Gli uomini in tuta bianca e valigetta vagano come fantasmi sulla scena del crimine. Non c’è delitto importante che non li veda presenti. Li vediamo muoversi bardati come in una sala operatoria, con gli immancabili calzari, mascherina e cappuccio. Al di là dell’inevitabile effetto coreografico e delle facili mitizzazioni televisive, è certo che, se la scena del crimine non è già stata inquinata da precedenti incauti interventi, la loro opera è preziosa per gli inquirenti così come è pericolosa per quelli che dovessero risultare inquisiti.
Arrivano con le loro attrezzature e fissano la situazione dei luoghi e delle cose, accertano la presenza di eventuali tracce connesse al reato, fotografano e riprendono, inquadrano la scena del crimine evidenziando ogni minimo particolare utile alla ricostruzione del reato con valore di prova ai fini processuali.
I giudici, anche a distanza di anni, dovranno poter rivivere attraverso la loro ricostruzione tecnico-scientifica l’accesso ai luoghi, “vedere” la scena del crimine, cogliere i particolari, verificare la presenza di oggetti, di tracce, ricostruire mentalmente e visivamente le possibili dinamiche intervenute, valutare le prove offerte frutto di sofisticate rielaborazioni scientifiche.
Un capello,un pelo, un’impronta digitale, un filo di lana o di cotone, una goccia di sangue, l’orma di una scarpa,una tracce di saliva, di terra, una gocciolina di sangue o di sperma, la scheggia di un’unghia o quello che vi è sotto: tutto finisce meticolosamente nelle provette o nei kit di raccolta per essere trasferito nei supermoderni laboratori scientifici, dove verrà analizzato per aprire la strada che può portare al colpevole. Quella della ricerca e repertazione è un’ operazione di alta specializzazione per evitare di prelevare tracce utili insieme ad altre impurità che potrebbero inquinare gli esami e dar luogo a risultati sbagliati.
In Italia gli “uomini in bianco” appartengono a reparti specializzati dei carabinieri e della polizia ed hanno contribuito a risolvere i più efferati delitti.
I Carabinieri vantano un’esperienza in materia che risale al 1955 ed operano sul territorio nazionale dal 1999 con i R.I.S. (Reparto Investigazioni Scientifiche) aventi sede a Roma,Parma,Messina e Cagliari ciascuna con una sua competenza territoriale. I R.I.S. fanno capo al RA.C.I.S. (Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche) con sede a Roma presso il Comando Generale
La Polizia ha una sua struttura operativa quasi secolare chiamata Polizia Scientifica, è articolata con un Servizio Centrale, con sede a Roma, 14 Gabinetti regionali situati nei principali capoluoghi di regione e 89 Gabinetti provinciali oltre a 197 uffici con sede nei più grossi Commissariati.
Entrambe le strutture operative principali si avvalgono di biologi, chimici, fisici, ingegneri, medici legali, psicologi ecc. e possono contare su una competenza e un’ attrezzatura scientifica che li pone all’avanguardia in Europa.
Analizziamo brevemente i tre test chiavi che caratterizzano una loro indagine:
ESAME DEL D.N.A.
Dalla fine degli anni ’80 l’analisi più ricorrente è quella del DNA, sigla inglese che sta per Deoxyribo Nucleic Acid (acido desossiribonucleico), la molecola depositaria dell’informazione genetica di quasi tutti gli organismi. Il nostro patrimonio genetico è assolutamente personale tanto che non esistono al mondo due soggetti geneticamente identici: ogni individuo ha una identità biochimica e molecolare eguale solo a se stesso (ad eccezione dei gemelli monoculari). E’ la nostra “impronta digitale genetica” che da anni ha fatto il suo ingresso ufficiale nelle aule di tribunale.
Analizzando il reperto organico trovato sul luogo del delitto si risale al DNA della persona cui appartiene e questo DNA lo si compara poi con quello di eventuali sospettati il cui DNA corrisponde alle prove lasciate sulla scena del crimine. E’ una responsabilità enorme, ma per fortuna oltre che a incolpare serve anche a scagionare persone erroneamente accusate di crimini.
IMPRONTE DIGITALI
Altra ricerca degli investigatori riguarda le impronte digitali, quei disegni lasciati dalle superficie delle dita quando vengono premute o anche solamente appoggiate su un oggetto come carta, vetro, legno, plastica, ferro, acciaio, porcellana, etc. A maggior ragione se le dita sono sudate, sporche, unte o grasse.
