FRANCESCO BEI
Parla con una mano in tasca. Davanti a questi imprenditori, che si spellano le mani a ogni sua battuta, si sente a casa. Chiama la Marcegaglia "la nostra Emma", la Confindustria diventa "la nostra associazione". Che, come un postino, potrebbe anche fargli il favore di distribuire "a tutti i colleghi imprenditori" il libro blu con le "tantissime realizzazioni del governo del fare, che solo a leggerle tutte ci si annoia". Rifiuta la "teoria del declino" italiano e annuncia "riforme in tutte le direzioni", compreso ovviamente il presidenzialismo con il rafforzamento dell'Esecutivo che "oggi non ha nessun potere". Una sottolineatura che lo manda in fuorigioco rispetto al Quirinale, visto che Berlusconi, lamentandosi dei suoi scarsi poteri, ricorda come "ogni provvedimento che esce dal Consiglio dei ministri debba poi essere sottoposto al presidente della Repubblica e al suo staff, che controlla minuziosamente anche gli aggettivi". Una frase che, a detta degli uomini del Cavaliere, non andrebbe intesa contro Napolitano, con il quale anzi "i rapporti sono eccellenti".
Ma che al Colle non è piaciuta affatto: "Non è la prima volta che lo dice e non sarà l'ultima. Certo, stupisce il momento".
La novità è che il premier spedisce in fondo alla lista delle cose da fare la riforma della Costituzione, mettendo in vetrina la riforma fiscale. La riforma istituzionale, annuncia infatti dal palco, "non so se sarà la prima in ordine di tempo, forse la posticiperemo alle altre. Non è un grave problema". Quanto al ministro Calderoli, che ha già portato al Quirinale la sua bozza, Berlusconi gli tira le orecchie: "Calderoli "piè veloce" ha voluto usare la cortesia al presidente della Repubblica di portargli una prima bozza di cui aveva sommariamente discusso con me, ma state sereni, di questa riforma della Costituzione discuteremo in tante sedi. Ci metteremo tutto il buon senso necessario, con l'apertura più totale ad ascoltare tutte le voci".
Promesse agli industriali ne fa poche, si ferma ai titoli. "La vostra richiesta di riforme - assicura - trova la nostra più assoluta condivisione. Dobbiamo liberare i cittadini e le imprese dall'oppressione fiscale, burocratica e giudiziaria". E' ancora e sempre la giustizia il chiodo fisso ed è ai giudici e alla Corte costituzionale che riserva le stoccate più dure. La Consulta, "essendo frutto di tre successivi presidenti della Repubblica di area di sinistra è fatta da undici membri di sinistra e da quattro Ladi centrodestra". La "patologia della nostra democrazia" è dunque una Corte che "è diventata organo politico anziché organo di garanzia", visto che "abroga le leggi che non piacciono ai pm di Magistratura Democratica". Insiste sulla separazione delle carriere e torna a difendersi: "Continuano a processarmi solo per mantenere l'avversario politico sulla griglia mediatica". Si definisce "il più grande imputato della storia dell'Universo" e promette una rapida approvazione del giro di vite sulle intercettazioni. "Alzi la mano chi di voi teme di essere spiato al telefono", grida nel microfono. E tutta la platea, come ai comizi del Pdl, alza la mano. Attacca anche Santoro, definendo "inaccettabile che si facciano processi sulla tv pagata da tutti". Quindi rivendica le telefonate fatte per bloccare Annozero, anzi "vorrei che fossero tutte pubblicate".
C'è poco spazio le richieste degli imprenditori. Berlusconi loda a piene mani il "rigore" del ministro dell'Economia. "Al signor Tremonti chapeau! Potevamo finire come la Grecia, invece è riuscito a tenere in ordine i conti pubblici". La riforma fiscale si farà, ma con calma: "Ci vorranno almeno tre anni di tempo, anche se spero non servano tutti". Lo applaudono 20 volte in 50 minuti. Poi pranzo con la Marcegaglia e bagno di folla in centro, a piazza Garibaldi.
(11 aprile 2010)
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