Tirarsi indietro ormai è impossibile, ma per il Pd la manifestazione di sabato contro il decreto salva-liste si sta rivelando una prova insidiosa. E non solo perché in piazza le critiche al presidente della Repubblica si sprecheranno. Certo questo è uno degli aspetti che imbarazzano non poco il Partito democratico. Antonio Di Pietro non ha dato nessuna garanzia. La moratoria su Napolitano che il Pd aveva chiesto all’ex magistrato di rispettare difficilmente verrà portata avanti. Lo si è visto ieri, quando il leader dell'Italia dei Valori, intervistato da Sky è tornato all’attacco dell’inquilino del Colle: «Il presidente della Repubblica io lo vedo come un padre della Costituzione, un padre della legalità e se scopro che mio padre stava lì, nottetempo, insieme a chi mi vuole far male, a scrivere quella norma, io dico: papà se mi tradisci pure tu, da chi vado?». E ancora: «Del resto noi diciamo sempre le cose in maniera diretta, non ci stiamo alle ipocrisie di tanti commentatori che dicono che questo decreto è una pessima legge ma il presidente ha fatto benissimo a firmarla: è una contraddizione in termini, è come dire che a una persona servono gli occhiali ma ci vede benissimo». Così Di Pietro.
E Luigi De Magistris va anche molto più in là. Sul suo blog l’eurodeputato dell’Italia dei Valori lancia questa accusa: «Il presidente sta avallando l’attuazione del piano di rinascita democratica ideato da Gelli e oggi realizzato dal premier piduista Berlusconi. Il capo dello Stato non sta facendo nulla per evitare che la Costituzione venga svuotata». Insomma, di motivi di preoccupazione per il rapporto con il presidente della Repubblica il Pd di Bersani ne ha iosa. Ma il Partito democratico ha anche un’altra ragione per stare sulle spine. E al momento è questo il punto che più impensierisce il segretario e gli altri vertici del Pd. Il rischio, infatti, è che a piazza del Popolo non si fischi solo Napolitano, ma che un analogo trattamento subiscano anche i dirigenti del Partito democratico. Mosso da questo timore, il segretario ieri, prima di andare dai radicali riuniti nella loro assemblea nazionale, ha agganciato Di Pietro alla buvette di Montecitorio e gli fatto questa proposta: «E’ meglio che alla manifestazione non parlino i leader nazionali, ma alcuni esponenti di partito, oltre alla società civile. Noi, per esempio, potremmo far intervenire Rosy Bindi». Già, la presidente del Pd non è invisa al «popolo viola», anzi. Il leader dell’Italia dei Valori, però, è stato irremovibile: «Voi fate quello che vi pare, ma io parlo, per il resto sono problemi vostri». Problemi di non facile soluzione. Massimo D’Alema aveva cercato di risolverli proponendo tre manifestazioni che non avrebbero focalizzato l’attenzione sugli esponenti del Partito democratico lì presenti e che sono sospettati dal «popolo viola» di avallare il comportamento di Napolitano. La proposta, però, è passata a metà, nel senso che la manifestazione clou è a Roma. E ora c’è chi spera, come il capogruppo alla Camera dei deputati Dario Franceschini, che «in piazza parlino solo esponenti della società civile, perché è giusto che sia così, è giusto che nessuno metta il cappello su questa manifestazione». Ma Di Pietro è determinato a prendersi la sua parte di gloria in quella giornata. Ed effettivamente sarebbe assai curioso se, parlando lui, Bersani delegasse a Bindi la rappresentanza del Pd rinunciando a intervenire in prima persona. Quindi è da ieri che fervono le trattative e che si lavora a tutte le mediazioni possibili. Ogni cosa, pur di scongiurare i fischi in piazza.
Maria Teresa Meli
10 marzo 2010
Nessun commento:
Posta un commento