Aldo Cazzullo
Il Corriere della Sera
23 giugno 2008
E così ci hanno superati pure nel calcio. Sul campo gli italiani battevano gli spagnoli per diritto divino dai tempi di Zamora e Alfonso XIII. Nel frattempo loro ci hanno sopravanzati in quasi tutto il resto. A Vienna, per dire, l'Italia schierava ‘Gnazio La Russa, la Spagna re Juan Carlos (per quanto oggettivamente ridimensionato dall'intervista in italo-spagnolo concessa ad Amedeo Goria). Unica consolazione: Zapatero sarà pure un leader giovane e dinamico, ma di calcio sa poco. Non soltanto — a differenza di Berlusconi, e analogamente a politici minori tipo Churchill e de Gaulle — non ha vinto cinque Coppe dei Campioni; ha pure pronosticato una partita scoppiettante («Vinciamo noi 3-2!»). A Zapatero queste cose piacciono: prima delle elezioni del marzo scorso, aveva affidato al direttore del Mundo un foglietto con il numero — 172 — dei seggi che il suo Partito socialista avrebbe conquistato. Furono solo 3 di meno: comunque, vittoria. Anche stavolta ha vinto lui. Ma al termine di un match senza reti. Ha fatto miglior figura il nostro premier, per una volta prudente e silenzioso. Per giunta siamo — o crediamo di essere — molto amici, quasi parenti. Zapatero e Berlusconi appartengono a due generazioni e due famiglie politiche lontane, ma il rapporto personale è ottimo. Si stanno simpatici.
Alla vigilia del 13 aprile, il premier spagnolo mandò un video augurale a Walter Veltroni (Zapatero dice Ualter); ma il giorno dopo fu il primo tra gli stranieri a congratularsi con Berlusconi. I due simpatizzarono fin da quando, nel maggio 2004, il Cavaliere volle abbracciare l'ospite non solo metaforicamente, smarcandosi da Fini che ne aveva criticato il programma laicista: «Tra me e José Luis le posizioni sono identiche». Non era proprio così, ma sei mesi dopo lo riabbracciò in pubblico, stavolta a Cuenca: «Io e José Luis siamo due guapos », fu la risposta agli applausi della folla. Qualche recente dissapore, italiani e spagnoli l'hanno avuto anche fuori dal calcio. C'era ancora Prodi quando Zapatero annunciò il sorpasso di Madrid nel pil pro capite, e il Professore contestò: «Non è vero, in media restano più ricchi gli italiani ». La ministra Bibiana «Bibi» Aido, appoggiata dalla vicepremier Maria Teresa Fernandez de la Vega, parlò di razzismo italiano dopo i roghi nei campi rom e la stretta sulla sicurezza del nuovo governo. Schermaglie. Per il resto, italiani e spagnoli si sono inventati una fratellanza che nella storia non è mai esistita. Anzi, i due popoli si sono detestati e combattuti per secoli, e persino quando si allearono come a Lepanto gli screzi furono tali che il patto venne subito infranto (scrive Arrigo Petacco nel minuzioso libro dedicato alla battaglia che fino all'assedio di Famagosta e già qualche mese dopo la Serenissima si trovava meglio con i turchi di Selim II, la cui favorita e madre dell'erede al trono era per altro veneziana).
L'equivoco nasce forse dalla percezione distorta che l'Italia ha della Spagna, e viceversa. Se gli spagnoli, e non solo, pensano l'Italia come un'immensa Napoli, con il sole la pizza il mandolino gli spaghetti e tutto, noi pensiamo la Spagna come una grande Andalusia. La Spagna verde, atlantica, zitta, diffidente, ci è estranea; sono posti dove non si va in vacanza e che non si vedono in tv. In realtà, spagnoli e italiani sono molto diversi. Ad esempio un'antica diceria popolare iberica, radicata nei secoli del declino e delle guerre civili, racconta che la Spagna sia nata sotto una cattiva stella. In Italia avevamo inventato invece la leggenda dello stellone (ridimensionata pure quella dai rigori di ieri). Per il resto, le parti si sono invertite. Come informano le statistiche, gli spagnoli sono il popolo più ottimista d'Europa, e noi il più pessimista. Gli spagnoli ci sono diventati simpatici qualche decennio fa, quando abbiamo scoperto che erano più poveri e più disorganizzati. Nel frattempo il sistema di Madrid, uscito da una dittatura autarchica, si è rivelato capace di batterci. In due generazioni, gli spagnoli hanno creato imprese in grado di comprare o contendere quote delle società italiane che gestiscono i telefoni e le autostrade, nel Paese con la massima concentrazione di telefonini e di auto al mondo. Così Telefonica è entrata in Telecom, e Abertis è stata fermata dalla politica sulla soglia della fusione con Autostrade. La Spagna è di gran moda, considerata un punto di riferimento per la gioia di vivere, la concordia tra le parti sociali, la flessibilità del lavoro, il progresso dei diritti civili. La società spagnola pare un modello di dinamismo sia ai progressisti («Viva Zapatero! ») sia ai restauratori, ai sostenitori del matrimonio omosessuale come ai difensori della famiglia tradizionale, agli amanti della movida e dei film di Almodovar come ai neocatecumenali seguaci del santo chitarrista Kiko Arguello e ai ciellini che dopo la morte di Giussani si sono affidati allo spagnolo Carron. E' la derrota di cui parla Panucci, che a Madrid ha trovato casa e moglie (già lasciata però). Eppure da qualche mese la crisi finanziaria e immobiliare morde i primati della Spagna.
