martedì 3 marzo 2009

La lobby ultraleggera di Dario il pragmatico


3/3/2009
FABIO MARTINI

Walter Veltroni si era olimpicamente congedato 24 ore prima, ma senza confidare a nessuno il suo ultimo cadeau. Quel mercoledì 18 febbraio l’unico che sapeva era Dario Franceschini e toccò a lui annunciare, in una riunione a porte chiuse, le designazioni del Pd per il Cda Rai. Accanto a Nino Rizzo Nervo, spuntò a sorpresa il nome di Giorgio Van Straten (già presidente dell’Agis e del Maggio Musicale), ma anche grande amico (e compagno di vacanze) di Walter Veltroni. Un’indicazione dell’ultima ora che accese la rabbia dei commissari e a quel punto al vicesegretario Franceschini non restò che dire come stavano le cose: «Scusate, ma è l’ultima richiesta fatta da Walter...». C’era del preveggente in quella rivelazione. Nei suoi primi dieci giorni da segretario, Dario Franceschini ha fatto capire subito di voler esercitare appieno il suo potere: i veltroniani doc non sono stati rimossi, ma ricollocati in posizioni più appartate; gli uomini del segretario stanno entrando nelle posizioni-chiave; il nuovo leader prova a dettare l’agenda al governo con proposte, come l’assegno ai disoccupati, che fanno discutere tutti, maggioranza e opposizioni.

Una presa del potere condotta da Franceschini con quel mix di identitario e di moderno, con quell’impasto di cattolicesimo-democratico e di pragmatismo che è la cifra più originale del nuovo segretario del Pd. L’altra sera, da Fabio Fazio, è arrivato a dire: «Non mi considero un leader, sono uno che ha un compito di servizio». Lessico che più democristiano non si potrebbe, un modo antico per avvicinarsi al prossimo scenario: prima o poi il partito democratico dovrà fare un congresso nel quale eleggerà di nuovo il proprio leader. In vista di quell’appuntamento Franceschini si sta organizzando. Partendo dal gruppetto di amici che da anni lo seguono di partito in partito, (la Dc, il Ppi, la Margherita, il Pd) senza mai smarrire la solidarietà strettissima tra di loro. Una squadra stretta, formata da quattro quarantenni: l’ex direttore del Popolo Francesco Saverio Garofani, l’ex sindaco di Belluno Gianclaudio Bressa, il futuro capo della segretaria Antonello Giacomelli e il portavoce Piero Martino, 45 anni, un passato da redattore-capo al “Popolo”, mezza vita trascorsa nel Palazzo, da quando era capo-ufficio stampa al Ppi con Franco Marini. Romano, pragmatico, rapporti con direttori e cronisti, Martino è una figura chiave nella fortuna di Franceschini, che nel suo primo discorso da leader del Pd ad un certo punto è arrivato a dire: «Con gran parte dei giornalisti sono amico personale da anni». Un riconoscimento a «gran parte» degli abitanti del Transatlantico che lo hanno aiutato nella sua escalation, ma anche un implicito richiamo ad uno dei suoi deficit.

A differenza di tutti i suoi predecessori (Veltroni, Fassino, Rutelli, per non parlare di Prodi), Franceschini ha un cursus honorum ricco di vita parlamentare e di partito ma privo di esperienze da amministratore, a parte brevissime parentesi. Lo stesso imprinting dei suoi amici. Come Garofani: prototipo del cattolico-democratico serio e serioso, all’appartato ex direttore del “Popolo” toccherà il compito di primo consigliere politico di Franceschini, mentre Antonello Giacomelli, 47 anni, sindaco mancato di Prato, già direttore della tv “Canale 10”, dovrebbe diventare il “Gianni Letta” del Pd. Il permaloso Giacomelli - uno da “con me o contro di me” - sarà in grado di svolgere le delicate trame fino a pochi giorni fa ordite da Goffredo Bettini? Per ora della diplomazia segreta si è occupato direttamente Franceschini, è lui che sta trattando con Gianni Letta la partita Rai. Una vita trascorsa senza esperienze fuori del Palazzo ha determinato in Franceschini un vuoto di rapporti nel mondo imprenditoriale e finanziario. Se si escludono gli inviti (da due anni a questa parte) nel salotto romano dell’ingegner Carlo De Benedetti e un rapporto con un banchiere come Giovanni Bazoli, in questo mondo la rete del nuovo leader Pd è tutta da costruire.

E curiosamente nel “mondo di Dario”, cattolico praticante, c’è un vuoto anche dalle parti del Vaticano e della Cei. La giovinezza trascorsa da Franceschini nel Giovanile della Dc anziché nell’associazionismo (scuola di formazione degli attuali vescovi) non ha certo favorito la conoscenza personale con gran parte delle gerarchie, se si esclude un buon rapporto col vescovo di Terni Vincenzo Paglia, padre spirituale della Comunità di Sant’Egidio. Agli anni del “giovanile Dc”, dietro l’icona Zaccagnini, risalgono le amicizie con alcuni giornalisti della Rai (David Sassoli, Giorgio Balzoni), azienda-chiave dell’informazione, nella quale Franceschini punta ad avere la direzione del Tg3 o di RaiTre, con la conferma di un personaggio che viene dalla sua stessa cultura: Paolo Ruffini. Nel “mondo di Dario” dunque c’è molto partito e rapporti radi con la società civile. Sostiene Chiara Geloni, vicedirettrice di “Europa”, oramai diventato l’unico giornale del Pd: «Quello raccolto attorno a Franceschini non è né uno staff né una corrente, ma una cosa più leggera» e un vecchio saggio come Pierluigi Castagnetti aggiunge: «Il fatto che Dario non abbia rapporti personali impegnativi con nessuna lobby, interna od esterna al partito, è destinata a diventare una grande forza».

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