domenica 7 marzo 2010

Comunisti involontari


Il Pdl va rassomigliando sempre di più al Partito comunista di un tempo. I suoi tre coordinatori mi perdoneranno, ma proprio questa è stata l’associazione scattatami nella mente leggendo la loro replica al mio editoriale «Il fantasma di un partito » di mercoledì.

Cosa c’entra il Pci? C’entra perché, come spesso capitava con i dirigenti di quel partito, anche Bondi, La Russa e Verdini nella loro replica sono costretti a confutare in pubblico ciò che in privato, invece, un gran numero di loro eminenti compagni di partito (per non parlare d’iscritti ed elettori!) sono prontissimi non solo ad ammettere, ma a denunciare apertamente essi per primi. Per buona educazione non faccio nomi, naturalmente.

Posso garantire però che non si tratta né di amici del Presidente Fini né tanto meno di persone che, come essi scrivono del sottoscritto, passano le loro giornate «in un ambiente praticamente sterile in compagnia unicamente dei loro libri preferiti e delle loro personali elucubrazioni». E’ proprio questo occultamento dei problemi, insieme alla povertà di elaborazione intellettuale, alla mancanza di trasparenza nelle nomine interne e nelle candidature, all’assenza di una libera discussione e delle stesse sedi istituzionali dove eventualmente farla, tra le cause prime di quella evanescenza rissosa del Pdl in quanto partito, messa clamorosamente in luce dai recenti avvenimenti di Milano e Roma. Sui quali, invece, i miei tre interlocutori preferiscono sorvolare senza dire neppure una parola.

Così come del resto nessuno di quel partito ha sentito bisogno di chiedere scusa agli italiani per il pasticcio creato, per la fibrillazione in cui è stato gettato l’intero dibattito politico, e per aver costretto alla fine il Presidente della Repubblica ad avallare un orribile decreto tappabuchi pur di non privare di qualunque significato politico il prossimo appuntamento elettorale e di non lasciar precipitare nel ridicolo l’immagine del Paese più di quanto già ci sia. Sbaglia chi pensa che queste cose siano dette per partito preso antiberlusconiano. In generale il ruolo importante avuto da Berlusconi nello stabilimento del bipolarismo, nonché in particolare alcuni risultati positivi dell’attuale governo, non sono stati mai nascosti né da questo giornale né da chi scrive. Così come personalmente non ho difficoltà a riconoscere che ministri come Gelmini, Maroni, Tremonti, Sacconi o lo stesso La Russa stanno dando buona prova di sé.

Ciò che nell’ideologia del Pdl e del suo capo è inammissibile è l’idea che il consenso elettorale sia tutto, che esso debba mettere a tacere qualunque obiezione, che solo esso conti in una democrazia. E’ questa la premessa, infatti, di due micidiali conseguenze pratiche. La prima si manifesta all’esterno come senso di onnipotenza, come arroganza nei comportamenti, come altezzosa insofferenza verso qualunque critica. La seconda conseguenza colpisce all’interno lo stesso Pdl, impedendogli di essere un partito degno di questo nome.

Se conta solo la vittoria elettorale, infatti, e il carisma berlusconiano basta a vincere le elezioni, allora è fatale che la qualità degli uomini, il merito, l’onestà, non contino niente. Che tutto si riduca a chi si precipita meglio e per primo a fare i voleri dell’Augusto, a prodursi nell’inchino più profondo e nell’elogio più compiacente. Salvo poi, come capita, ordire dietro le quinte le inevitabili congiure.

Ernesto Galli Della Loggia

07 marzo 2010

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