Il Presidente risponde sul sito a critiche e accuse pesanti
di Luca Telese
“Non era possibile che non partecipasse il Pdl”: Così parlò Giorgio Napolitano. Ma la battuta più bella e perfida, dopo la controfirma del decreto da parte del Quirinale, appare su Spinoza.it, il sito dei satirici più irriverenti: “Il Consiglio dei ministri è durato 35 minuti. Poi la democrazia ha smesso di soffrire”. Quella successiva, ancora più cattiva, metteva nel mirino l’inquilino del Colle: “Napolitano ha firmato poco più di un’ora dopo. Giusto il tempo di far credere di averlo letto”.
Napolitano in realtà si difende anche nel merito: “Il testo non ha presentato a mio avviso evidenti vizi di incostituzionalità, diversamente dalla bozza di decreto prospettatami dal governo in un teso incontro di giovedì sera”. Se in queste ore il presidente della Repubblica è in grande difficoltà, però, non è solo per le beffe dei satirici, le invettive del popolo viola o per quelle dei dipietristi. Ma perché sono gli uomini a lui più vicini ad essere interdetti: il suo universo di riferimento, il suo stesso mondo. Bastava leggere la durezza dell’editoriale di Ezio Mauro, su Repubblica, per rendersi conto della frattura che si è prodotta tra gli opinion leader progressisti: “La falsa furbizia del decreto ‘interpretativo’ – scrive Mauro – completa culturalmente la lunga collana di leggi ad personam, che tutelano la sacralità intoccabile del leader”.
In queste ore, molti costituzionalisti, per rispetto nei confronti di Napolitano, tacciono. Mentre Bruno Vespa, in una ricostruzione pubblicata da Il Mattino rivela addirittura il retroscena di un litigio notturno fra Berlusconi e il presidente della Repubblica giovedì sera. Evoca – nientemeno l’attentato di Sarajevo del 1914, parla di una minaccia del premier a Napolitano: “E’ stato probabilmente il colloquio più concitato che si ricordi”. Frase clou: “”Berlusconi si è molto arrabbiato, minacciando il ricorso alla piazza”. Altri attaccano il governo, omettendo di affrontare il problema delle responsabilità di Napolitano. Il suo stesso partito, il Pd, annuncia ostruzionismo a oltranza su tutti i provvedimenti governativi che arriveranno in Parlamento.
Qualche eroe che prova a difenderlo c’è. Ad esempio Walter Veltroni, che dice: “Di fronte all’enorme gravità di questo decreto di esclusiva responsabilità della destra, la cosa più sbagliata che si possa fare è attaccare il capo dello Stato”. Eppure, a ben vedere, è proprio qui, il nodo. Ancora una volta, Silvio Berlusconi è riuscito a costruire un dispositivo mediatico per cui tutto si è focalizzato sulle responsabilità del capo dello Stato. Un effetto propiziato anche dalle mosse del Quirinale. Non era stato proprio Napolitano, infatti, a dire: “Accetto solo se non stravolgete le regole?”. Ebbene, nel momento in cui la firma arriva, il messaggio che passa è: secondo il presidente della Repubblica le regole non sono state stravolte.
I dubbi non sono solo quelli espressi con grande ruvidezza dal segretario del Pdci Oliviero Diliberto: “Evidentemente Napolitano non è più garante della Costituzione”.
Non solo quelli di Luigi De Magistris che aggiunge: “Purtroppo ormai da tempo il presidente della Repubblica avalla leggi illegittime che hanno preceduto quest’ultimo atto dittatoriale e golpista”.
I dubbi non possono essere risolti dal tentativo difensivo di Massimo D’Alema “Il presidente poteva opporre un problema di costituzionalità per una norma sostanziale – spiega il presidente del Copasir – mentre questo non poteva avvenire per una forma interpretativa”.
Così Napolitano si ritrova attaccato da Antonio Di Pietro e difeso dai moderati diessini (come Luciano Violante) e berlusconiani doc, come Renato Schifani, Fabrizio Cicchitto, Roberto Calderoli.
Il più leale degli amici che è rimasto a Napolitano, Emanuele Macaluso, attacca ferocemente il decreto, ma ci tiene a separare le responsabilità del presidente: “Penso che Napolitano si sia consultato con i costituzionalisti. Ormai in questo paese sta passando l’idea che le responsabilità del governo diventano quelle del Quirinale. Invece il Colle può respingere il testo solo in presenza di macroscopiche violazioni del dettato costituzionale”. Poi però, Macaluso ci tiene a precisare: “Questo non vuol dire minimamente che il testo andasse bene, anzi. Questo decreto è il più tipico atto del berlusconismo, contiene l’idea che le regole non sono più regole se non vanno bene al premier”: Controprova: “Ricordo la campagna elettorale del 1972. Dovetti fare dei manifesti invitando a votare il candidato socialista, che era al governo, perché il candidato del Pci era stato escluso, per una sola parola saltata, nell’elenco dei collegamenti. Ma allora le leggi si rispettavano. Quello che accade oggi – conclude Macaluso – è una farsa”. In serata il presidente della Repubblica parla ancora, per tenere il punto. Approfitta di una lettera sul sito del Quirinale per giustificare quella firma: “Egregio signor Magni, gentile signora Varenna, ho letto con attenzione le vostre lettere e desidero, vostro tramite, rispondere con sincera considerazione per tutte le opinioni dei tanti cittadini che in queste ore mi hanno scritto – spiega – il problema da risolvere era, da qualche giorno, garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici”.
La tesi di Napolitano è abbastanza sorprendente: “Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall’ufficio competente della Corte d’Appello di Milano”. Conclusione: “Erano in gioco due interessi o beni entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi”. Fervorino bipartisan: “Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri”. Come dire: sbaglia chi mi chiede di non firmare, ma anche il governo mi deve rispettare. Forse la migliore conclusione è quella suggerita da quei geni di Spinoza.it: “Articolo 1 del decreto sulle liste elettorali: Chiamiamo noi quando siamo pronti”.
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