ROMA - Berlusconi lancia il piano casa? Bossi dice: «Voglio vederci chiaro». Berlusconi propone di ridurre i parlamentari? Bossi dice: «Voglio capire meglio». Berlusconi incontra il gotha delle banche? Bossi dice: «Caccino fuori i soldi per le imprese». Berlusconi è in corsa per il Quirinale? Bossi dice: «Viviamo alla giornata ». Franceschini chiede di tassare i redditi più alti? Bossi dice: «Può andar bene». E meno male che per citare i problemi nel centrodestra il Cavaliere usa il nome di Gianfranco Fini. In realtà il premier non è solo chiamato a gestire un rapporto difficile con il presidente della Camera.
Deve fronteggiare anche il Senatur, che è in sofferenza: le sue esternazioni lo testimoniano, e i sondaggi evidenziano che da alcune settimane il Carroccio è in flessione, ha perso un punto percentuale, è tornato sotto «quota 10%» dove ormai stazionava stabilmente. Soprattutto — come evidenzia senza mezzi termini il forzista Napoli — «la Lega ha perso l'iniziativa, non detta più i temi e i tempi della politica, costretta com'è a inseguire Berlusconi, che dal giorno dopo la vittoria in Sardegna ha in mano l'agenda e il pallino». C'è dunque un motivo se il capo del Carroccio fa il contropelo al premier e apre al segretario del Pd. Anzi, i motivi sono due. Intanto la trattativa sulle Amministrative con il Pdl non è chiusa: Bossi non intende accontentarsi solo di Sondrio e Bergamo, pretende Monza, e per ottenerla si è messo a fare la guerriglia sulla Provincia di Milano. La disponibilità verso Franceschini è legata invece all'esigenza di ottenere almeno l'astensione dei Democratici alla Camera sul federalismo fiscale. Bossi non può permettersi un voto contrario del Pd, e le posizioni «meridionaliste » di D'Alema hanno messo in allarme i dirigenti del Carroccio, specie dopo la riunione di due giorni fa al gruppo dei deputati democratici. In quella sede si è fatta strada la tesi dalemiana, sono emerse forti perplessità sulla riforma. Ecco perché Calderoli si sta prodigando per rassicurare l'opposizione, ecco perché l'altra notte in commissione il ministro del Carroccio ha accettato alcuni emendamenti del Pd al testo. Le dimissioni di Veltroni hanno senza dubbio penalizzato la strategia del dialogo impostata da Bossi, che sta tentando di costruire un rapporto con i nuovi vertici del Pd. Un voto contrario sul federalismo fiscale, esporrebbe la riforma al rischio del referendum e condannerebbe il Senatur a un ruolo subalterno al Cavaliere.
L'astensione sarebbe invece un successo nel merito e nel metodo su Berlusconi, garantirebbe una maggiore autonomia dall'alleato. Perciò ieri sera anche Maroni ha fatto eco al Senatur sulla proposta di Franceschini, «per questo — spiega Bersani — ma anche per altro. Perché Bossi con un occhio è attento al federalismo, e con l'orecchio ascolta i suoi sindaci, che dal territorio segnalano i problemi ». È al Nord che la crisi si fa maggiormente sentire. Come spiega infatti il sottosegretario al Commercio estero Urso, «la grave contrazione dei mercati internazionali ha colpito le nostre esportazioni. Pertanto, le aziende italiane più colpite dalla crisi sono quelle settentrionali». Bossi e Maroni dicono dunque sì a un «contributo in tempi di crisi da parte di chi ha di più», mentre Berlusconi fa mostra di non curarsene, bolla l'idea come «populista», e lascia che siano i suoi dirigenti ad attaccare il leader del Pd.
Il Cavaliere aveva messo in guardia lo stato maggiore del Pdl sulle capacità «movimentiste e demagogiche» di Franceschini, avversario che certo non lo preoccupa, non può preoccuparlo, ma che — sondaggi alla mano — è comunque riuscito ad arrestare l'emorragia di consensi dei democratici, risaliti di un punto questa settimana, tra il 23 e il 24 per cento. È da vedere se il successore di Veltroni riuscirà davvero a risalire la china, è certo che è riuscito finora a imporre i suoi temi. Questo non vuol dire che nel Pd siano tutti entusiasti dell'ultima proposta, perché in molti sottovoce lamentano una «deriva populista e di sinistra». Nessuno al momento intende esporsi, ma a leggere bene il commento di Bersani non è che il candidato alla segreteria dei Democratici si sia spellato le mani per applaudire la mossa dell'attuale leader. Bersani ha definito «realistica e utile» la proposta di Franceschini, ma ha aggiunto che andrebbe «agganciata alla lotta contro l'evasione fiscale ». Traduzione: altrimenti a pagare sarebbero sempre e soltanto i soliti noti. E addio voti. Bossi non si cura dei dettagli, per il Senatur il federalismo val bene appoggiare una tassa che tanto non si farà mai.
