domenica 11 aprile 2010

Rivoluzione Feltrinelli


di Enrico Arosio

La casa editrice lascerà la storica sede. Per trasferirsi in una cittadella culturale con il Comune come partner. Una sfida economica e sentimentale firmata Herzog & de Meuron Rendering della nuova sede

Milano, Palazzo Marino. Il sindaco Letizia Moratti sta salutando l'editore Carlo Feltrinelli dopo la conferenza stampa. A Jacques Herzog, il celebre architetto svizzero, si avvicina una signora chic dai capelli candidi. In francese perfetto gli rivolge "mes compliments les plus sincers" per il progetto della futura sede Feltrinelli a Porta Volta. Colpo di teatro: è Antonella Feltrinelli, sorella minore di Giangiacomo. Raro vederla a Milano, ha vissuto in Francia, moglie di André d'Ormesson, antica stirpe di diplomatici. Sono storie remote, ma Antonella d'Ormesson fece una memorabile causa alla madre Giannalisa per la suddivisione dell'immenso patrimonio costruito da Carlo Feltrinelli senior; ancora nel 1981, alla morte di lei, ne impugnò il testamento. Per anni aveva contestato, lei cattolica di madre monarchica, le scelte di Giangiacomo, l'eccentrico, il rivoluzionario, il visionario perito nello spaventoso incidente di Segrate nel 1972. Vederla qui, ora che il nipote Carlo annuncia il grande passo, un nuovissimo edificio Feltrinelli interamente in vetro disegnato da Herzog & de Meuron, i progettisti dello Stadio Olimpico di Pechino, ha un forte valore simbolico.

Un trasloco epocale. Che cosa significa il trasloco Feltrinelli, chiamiamolo così, annunciato per il 2013? Tante cose. Un passo storico per un gruppo editoriale e librario che produce ricavi di 470 milioni di euro e per cui lavorano 1.600 persone. Una decisione maturata come il vino in barrique, se il presidente del gruppo, alla domanda da quanto ci pensasse, ci ha risposto "dieci anni". Il sigillo definitivo sul passaggio generazionale dalla Feltrinelli di Inge (che scandisce sorridente: "Ha fatto tutto lui. Io non so niente") alla Feltrinelli di Carlo, classe 1962. Una scelta strategica, condivisa con il Comune, proprietario di parte dell'area, per valorizzare una zona storica, Porta Volta, confinante con l'asse Brera-Garibaldi-Repubblica in tumultuoso sviluppo, sullo sfondo della combattuta approvazione del Piano di governo del territorio che deve ridefinire la grammatica della città di qui al 2030. Un passo storico per un'impresa milanese e nazionale (di librerie Feltrinelli, 98 in Italia, se ne trovano da Trieste a Cagliari), e un segno di fiducia in un Paese in stagnazione economica incipriato dalla cosmesi negazionista di Berlusconi.

È anche la prima grande operazione immobiliare di Carlo Feltrinelli. "Costosissima", si limita a dire. Fonti indipendenti stimano un investimento totale tra 40 e 55 milioni di euro. Sui 17 mila metri quadri dell'area il primo edificio, più lungo, sarà diviso tra gli uffici del gruppo, la casa editrice, libreria, caffetteria, ristorante, e la Fondazione Feltrinelli; il secondo ospiterà uffici del Comune e altre attività commerciali. Il Piano integrato d'intervento è ancora in discussione. Ma prima di tutto, un passo indietro: nella memoria di una dinastia imprenditoriale che ha traversato le grandi narrazioni novecentesche dalla monarchia al fascismo, da Togliatti al boom economico, dal 'Dottor Zivago' al terzomondismo alla società liquida di Zygmunt Bauman.