Alla vigilia del 13 aprile, il premier spagnolo mandò un video augurale a Walter Veltroni (Zapatero dice Ualter); ma il giorno dopo fu il primo tra gli stranieri a congratularsi con Berlusconi. I due simpatizzarono fin da quando, nel maggio 2004, il Cavaliere volle abbracciare l'ospite non solo metaforicamente, smarcandosi da Fini che ne aveva criticato il programma laicista: «Tra me e José Luis le posizioni sono identiche». Non era proprio così, ma sei mesi dopo lo riabbracciò in pubblico, stavolta a Cuenca: «Io e José Luis siamo due guapos », fu la risposta agli applausi della folla. Qualche recente dissapore, italiani e spagnoli l'hanno avuto anche fuori dal calcio. C'era ancora Prodi quando Zapatero annunciò il sorpasso di Madrid nel pil pro capite, e il Professore contestò: «Non è vero, in media restano più ricchi gli italiani ». La ministra Bibiana «Bibi» Aido, appoggiata dalla vicepremier Maria Teresa Fernandez de la Vega, parlò di razzismo italiano dopo i roghi nei campi rom e la stretta sulla sicurezza del nuovo governo. Schermaglie. Per il resto, italiani e spagnoli si sono inventati una fratellanza che nella storia non è mai esistita. Anzi, i due popoli si sono detestati e combattuti per secoli, e persino quando si allearono come a Lepanto gli screzi furono tali che il patto venne subito infranto (scrive Arrigo Petacco nel minuzioso libro dedicato alla battaglia che fino all'assedio di Famagosta e già qualche mese dopo la Serenissima si trovava meglio con i turchi di Selim II, la cui favorita e madre dell'erede al trono era per altro veneziana).
L'equivoco nasce forse dalla percezione distorta che l'Italia ha della Spagna, e viceversa. Se gli spagnoli, e non solo, pensano l'Italia come un'immensa Napoli, con il sole la pizza il mandolino gli spaghetti e tutto, noi pensiamo la Spagna come una grande Andalusia. La Spagna verde, atlantica, zitta, diffidente, ci è estranea; sono posti dove non si va in vacanza e che non si vedono in tv. In realtà, spagnoli e italiani sono molto diversi. Ad esempio un'antica diceria popolare iberica, radicata nei secoli del declino e delle guerre civili, racconta che la Spagna sia nata sotto una cattiva stella. In Italia avevamo inventato invece la leggenda dello stellone (ridimensionata pure quella dai rigori di ieri). Per il resto, le parti si sono invertite. Come informano le statistiche, gli spagnoli sono il popolo più ottimista d'Europa, e noi il più pessimista. Gli spagnoli ci sono diventati simpatici qualche decennio fa, quando abbiamo scoperto che erano più poveri e più disorganizzati. Nel frattempo il sistema di Madrid, uscito da una dittatura autarchica, si è rivelato capace di batterci. In due generazioni, gli spagnoli hanno creato imprese in grado di comprare o contendere quote delle società italiane che gestiscono i telefoni e le autostrade, nel Paese con la massima concentrazione di telefonini e di auto al mondo. Così Telefonica è entrata in Telecom, e Abertis è stata fermata dalla politica sulla soglia della fusione con Autostrade. La Spagna è di gran moda, considerata un punto di riferimento per la gioia di vivere, la concordia tra le parti sociali, la flessibilità del lavoro, il progresso dei diritti civili. La società spagnola pare un modello di dinamismo sia ai progressisti («Viva Zapatero! ») sia ai restauratori, ai sostenitori del matrimonio omosessuale come ai difensori della famiglia tradizionale, agli amanti della movida e dei film di Almodovar come ai neocatecumenali seguaci del santo chitarrista Kiko Arguello e ai ciellini che dopo la morte di Giussani si sono affidati allo spagnolo Carron. E' la derrota di cui parla Panucci, che a Madrid ha trovato casa e moglie (già lasciata però). Eppure da qualche mese la crisi finanziaria e immobiliare morde i primati della Spagna.
La partita, quella vera, non è certo finita stasera; forse è appena cominciata.
COMMENTO
La deriva è in atto anche nel calcio italiano, in quello spagnolo non ancora. I dolori inizieranno se e quando la Spagna superarà crisi finanziaria ed immobiliare e l'Italia non vi riuscierà. Allora il soprasso sarà sicuro e la deriva italiana diventerà inarrestabile.
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