Francesco Verderami
12 marzo 2009
Deve fronteggiare anche il Senatur, che è in sofferenza: le sue esternazioni lo testimoniano, e i sondaggi evidenziano che da alcune settimane il Carroccio è in flessione, ha perso un punto percentuale, è tornato sotto «quota 10%» dove ormai stazionava stabilmente. Soprattutto — come evidenzia senza mezzi termini il forzista Napoli — «la Lega ha perso l'iniziativa, non detta più i temi e i tempi della politica, costretta com'è a inseguire Berlusconi, che dal giorno dopo la vittoria in Sardegna ha in mano l'agenda e il pallino». C'è dunque un motivo se il capo del Carroccio fa il contropelo al premier e apre al segretario del Pd. Anzi, i motivi sono due. Intanto la trattativa sulle Amministrative con il Pdl non è chiusa: Bossi non intende accontentarsi solo di Sondrio e Bergamo, pretende Monza, e per ottenerla si è messo a fare la guerriglia sulla Provincia di Milano. La disponibilità verso Franceschini è legata invece all'esigenza di ottenere almeno l'astensione dei Democratici alla Camera sul federalismo fiscale. Bossi non può permettersi un voto contrario del Pd, e le posizioni «meridionaliste » di D'Alema hanno messo in allarme i dirigenti del Carroccio, specie dopo la riunione di due giorni fa al gruppo dei deputati democratici. In quella sede si è fatta strada la tesi dalemiana, sono emerse forti perplessità sulla riforma. Ecco perché Calderoli si sta prodigando per rassicurare l'opposizione, ecco perché l'altra notte in commissione il ministro del Carroccio ha accettato alcuni emendamenti del Pd al testo. Le dimissioni di Veltroni hanno senza dubbio penalizzato la strategia del dialogo impostata da Bossi, che sta tentando di costruire un rapporto con i nuovi vertici del Pd. Un voto contrario sul federalismo fiscale, esporrebbe la riforma al rischio del referendum e condannerebbe il Senatur a un ruolo subalterno al Cavaliere.
L'astensione sarebbe invece un successo nel merito e nel metodo su Berlusconi, garantirebbe una maggiore autonomia dall'alleato. Perciò ieri sera anche Maroni ha fatto eco al Senatur sulla proposta di Franceschini, «per questo — spiega Bersani — ma anche per altro. Perché Bossi con un occhio è attento al federalismo, e con l'orecchio ascolta i suoi sindaci, che dal territorio segnalano i problemi ». È al Nord che la crisi si fa maggiormente sentire. Come spiega infatti il sottosegretario al Commercio estero Urso, «la grave contrazione dei mercati internazionali ha colpito le nostre esportazioni. Pertanto, le aziende italiane più colpite dalla crisi sono quelle settentrionali». Bossi e Maroni dicono dunque sì a un «contributo in tempi di crisi da parte di chi ha di più», mentre Berlusconi fa mostra di non curarsene, bolla l'idea come «populista», e lascia che siano i suoi dirigenti ad attaccare il leader del Pd.
Il Cavaliere aveva messo in guardia lo stato maggiore del Pdl sulle capacità «movimentiste e demagogiche» di Franceschini, avversario che certo non lo preoccupa, non può preoccuparlo, ma che — sondaggi alla mano — è comunque riuscito ad arrestare l'emorragia di consensi dei democratici, risaliti di un punto questa settimana, tra il 23 e il 24 per cento. È da vedere se il successore di Veltroni riuscirà davvero a risalire la china, è certo che è riuscito finora a imporre i suoi temi. Questo non vuol dire che nel Pd siano tutti entusiasti dell'ultima proposta, perché in molti sottovoce lamentano una «deriva populista e di sinistra». Nessuno al momento intende esporsi, ma a leggere bene il commento di Bersani non è che il candidato alla segreteria dei Democratici si sia spellato le mani per applaudire la mossa dell'attuale leader. Bersani ha definito «realistica e utile» la proposta di Franceschini, ma ha aggiunto che andrebbe «agganciata alla lotta contro l'evasione fiscale ». Traduzione: altrimenti a pagare sarebbero sempre e soltanto i soliti noti. E addio voti. Bossi non si cura dei dettagli, per il Senatur il federalismo val bene appoggiare una tassa che tanto non si farà mai.
Francesco Verderami
12 marzo 2009
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