FRANCESCO GRIGNETTI
C’è un gran giallo attorno alla lista Anemone, il famoso elenco di illustri beneficiati dall’imprenditore collegato alla «cricca». Davvero la lista, sequestrata nell’ottobre 2008, è stata tenuta per quasi diciotto mesi in un cassetto della Finanza? O non è stata forse mostrata a Achille Toro, che fino al febbraio scorso era il procuratore aggiunto a Roma e sovrintendeva all’inchiesta sui Mondiali di Nuoto?
Di sicuro, la lista non è mai stata mostrata ai pm Sergio Colaiocco e Delia Cardia che erano i titolari dell’indagine e avevano ordinato la perquisizione negli uffici di Anemone. Fa fede la dichiarazione ufficiale del procuratore capo Giovanni Ferrara, diramata qualche giorno fa: «Si precisa - scriveva Ferrara - che la cosiddetta lista Anemone, relativa ai soggetti che hanno usufruito di prestazioni da parte delle imprese riferibili all’imprenditore, non è mai stata trasmessa, comunicata o comunque portata a conoscenza dalla Procura della Repubblica di Roma». Ma siccome i sussurri della Guardia di Finanza dicono che invece il dottor Toro ebbe modo di vedere la lista - e quindi implicitamente lo si accusa di avere sabotato le indagini - ecco che i pm di Perugia, Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, hanno convocato per oggi alcuni ufficiali delle Fiamme Gialle per venire a capo di questo mistero. E poi toccherà all’architetto Angelo Zampolini.
Achille Toro, dunque. Non s’è mai smesso di indagare sul conto dell’ex magistrato e di suo figlio Camillo. Sono accusati di associazione a delinquere e rivelazione di segreto istruttorio, ma un nuovo filone d’inchiesta si sta aprendo: Antonio Di Pietro, infatti, nel corso della testimonianza resa ieri davanti ai magistrati fiorentini e perugini riuniti, ha rimarcato una connessione che a lui, ex ministro dei Lavori pubblici ed ex pm, è saltata agli occhi. «Perché non indagate - ha detto in buona sostanza il leader Idv - sul ruolo di Toro come capo di gabinetto al ministero dei Trasporti nei diciotto mesi del governo Prodi?».
La pista lanciata da Di Pietro è intrigante. Nel maggio 2006, all’insediarsi del governo Prodi, il ministero delle Infrastrutture che negli anni precedenti era stato retto da Lunardi fu diviso a metà per dare più poltrone ai partiti della coalizione di centrosinistra: i Trasporti andarono ad Alessandro Bianchi, in forza al partito di Oliviero Diliberto; i Lavori pubblici a Di Pietro medesimo. Achille Toro, che in quel momento era indagato dalla procura di Perugia per rivelazioni di segreto in merito alla vicenda dei «Furbetti del Quartierino» (di nuovo investigava Sergio Sottani: ma da quella storia Toro ne uscì candido come la neve), lasciò temporaneamente la magistratura e finì capo di gabinetto di Bianchi.
Un ruolo chiave in un ministero «pesante» quanto ad appalti. Di qui l’interrogativo di Di Pietro, immediatamente recepito dai pm: non sarà che il rapporto con la «cricca» si consolida in quella fase? Nello stesso periodo, Balducci, che da Lunardi era stato nominato presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, entra in rotta di collisione con Di Pietro, viene spostato, ma non ci sta e se ne va sbattendo la porta. Cade comunque in piedi, perché è pronta la nomina a capodipartimento della presidenza del Consiglio grazie ai buoni uffici di Francesco Rutelli, amicissimo dai tempi del Giubileo. E nasce così, anche formalmente, la «squadra» di via della Ferratella. Balducci rientrerà poi trionfalmente al ministero delle Infrastrutture con Altero Matteoli.
Fin qui, Di Pietro. Ma basta scorrere le date per capire che cosa sottintende l’ex pm di Mani Pulite. Il governo di Romano Prodi cadde nel marzo 2008. Qualche mese dopo, Achille Toro era di nuovo procuratore aggiunto di Roma e visionava il lavoro dei pm Colaiocco e Cardia che indagavano - vedi l’ironia della sorte - proprio sui protettivi amici dei suoi figli Camillo e Stefano. E’ soltanto un caso, allora, se la «cricca» si danna per far avere al figlio di Toro un buon incarico al ministero nei mesi che seguono al cambio di maggioranza (e al ritorno al suo lavoro di magistrato)? E’ soltanto una coincidenza che Stefano ottenga una ricca consulenza nell’ambito dei Grandi Appalti? I sospetti che la magistratura perugina nutre su Achille Toro, insomma, diventano sempre più pesanti. Non c’è prova che abbia spifferato davvero lui i segreti di questa inchiesta. Finora i sospetti restano solo sospetti. Ma il suo onore di magistrato è appeso alle parole che diranno oggi gli ufficiali della Guardia di Finanza.
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