Sull’epidermide delle mani e dei piedi, infatti, ci sono delle sporgenze che formano disegni caratteristici e irripetibili da uomo a uomo, sporgenze chiamate creste papillari. I polpastrelli delle dita sono le parti della pelle umana che non solo lasciano i disegni più sviluppati - perché le creste servono alla funzione prensile e tattile dell’individuo - ma anche i più complessi e quindi più facilmente comparabili e riconducibili al colpevole.
Le impronte visibili vengono fotografate mentre quelle invisibili ad occhio nudo vengono evidenziate con metodiche chimico-fisiche altamente scientifiche.
Lo stesso utilizzo di guanti non sempre è sufficiente a sviare le indagini specialmente se i guanti utilizzati erano sporchi o unti. Le impronte, infatti, possono essere rilevate anche all’interno di guanti di pelle o di plastica specialmente all’altezza dei primi polpastrelli delle dita.
La identificazione tramite le impronte digitali è un problema ben noto negli ambienti della criminalità e sono sempre più, soprattutto tra gli extracomunitari, quelli che si bruciano con l’acido i polpastrelli per evitare di essere identificati quando vengono “fermati” dalle forze dell’ordine, specialmente quando sanno che sono già stati sottoposti a rilievo dattiloscopico.
LUMINOL
La ricerca di macchie di sangue - nei casi che lo prevedono – costituisce un altro punto di forza ai fini investigativi. Il sistema di ricerca più utilizzato è il Luminol, un composto chimico che, unito all’acqua ossigenata, se viene a contatto con un catalizzatore come il ferro, emette una luminosità evidente ed azzurrina. Poiché nel sangue è presente il ferro la reazione con il Luminol ne fa scoprire la presenza.
Il prodotto viene spennellato sugli oggetti o sulle pareti su cui si pensa possano esserci tracce di sangue. L’esame va fatto al buio per vedere se compaiono luminosità dovute alla reazione tra il Luminol e il ferro contenuto nel sangue. Naturalmente se c’è sangue viene prelevato e sottoposto all’esame del DNA.
Come si è visto è un lavoro di alta professionalità, che necessita di controlli incrociati e di attentissime valutazioni da parte dei tecnici e dei magistrati inquirenti. L’errore può essere dietro l’angolo e quando si verifica può sconvolgere la vita di chi è inquisito. In questi giorni siamo stati tutti testimoni della delicatezza di questi esami. In genere però è il processo l’ultima spiaggia per condannare un colpevole o assolvere un innocente. Ma in quest’ultimo caso può essere già tardi perchè la vita di una persona è già stata moralmente e pubblicamente distrutta.
Arrivano con le loro attrezzature e fissano la situazione dei luoghi e delle cose, accertano la presenza di eventuali tracce connesse al reato, fotografano e riprendono, inquadrano la scena del crimine evidenziando ogni minimo particolare utile alla ricostruzione del reato con valore di prova ai fini processuali.
I giudici, anche a distanza di anni, dovranno poter rivivere attraverso la loro ricostruzione tecnico-scientifica l’accesso ai luoghi, “vedere” la scena del crimine, cogliere i particolari, verificare la presenza di oggetti, di tracce, ricostruire mentalmente e visivamente le possibili dinamiche intervenute, valutare le prove offerte frutto di sofisticate rielaborazioni scientifiche.
Un capello,un pelo, un’impronta digitale, un filo di lana o di cotone, una goccia di sangue, l’orma di una scarpa,una tracce di saliva, di terra, una gocciolina di sangue o di sperma, la scheggia di un’unghia o quello che vi è sotto: tutto finisce meticolosamente nelle provette o nei kit di raccolta per essere trasferito nei supermoderni laboratori scientifici, dove verrà analizzato per aprire la strada che può portare al colpevole. Quella della ricerca e repertazione è un’ operazione di alta specializzazione per evitare di prelevare tracce utili insieme ad altre impurità che potrebbero inquinare gli esami e dar luogo a risultati sbagliati.
In Italia gli “uomini in bianco” appartengono a reparti specializzati dei carabinieri e della polizia ed hanno contribuito a risolvere i più efferati delitti.
I Carabinieri vantano un’esperienza in materia che risale al 1955 ed operano sul territorio nazionale dal 1999 con i R.I.S. (Reparto Investigazioni Scientifiche) aventi sede a Roma,Parma,Messina e Cagliari ciascuna con una sua competenza territoriale. I R.I.S. fanno capo al RA.C.I.S. (Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche) con sede a Roma presso il Comando Generale
La Polizia ha una sua struttura operativa quasi secolare chiamata Polizia Scientifica, è articolata con un Servizio Centrale, con sede a Roma, 14 Gabinetti regionali situati nei principali capoluoghi di regione e 89 Gabinetti provinciali oltre a 197 uffici con sede nei più grossi Commissariati.
