le associazioni delle vittime del Plan Condor fanno fuoco e fiamme e la storia rimbalza ai vertici dello Stato Uruguayano. I legali di parte civile si confrontano con la Cassazione di Montevideo che non ci sta a prendersi la colpa e così gli avvocati chiedono le dimissioni di Carlos Abin.
L’ambasciatore vola in Uruguay e incontra il presidente Tavaré Vázquez che prende atto delle dimissioni ma le congela in attesa dell’esito degli accertamenti.
Intanto però Nestor Jorge Troccoli non è più reperibile e molto probabilmente quest’estate non sarà in vacanza a Marina di Camerota.
Roberto Ormanni

2 commenti:

Ettore Gallo ha detto...

Signor Morsello, ho inserito il suo blog fra i miei preferiti... E' un blog troppo bello per avere così pochi visitatori... Cercherò di farlo conoscere... Comunque spero che lei faccia lo stesso con il mio... Grazie, a presto.
P.S Lo sa che mio nonno è un'ex guardia carceraria?

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Grazie Ettore, sto ancora imparando a farlo funzionare. Io non so quanti sono i miei visitatori (devo farmi spiegare come si conteggiano), salvo che tu non intenda coloro che lasciano commenti. Certo, avevo pensato ad inserire in calce la tua URL, ma non ancora capito come si fa ad inserire due URL.
Infatti una c'è già, l'avrai notato.
Lo farò comunque al più presto.
Dove ha prestato servizio tuo nonno ? Ti ho inserito nei vari gruppi di contatti, così riceverai ogni mio post.
Vedrai quanti sono gli indirizzi E-MAIL.