venerdì 27 febbraio 2009

Striscia la giustizia

MARCO TRAVAGLIO
27 febbraio 2009

La richiesta di archiviazione per le telefonate Berlusconi-Saccà inaugura un nuovo genere giurisprudenziale: la giustizia creativa. Secondo i pm napoletani che avviarono l’indagine, se il politico più ricco e potente d’Italia chiede al direttore di Raifiction di sistemare 5 ragazze «per sollevare il morale al Capo» a spese degli abbonati e aggiunge «poi ti ricambierò dall’altra parte quando sarai un libero imprenditore. M’impegno a darti grande sostegno», è corruzione. Basta ascoltare la telefonata per trovare l’atto illecito (far lavorare gente che non lavorerebbe senza raccomandazione) e la «promessa di denaro o altra utilità» in cambio, cioè i due ingredienti tipici della corruzione. Quanto basterebbe, in un paese normale con due imputati normali e una giustizia normale, per affidare la faccenda al giudizio di un tribunale. Ma, per i pm romani che hanno ereditato l’inchiesta per competenza, «non vi è certezza del do ut des», al massimo di un po’ di «malcostume». E poi Saccà non è un incaricato di pubblico servizio (al servizio pubblico radiotelevisivo non crede più nessuno). E soprattutto i due piccioncini hanno un rapporto talmente «stretto e asimmetrico» che «Berlusconi non ha alcuna necessità di garantire indebite utilità per avere favori da Saccà». Cioè: Berlusconi è il padrone dell’Italia, dunque della Rai, dunque di Saccà, dunque non può pagare tangenti: è lui stesso una tangente (resta da capire perché allora garantisse «utilità» nella telefonata a Saccà: forse scherzava). E così il conflitto d’interessi, anziché un’aggravante, diventa un alibi. Giustizia è fatta.

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