Cristina Maslach è professoressa di Psicologia e vicerettore dell’Università di California a Berkeley. Da vent’anni si occupa di burnout nelle aziende e nel campo socio-sanitario.
Professore di Psicologia e vicerettore dell’Università Acadia in Nova Scotia, Michael Leiter da diciassette anni di occupa con la Professoressa Maslach della sindrome di burnout.
Coautori del libro Burnout e Organizzazione, C. Maslach & M. Leiter, Erikson, 2001, traduzione di The Truth About Burnout, di recente hanno partecipato al convegno “Burnout: the cost of caring”, organizzato a Torino dall’Adimed e il Centro di formazione Albert Schweitzer, in collaborazione con la Scuola Internazionale di Scienze Pediatriche, Dea Pediatrico.
1 Cos’è la sindrome di burnout?
Il burnout è una sindrome psicologica che rappresenta la risposta allo stress cronico da lavoro. Le ricerche hanno dimostrato che ci sono tre dimensioni del burnout:
- la fatica, che è una risposta individuale allo stress lavorativo, ed è in generale il senso di mancanza di energia fisica e psicologica, il senso di mancanza di risorse, il sentire di non farcela;
- il cinismo, una reazione negativa al lavoro e al posto di lavoro, definibile come un “allontanarsi” dal lavoro, un “distanziarsi” dal lavoro, comportato dal senso di fatica. Una persona affetta da burnout passa dal fare il proprio meglio a fare il minimo indispensabile sul posto di lavoro;
- l’inefficacia, la valutazione negativa di se stessi. Questo succede quando l’operatore non si sente efficace sul lavoro, non si sente realizzato, sente di non realizzare nulla di positivo nel suo lavoro. Subentra pertanto una mancanza di orgoglio e soddisfazione.
C’è però un lato positivo, in tutto ciò: se c’è il burnout, c’è anche un obiettivo da raggiungere, che è l’impegno sul lavoro. Rispetto alle tre dimensioni di cui abbiamo parlato, alla fatica si contrappone la ricerca di raggiungere maggiore energia nel lavoro; al cinismo si contrappone il desiderio di avere un alto grado di coinvolgimento nel lavoro; al senso di inefficacia, si contrappone la volontà della persona a realizzarsi, a sentirsi efficiente.
Un aspetto molto importante di cui tener conto è che laddove si vuole intervenire per la cura del burnout, è necessario focalizzarsi meno sulla riduzione del burnout e più sulla costruzione di impegno, partendo cioè dai punti di forza.
2 Quali emozioni l’operatore può rintracciare dentro di sé, quali segnali di un’eventuale stato di crisi che può sfociare nel burnout?
Un segnale sicuramente evidente è quello della fatica cronica, l’incapacità di trovare energia proprio quando è necessario mettere maggiore energia nel proprio lavoro; quel sentirsi già stanchi dal mattino.
Un secondo segnale può essere un senso di scarso interesse per le persone con le quali si lavora, intese come clienti, pazienti nel campo medico. Lo si può vedere quando una persona, parlando coi propri colleghi dei problemi dei pazienti li deride, anziché parlarne seriamente.
Un terzo segnale può essere l’arrivare alla fine di una giornata anche impegnativa con l’impressione di non aver realizzato nulla.
Per quanto riguarda l’aspetto emotivo e psicologico, subentra un’estrema irritabilità, un abbassamento della tolleranza, per cui tutto infastidisce e fa sbottare. Subentra un senso di rabbia e frustrazione, un senso di fatica unito alla sensazione di fare tanto senza realizzare nulla. Ci si sente come intrappolati sul proprio posto di lavoro. Un aspetto che si è portati a vedere poco in se stessi, ma si vede benissimo negli altri, è un senso di isolamento: la persona si isola, non partecipa.
Si può inoltre arrivare ad avere una scarsa autostima, che può sfociare non di rado in una forte depressione.
3 Chi è a maggior rischio di burnout?
Nel caso del burnout e della sua prevenzione non si può pensare solo alla persona. Si tratta di trovare una situazione congruente tra persona e posto di lavoro. Bisogna tenere in considerazione i due aspetti. Finora la ricerca non ha dimostrato un particolare legame tra le caratteristiche individuali di una persona e il contesto lavorativo. Ciò che bisogna considerare è quali aspetti di un certo lavoro influiscono sul livello di stress di una persona.
Se vogliamo definire un soggetto a rischio, senz’altro è una persona che svolge un lavoro impegnativo che non le piace.
4 In cosa consiste il lavoro dello psicologo sul burnout?
Attraverso la ricerca sono state individuate sei aree di lavoro, di cui bisogna tener conto nello studio e nella cura del burnout:
- il carico di lavoro. Quando il carico di lavoro è eccessivo e la persona non riesce a svolgerlo, si sente ed è sovraccaricata oltre le sue effettive capacità;
- il controllo. Se una persona ha autonomia decisionale sul lavoro, può prendere delle decisioni su come e quando lavorare, c’è meno rischio di essere stressati e soggetti al burnout. Se invece l’ambiente di lavoro è molto rigido e limitativo, per cui la persona ha poca autonomia e possibilità di decidere del suo lavoro, o ancora se è un ambiente caotico, in cui è difficile tener sotto controllo ciò che succede, la persona è senz’altro più a rischio;
- la ricompensa e il riconoscimento del lavoro che si svolge, sia a livello di retribuzione economica, di stipendio, sia a livello di gratificazione. Se non ci sono questi elementi di gratificazione, c’è un grosso rischio di burnout;
- la comunità, la comunanza. Questo elemento ha a che fare con il paziente e i familiari del paziente, ma soprattutto coi colleghi. Se i rapporti sono difficili, se manca il sostegno e la fiducia, se ci sono dei conflitti non risolti, l’ambiente sarà pesante e mancherà lo spirito di squadra e di équipe;
- il senso di giustizia sociale all’interno della struttura. Le persone amano lavorare in un ambiente che percepiscono come giusto, equo, in cui i lavori vengono assegnati con criteri giusti, non per amicizie e conoscenze. Lo stesso vale per promozioni e soluzioni dei conflitti, che dovrebbero avvenire con giustizia. Si desiderano procedure trasparenti. Se non c’è questo senso di giustizia, le persone percepiscono la situazione come mancanza di rispetto e questo genera rabbia e cinismo, che può portare ad un aumento di stress e a una diminuzione della volontà di fare e collaborare;
- i valori. Si tratta dei valori che danno significato alla nostra vita. Può essere importante credere nel lavoro che si svolge; se c’è un conflitto tra i miei valori personali e quelli dell’azienda in cui lavoro, ciò può comportare notevoli problemi. Se c’è incongruenza tra quello in cui credo e quello che è il mio lavoro o quello che c’è all’interno dell’azienda in cui lavoro, c’è il forte rischio che attribuisca meno significato al mio lavoro, che non è ciò che vorrei fare. Quando si inizia a lavorare sul burnout, sia per prevenirlo che per curarlo, si comincia da queste sei aree di lavoro, perché si cerca di curare l’ambiente di lavoro, in modo che possa andare bene per l’individuo. Dove si trovano maggiori incongruenze tra ambiente di lavoro e persone, maggiore è il rischio di burnout.
Ringrazio Madda che mi ha segnalato questa intervista molto importante.
1 commento:
Non c'è di che, Luigi :-)
Il problema è reale e di tanti.
Già le incongruenze nella nostra "civile" società non mancano........
figuriamoci se possono mancare quelle tra ambiente di lavoro e persone!
Ciao
Madda
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