di Marco Travaglio
A furia di associare Tangentopoli ai magistrati che l’hanno scoperta anziché alle tangenti che l’hanno causata, gli intellettuali “liberali” sono un po’ a corto di argomenti sulla nuova Tangentopoli.
Sabato, sul Pompiere della Sera, Ernesto Galli della Loggia si è prodotto in un collage di pensierini che farebbero arrossire uno scolaretto di prima elementare.
Premessa: dagli scandali emerge “una vasta, capillare indifferenza alla correttezza e alla legalità”. Però, che acume. Segue un interrogativo angosciante: “Ma che razza di società è la società italiana?”. Bravo, ben detto. “Perché da noi più che altrove la corruzione politica non sembra trovare l’ostacolo di alcuna efficace forza dissuasiva? Perché la paura di essere scoperti e quindi puniti… in Italia non sembra svolgere la sua funzione in misura apprezzabile?”. Ohibò. Perdinci. Cribbio.
Suvvia, professor Galli nonché Della Loggia, dov’era lei in questi 16 anni mentre la classe politica demoliva tutti gli argini anticorruzione per evitare che i corrotti e i corruttori fossero “scoperti e quindi puniti”? Mai sentito parlare della profluvie di leggi ad personam e ad personas, ad castam e ad aziendam/s, per spiegare ai ladri di Stato che delinquere paga, rubare conviene e ci vuole un bel coraggio non per violare le leggi ma per rispettarle?
Orsù, meglio tardi che mai, scriva finalmente due righe contro la depenalizzazione strisciante del falso in bilancio e dell’abuso d’ufficio; contro l’ex Cirielli che ha dimezzato i termini di prescrizione garantendo che i reati non verranno più scoperti e, nel caso in cui lo fossero, non ci sarà tempo per punire i colpevoli; contro l’indulto esteso ai colletti bianchi che ha regalato a ciascun condannato passato e futuro un bonus di 3 anni da detrarre da pene già irrisorie per legge.
Ma Galli della Loggia non è tipo da farsi impressionare dai fatti. È uno storico, dunque i fatti non lo riguardano. Mentre venivano cancellati i reati e i processi, lui vagava nell’iperuranio.
Poi, di recente, è caduto dal pero, anzi dalla Loggia, e si è fatto molto male. Prescindendo dai fatti, s’è messo in testa che il problema sia la giustizia, non la politica: ci sono giudici, scrive, “ben capaci di aprire indagini, ordinare intercettazioni telefoniche (ancora per poco, ndr), far scontare arresti preventivi immotivati (lo stabilisce lui, si capisce, ndr), divulgare segreti istruttori più o meno compromettenti (il segreto istruttorio è stato abolito nel 1989, ma lui non se n’è accorto e nessuno ha pensato di avvertirlo, ndr) e anche alla fine arrivare al rinvio a giudizio”.
Purtroppo – denuncia amaro – la giustizia italiana “è singolarmente incapace di comminare sentenze esemplari e di farle scontare”. Ecco, siccome lui è un garantista a 24 carati, le condanne non le vuole giuste, ma “esemplari”, come negli stati di polizia.
Poi lacrima perché in Italia “il corrotto gradito ai suoi capi può dormire sonni tranquilli: niente galera e carriera sicura, come prima”. Insomma, “i 30 anni di Madoff o gli ergastoli per i responsabili della Enron da noi sono impensabili. Le carceri italiane sono piene quasi soltanto di poveri diavoli”, mentre per corruzione “è rarissimo vedersi condannati in via definitiva a pene che non siano simboliche o quasi”.
Ma va? Non ci dica, professor Galli. A parte il fatto che Madoff, per la sua mega-truffa, di anni se n’è beccati 150, al nostro storico sfugge che i giudici appiopperebbero volentieri pene alte ai white collars, ma le pene le stabilisce il Parlamento, non i giudici. E in Parlamento e al governo siedono una ventina di pregiudicati e un’ottantina di indagati e imputati, più i loro avvocati. E chi lo ricorda viene tacciato di “giustizialismo” dai Galli e dai Della Loggia.
Cinque mesi fa il Parlamento italiano, assieme al capo dello Stato e al Pompiere della Sera, era impegnato a beatificare un politico corrotto, morto in latitanza con condanne definitive a 10 anni.
Ma in quei giorni il professor Galli era ancora nell’iperuranio e non era ancora caduto dalla Loggia.
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