L’economia degli Stati Uniti ha registrato una forte contrazione nel quarto trimestre del 2008, con il prodotto interno lordo che è caduto del 6,2 per cento su base annua. I consumi, in particolare, hanno segnato la frenata più brusca degli ultimi trent’anni. Di fronte all’aggravarsi della situazione, l’amministrazione Obama, nell’arco di un mese, ha varato tre iniziative complementari:
una serie di misure per evitare il pignoramento degli immobili ai mutuatari morosi;
un piano di salvataggi bancari di notevoli dimensioni;
una manovra di sostegno all’economia, che già quest’anno porterà il disavanzo federale intorno al 10 per cento del Pil, nonostante gli aumenti delle tasse.
La dimensione di questi interventi è imponente e la crescita del deficit spaventa molti politici e operatori, nonostante la promessa di dimezzare nuovamente il deficit entro la metà del mandato presidenziale.
Senza voler discutere, per il momento, la crescita del debito pubblico, i primi interventi dell’amministrazione Obama rappresentano la risposta forte e coordinata di un governo federale a una crisi che potrebbe concretamente trasformarsi in una vera depressione.
Al confronto di questa risposta, le misure europee contro la crisi lasciano un po’ a desiderare. Come ha osservato ieri il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Joaquín Almunia, il coordinamento tra le politiche dei vari Paesi europei è stato a dir poco carente. Alcuni Paesi, come il Regno Unito, hanno tagliato l’Iva; altri hanno aumentato i sussidi pubblici; altri stanno investendo in infrastrutture; altri ancora hanno tagliato i contributi. Mentre sul piano bancario, alcuni Paesi hanno nazionalizzato; altri hanno offerto prestiti; altri stanno pensando alla bad bank; altri Paesi ancora non hanno fatto nulla.
In questa situazione, come era facile immaginare, i mercati hanno iniziato a prendere di mira i diversi debiti pubblici, allargando gli spread (ovvero i differenziali tra i tassi di interesse) a svantaggio dei Paesi più piccoli e più fragili. È possibile che questa reazione sia eccessiva, ma nell’attuale fase di nervosismo dei mercati non è da escludere che la situazione si aggravi, visto l’ammontare crescente delle emissioni di debito pubblico, destinato ad avvicinare 1000 miliardi di euro nel 2009 nella sola eurozona. Una situazione come questa merita attenzione. E merita attenzione, in particolare, la proposta formulata da Romano Prodi giovedì scorso, in un articolo pubblicato sul Messaggero e sul Financial Times. Secondo questa proposta, i Paesi Europei, devono muoversi come una Unione sul mercato dei titoli del debito pubblico. A tal fine si propone di creare un cuscinetto di emergenza nel bilancio dell’Unione, elevandone l’ammontare dall’1 per cento all’1,25 per cento del Pil europeo; emettendo titoli del debito pubblico europeo; coordinando, si può aggiungere, le emissioni dei vari Paesi per evitare l’accavallarsi di aste in qualche settimana.
L’architettura europea, dopo la creazione del mercato unico e della moneta unica, prevede che i debiti pubblici restino nazionali. Ciò non esclude, tuttavia, che possa essere creato un vero mercato dei bond europei, ove le emissioni di titoli pubblici dei governi vengano coordinate ex ante. Non si tratta qui di fondere i debiti nazionali, né di diluire le responsabilità. Si tratta piuttosto di agire in modo coordinato per ridurre i rischi di ogni singolo Paese.
La costruzione europea ha attraversato alti e bassi. L’evidenza mostra che essa ha incontrato il massimo favore quando ha dimostrato di essere utile, come nel caso del mercato unico e della moneta unica, ed il minimo quando è diventata elemento astratto o fine a se stessa. Il mercato del debito, in questa fase, può diventare troppo grande e rischioso per essere gestito indipendentemente da ogni singolo Paese. Un approccio europeo al mercato dei titoli pubblici è dunque utile e risponde a una logica di sussidiarietà e solidità del sistema. Torna ad incarnare un’Europa che serve.
Senza voler discutere, per il momento, la crescita del debito pubblico, i primi interventi dell’amministrazione Obama rappresentano la risposta forte e coordinata di un governo federale a una crisi che potrebbe concretamente trasformarsi in una vera depressione.
Al confronto di questa risposta, le misure europee contro la crisi lasciano un po’ a desiderare. Come ha osservato ieri il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Joaquín Almunia, il coordinamento tra le politiche dei vari Paesi europei è stato a dir poco carente. Alcuni Paesi, come il Regno Unito, hanno tagliato l’Iva; altri hanno aumentato i sussidi pubblici; altri stanno investendo in infrastrutture; altri ancora hanno tagliato i contributi. Mentre sul piano bancario, alcuni Paesi hanno nazionalizzato; altri hanno offerto prestiti; altri stanno pensando alla bad bank; altri Paesi ancora non hanno fatto nulla.
In questa situazione, come era facile immaginare, i mercati hanno iniziato a prendere di mira i diversi debiti pubblici, allargando gli spread (ovvero i differenziali tra i tassi di interesse) a svantaggio dei Paesi più piccoli e più fragili. È possibile che questa reazione sia eccessiva, ma nell’attuale fase di nervosismo dei mercati non è da escludere che la situazione si aggravi, visto l’ammontare crescente delle emissioni di debito pubblico, destinato ad avvicinare 1000 miliardi di euro nel 2009 nella sola eurozona. Una situazione come questa merita attenzione. E merita attenzione, in particolare, la proposta formulata da Romano Prodi giovedì scorso, in un articolo pubblicato sul Messaggero e sul Financial Times. Secondo questa proposta, i Paesi Europei, devono muoversi come una Unione sul mercato dei titoli del debito pubblico. A tal fine si propone di creare un cuscinetto di emergenza nel bilancio dell’Unione, elevandone l’ammontare dall’1 per cento all’1,25 per cento del Pil europeo; emettendo titoli del debito pubblico europeo; coordinando, si può aggiungere, le emissioni dei vari Paesi per evitare l’accavallarsi di aste in qualche settimana.
L’architettura europea, dopo la creazione del mercato unico e della moneta unica, prevede che i debiti pubblici restino nazionali. Ciò non esclude, tuttavia, che possa essere creato un vero mercato dei bond europei, ove le emissioni di titoli pubblici dei governi vengano coordinate ex ante. Non si tratta qui di fondere i debiti nazionali, né di diluire le responsabilità. Si tratta piuttosto di agire in modo coordinato per ridurre i rischi di ogni singolo Paese.
La costruzione europea ha attraversato alti e bassi. L’evidenza mostra che essa ha incontrato il massimo favore quando ha dimostrato di essere utile, come nel caso del mercato unico e della moneta unica, ed il minimo quando è diventata elemento astratto o fine a se stessa. Il mercato del debito, in questa fase, può diventare troppo grande e rischioso per essere gestito indipendentemente da ogni singolo Paese. Un approccio europeo al mercato dei titoli pubblici è dunque utile e risponde a una logica di sussidiarietà e solidità del sistema. Torna ad incarnare un’Europa che serve.
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