Niente da fare. Il governo e la maggioranza non ascoltano neppure l'ultimo appello, lanciato su Repubblica, del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Lui, appena ieri, aveva chiesto di fermarsi sulla norma transitoria, quella che regola l'applicazione della riforma sulle intercettazioni ai processi in corso, perché così com'è scritta impone la durata breve (75 giorni) anche agli ascolti attualmente in vigore, pur nati sotto regole differenti. E rischierà di far "saltare" molti pm, in quanto basterà una denuncia per una presunta fuga di notizie e l'iscrizione sul registro degli indagati, per costringerli ad abbandonare l'indagine.
Ma basta leggere gli undici emendamenti depositati dal centrodestra e firmati dai vertici Pdl di palazzo Madama Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, dal leghista Federico Bricolo, dal relatore Roberto Centaro, per rendersi conto che non solo quella norma c'è, ma è stata ulteriormente rafforzata ed estesa. Appena la legge farà la sua comparsa sulla Gazzetta ufficiale i pm non potranno più avere alcun contatto con la stampa, il loro volto non potrà più essere ripreso, neppure con immagini di repertorio, e sarà sostituito dal capo della procura se contravviene alle regole. I processi caleranno nel buio perché l'opposizione di un solo imputato bloccherà le riprese. Non si potranno più intercettare i difensori neppure sulle utenze di terzi. E delle intercettazioni, né in versione integrale, né per riassunto, si potrà dare conto.
Certo, entra l'emendamento salva-cronaca di Giulia Bongiorno, per cui "degli atti si potrà dare conto per riassunto"; calano le multe agli editori da 465mila a 300mila euro. Cade la durata breve pure se si sta cercando un latitante. Ma il governo non rinuncia a influire pesantemente sui processi in corso, come quello sugli appalti del G8. Per quello, sulle intercettazioni e sugli atti, varranno le nuove norme non appena saranno approvate.
C'è da chiedersi perché la norma transitoria della Camera - "Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore" -, scritta apposta per evitare la solita accusa di una riforma ad personam, sia mutata e allungata a dismisura con ben tre commi che di fatto ordinano di applicare la legge anche ai processi in corso. Se lo chiederà la finiana Giulia Bongiorno quando avrà finito di passare il testo sotto la sua lente d'ingrandimento per capire se una regola basica del presidente della Camera Gianfranco Fini, "la legalità e la lotta al crimine sono principi sacrosanti", risulti lesionato dalla nuova legge.
Certo è che stride la previsione di non rendere obbligatorio l'arresto in flagranza nei casi di violenza sessuale nei confronti di minori, se gli atti compiuti sono di minore entità. C'è già chi adombra l'ipotesi che ciò possa riguardare gli uomini della Chiesa coinvolti negli scandali sulla pedofilia. Chi ha partecipato alle riunioni con il Guardasigilli Alfano, il sottosegretario Caliendo, il relatore Centaro minimizza. Parla di una regola da applicare qualora il reato sia commesso, ad esempio, da un altro minore. Ma l'attenzione proprio per questo delitto, mentre fioccano gli scandali su Vaticano e pedofilia, non può che risultare singolare.
Undici emendamenti, e non c'è quello che avrebbe dovuto consentire di mettere le microspie senza che il pm sia costretto a dimostrare che giusto in quel luogo c'è "il fondato motivo di ritenere" che si sta commettendo un reato. Se ne lamenta il dipietrista Luigi Li Gotti che dà per "morte" le ambientali ("Non se ne potrà più fare una"). Ma il ministro dell'Interno Maroni dice: "Sono tranquillo. Non ci sono problemi per la lotta alla criminalità organizzata". Tutti i pm antimafia la pensano all'opposto. L'opposizione, con 280 richieste di modifica, da lunedì farà battaglia in aula. Oggi il Popolo viola scende in piazza.
(29 maggio 2010)
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