Entrambe le strutture operative principali si avvalgono di biologi, chimici, fisici, ingegneri, medici legali, psicologi ecc. e possono contare su una competenza e un’ attrezzatura scientifica che li pone all’avanguardia in Europa.
Analizziamo brevemente i tre test chiavi che caratterizzano una loro indagine:
ESAME DEL D.N.A.
Dalla fine degli anni ’80 l’analisi più ricorrente è quella del DNA, sigla inglese che sta per Deoxyribo Nucleic Acid (acido desossiribonucleico), la molecola depositaria dell’informazione genetica di quasi tutti gli organismi. Il nostro patrimonio genetico è assolutamente personale tanto che non esistono al mondo due soggetti geneticamente identici: ogni individuo ha una identità biochimica e molecolare eguale solo a se stesso (ad eccezione dei gemelli monoculari). E’ la nostra “impronta digitale genetica” che da anni ha fatto il suo ingresso ufficiale nelle aule di tribunale.
Analizzando il reperto organico trovato sul luogo del delitto si risale al DNA della persona cui appartiene e questo DNA lo si compara poi con quello di eventuali sospettati il cui DNA corrisponde alle prove lasciate sulla scena del crimine. E’ una responsabilità enorme, ma per fortuna oltre che a incolpare serve anche a scagionare persone erroneamente accusate di crimini.
IMPRONTE DIGITALI
Altra ricerca degli investigatori riguarda le impronte digitali, quei disegni lasciati dalle superficie delle dita quando vengono premute o anche solamente appoggiate su un oggetto come carta, vetro, legno, plastica, ferro, acciaio, porcellana, etc. A maggior ragione se le dita sono sudate, sporche, unte o grasse.
Sull’epidermide delle mani e dei piedi, infatti, ci sono delle sporgenze che formano disegni caratteristici e irripetibili da uomo a uomo, sporgenze chiamate creste papillari. I polpastrelli delle dita sono le parti della pelle umana che non solo lasciano i disegni più sviluppati - perché le creste servono alla funzione prensile e tattile dell’individuo - ma anche i più complessi e quindi più facilmente comparabili e riconducibili al colpevole.
Le impronte visibili vengono fotografate mentre quelle invisibili ad occhio nudo vengono evidenziate con metodiche chimico-fisiche altamente scientifiche.
Lo stesso utilizzo di guanti non sempre è sufficiente a sviare le indagini specialmente se i guanti utilizzati erano sporchi o unti. Le impronte, infatti, possono essere rilevate anche all’interno di guanti di pelle o di plastica specialmente all’altezza dei primi polpastrelli delle dita.
La identificazione tramite le impronte digitali è un problema ben noto negli ambienti della criminalità e sono sempre più, soprattutto tra gli extracomunitari, quelli che si bruciano con l’acido i polpastrelli per evitare di essere identificati quando vengono “fermati” dalle forze dell’ordine, specialmente quando sanno che sono già stati sottoposti a rilievo dattiloscopico.
LUMINOL
La ricerca di macchie di sangue - nei casi che lo prevedono – costituisce un altro punto di forza ai fini investigativi. Il sistema di ricerca più utilizzato è il Luminol, un composto chimico che, unito all’acqua ossigenata, se viene a contatto con un catalizzatore come il ferro, emette una luminosità evidente ed azzurrina. Poiché nel sangue è presente il ferro la reazione con il Luminol ne fa scoprire la presenza.
Il prodotto viene spennellato sugli oggetti o sulle pareti su cui si pensa possano esserci tracce di sangue. L’esame va fatto al buio per vedere se compaiono luminosità dovute alla reazione tra il Luminol e il ferro contenuto nel sangue. Naturalmente se c’è sangue viene prelevato e sottoposto all’esame del DNA.
Come si è visto è un lavoro di alta professionalità, che necessita di controlli incrociati e di attentissime valutazioni da parte dei tecnici e dei magistrati inquirenti. L’errore può essere dietro l’angolo e quando si verifica può sconvolgere la vita di chi è inquisito. In questi giorni siamo stati tutti testimoni della delicatezza di questi esami. In genere però è il processo l’ultima spiaggia per condannare un colpevole o assolvere un innocente. Ma in quest’ultimo caso può essere già tardi perchè la vita di una persona è già stata moralmente e pubblicamente distrutta.
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