di Furio Colombo
Sul dramma del falso elettorale di Roma e Milano cancellato con un falso decreto (falso nel senso di estraneo al diritto e alla Costituzione) è buon documento la testimonianza resa dall’autorevole ministro della Difesa La Russa, la notte tra il 3 e 4 marzo. Siamo in televisione, siamo nello studio del Tg3 della notte. Bianca Berlinguer, che conduce il programma, ha appena fatto in tempo a pronunciare i nomi di Bonino e Cappato (Emma Bonino, candidato presidente per i Radicali e il Pd per la regione Lazio, Marco Cappato, candidato presidente per la regione Lombardia) che il ministro della Difesa ha una scossa, come da urto, una smorfia come da pena e prima dice, poi grida, poi urla le tre frasi che seguono e che ho subito annotato perché dicono molto della storia italiana di questi anni: “Non accetteremo mai alcun verdetto di esclusione. La soluzione dipende da quanto si vuole continuare a pescare nel torbido. Non è accaduto niente. Non hanno mai controllato il pelo nell’uovo, prima”. Ho annotato anche l’ora: 0:25 del mattino. E mi sembra utile ricordare anche la reazione della Berlinguer. Invece di spaventarsi del bullismo, ha detto subito – con un tono da insegnante: “Ehi, ma cosa c’è da gridare?”. Sapete come è fatto La Russa. Se qualcuno gli tiene testa sta al gioco e finge di fare il gentiluomo. Altrimenti continua a gridare come nella non dimenticata “scenata del crocifisso”, quando ha concluso l’esposizione del suo punto di vista sulla delicata questione gridando a pieni polmoni: “Possono morire coloro che vogliono toglierci il crocifisso”. Però qui non è in discussione il segno di pace del crocifisso secondo La Russa. E non è in discussione neppure la sua voglia di battersi – fisicamente, se necessario – pur di andare a votare, e chi se ne frega delle regole. E infatti, dalle parti della sua frantumata coalizione, in Italia, sono subito apparsi i manifesti “Noi vogliamo votare” (niente firma, ma – si presume – “il popolo”), “Vinceremo”, come nuovo e un po’ imbarazzante slogan della Polverini. E il rincorrersi del drammatico annuncio: questo è un golpe. Definizione del golpe: pretendere la piena e scrupolosa osservanza delle regole. Definizione dei golpisti: i radicali.
Dunque sono in discussione i radicali e non è detto che molti tra coloro che non simpatizzano affatto per la Casa delle Libertà si siano domandati, con disorientata perplessità: “Ma conveniva arrivare fino a questo punto e far saltare il gioco prima di giocare?”. In altre parole, in tanti – salvo coloro che sono al sicuro dietro al muro della loro fede assoluta nel presidente unico e nel suo modo di governare (il resto è caos) – si stanno chiedendo se non stiamo esagerando. O meglio, se non abbiano esagerato i radicali nelle loro pretese di controllo. Infatti, il pelo nell’uovo dà fastidio al capobranco La Russa, perché è una sfida impertinente a un potere che – secondo loro – non si discute. Ma, in un modo antico, istintivo, radicato nella nostra storia (come la scrupolosa e ossessiva cura dei dettagli è nella natura tedesca) contraddice radicati costumi italiani, si contrappone all’apparente buonsenso che si esprime nella frase “una soluzione si trova sempre”. È una frase bonaria, che serve però a costruire i ponti di barche che portano – violazione di regole dopo violazione di regole – a situazioni come gli appalti della Maddalena e de L’Aquila.
Un fremito di impazienza sembra circondare il tranquillo sostare di Bonino sul punto in cui si è verificato lo spacco e si è scoperto che le diverse e litigiose fazioni del Pdl stavano sbarazzandosi di limiti e regole con l’aria di chi sa che può farlo perché lo ha sempre fatto. C’è chi guarda con un certo fastidio il filmato (con sonoro in romanesco) prodotto dai radicali su ciò che è avvenuto nella parte denunciata della vicenda. “Ma che, lo stai a fa’ qui?”, dice una voce di disperato buon senso al messo Pdl che, chino sul pavimento – sta cambiando i nomi della lista che deve presentare, evidentemente su ordini autorevoli appena ricevuti. Anche la prova filmata? Non stiamo esagerando? La stessa impazienza o, meglio, una difficoltà a capire ardua da spiegare ma, temo, diffusa, si sente intorno a Marco Cappato. Non è solo il grido di lesa maestà con cui il governatore Formigoni sta dicendo ai suoi indigeni il senso di assurdo che lui percepisce perché qualcuno ha osato – a lui! – controllare le carte. Sto rendendo conto di una sorta di “invito alla normalità”, a qualche forma di “come prima”. Si esprime con la frase “Non si può andare avanti così. A un certo punto dobbiamo pur votare. E per votare dobbiamo essere in due”. La prima parte della frase è giusta, è il buon senso comune. La seconda è il problema, dove la foce del fiume (quanto esondante non sappiamo) di opposizione diventa un estuario. Si nota però la diversità dei radicali. Non è una lode (benché si conoscano apprezzamento e vicinanza per molto di ciò che propone e fa quel partito), è una constatazione. Aggiungete una piccola parte (radicale) a un partito grande, educato, prudente, ancora convinto di vivere e operare in un paese normale, e otterrete una quantità e una qualità di opposizione più forte e ostinata di resistenza, di contrapposizione, di rigetto. La particella che crea tumulto e conflitto è “legalità“. È un’antica vittima della politica italiana.
Ma, nel tempo di Berlusconi, molto di più.
La domanda che tiene tutto in sospeso è: dopo l’indecoroso, l’illegale “segreto interpretativo” che fa diventare legge la pretesa psicotica di cambiare i fatti cambiandone il racconto, la lotta per la legalità e l’estrema difesa della Costituzione diventa più forte o finisce qui?
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