La storica via Andegari. Lasciare via Andegari non è facile. Via Andegari, scrigno stendhaliano tra la Scala e via Manzoni, è un pezzo di cuore. È stato l'indirizzo di casa e d'affari di Carlo Feltrinelli senior, che aveva moltiplicato le ottocentesche fiorentissime attività nel legname con una rete smisurata di attività bancarie, immobiliari, commerciali. Morì per infarto, nel 1935, dopo un teso colloquio con Alberto Beneduce che gli intimava, su ordine di Mussolini, l'abbandono di ogni carica nell'Iri. All'epoca Feltrinelli occupava poltrone in ben 37 società italiane ed estere, tra cui le presidenze degli Industriali del legno, della Edison, del Credito Italiano, della Banca Unione, e una miriade di interessi dall'Austria agli Stati Uniti, dalla Russia al mar Nero. Un patrimonio troppo importante per un 'afascista'.

Via Andegari è stato il ritorno a casa di Giangiacomo Feltrinelli dopo il suo febbrile dopoguerra, tra il matrimonio a 21 anni, il Pci, i viaggi in Scandinavia, la nascente leggenda di capitalista rosso. Le sue parole quando inaugurò l'Istituto Feltrinelli, nel 1961: "Qui, in questa vecchia casa, dove ha abitato mio padre, al quale in questo momento penso con infinita riconoscenza, per quanto mi ha permesso di fare e far fare". Oggi è Fondazione Feltrinelli, di cui Carlo jr. è presidente, e con i feltrinelliani nel consiglio di amministrazione coabitano per statuto il sindaco, la Regione, l'Università Statale: un ormai raro condominio che fa onore al Comune, governato a destra da quindici anni, giacché la Fondazione è storia della sinistra culturale milanese. Oggi, con la sua biblioteca di 200 mila volumi, è un centro studi di calibro europeo sui movimenti politici e sociali dall'Illuminismo al Novecento. Il patrimonio svaria dall''Encyclopédie' a Marx, dagli utopisti inglesi alla Repubblica di Weimar, da Mazzini all'Urss e al dissenso cinese. L'ultimo scoop è dell'altro giorno, con i diari filo-Togliatti di Sibilla Aleramo rivelati da Enzo Golino su 'la Repubblica'. E dunque, se investire in una nuova sede (sebbene: "Non faccio l'immobiliarista") è per Carlo junior un omaggio a Carlo senior, rilanciare la Fondazione è una dedica al padre Giangiacomo. Senza dimenticare, naturalmente, la madre Inge, che di via Andegari è stata regista, pi-erre, tessitrice, ministro degli Esteri, creando quel vivace crocevia intellettuale che tanti conoscono e dove si è sempre potuto bere un Martini con un premio Nobel.

Voglia di futuro. Il progetto a Porta Volta sembra noioso, ma non lo è. L'area è difficile, lunga e stretta: vista dal cielo ricorda la 'F' del logo disegnato da Bob Noorda. L'intervento è urbanistico più che architettonico. Herzog & de Meuron, superpotenze internazionali (oggi ad Amburgo sotto tiro per l'esplosione dei costi da 200 a 500 milioni di euro della visionaria Filarmonica dell'Elba) qui fanno un passo indietro. Il linguaggio è semplice, austero. Una lunga serra luminosa con una copertura a falda dagli echi gotici. Herzog usa argomenti precisi: la trasparenza come metafora dell'impresa culturale; la ricucitura con le Mura Spagnole, in funzione di porta sul centro storico; l'area attrezzata a verde, di cui c'è tanta richiesta; l'edificio oblungo come citazione della cascina lombarda cara ad Aldo Rossi (che fu loro maestro al Politecnico di Zurigo); la tradizione milanese degli edifici gemellari. Qui Herzog, che Carlo Feltrinelli ha conosciuto per caso da Chez Donati a Basilea, specialità Chateaubriand e ossobuco alla milanese, si esprime con umiltà. Eppure, i primi commenti della comunità degli architetti hanno i toni della zitella astiosa: chiamare le archistar è da provinciali; le archistar riservano all'Italia progetti minori e svogliati. Curioso: sono gli stessi che deplorano, nel caso delle tre torri di City Life, che le archistar si esibiscono con forme muscolari e pacchiane. L'esatto contrario. Che la comunità milanese, davanti a un salto generazionale, sia malata d'invidia?

(06 aprile 2010)

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