di Luca Telese
È vero, l’uomo ci ha abituato a repentini cambiamenti di rotta, infiniti colpi di scena, sorprendenti cadute e spettacolari resurrezioni. Ma, di sicuro, quello che Massimo D’Alema sta passando in questi giorni è davvero “un momentaccio”, un’ennesima prova, un passaggio politico cruciale in cui si intravede un bivio: o un cambio di marcia netto, o il lento logoramento che alla fine erode tutte le leadership forti della politica italiana fino a consumarle. Lo scenario è noto: uomini a lui vicini che cadono nelle maglie delle inchieste, contese polemiche senza rete, offensive interne che mettono in discussione la sua egemonia dentro il Partito democratico, sentenze di condanna comminate senza appello da editori di riferimento della sinistra riformista un tempo vicini.
L’ultima tegola, però, ha un nome e un cognome: quella di Flavio Fasano, ex sindaco di Gallipoli, ex assessore provinciale ai Lavori pubblici, da sempre considerato uomo-ombra del Líder Maximo nel tacco d’Italia.
L’arresto di Fasano. Due giorni fa, alla porta di Fasano bussano i carabinieri. Per lui scatta l'arresto (assieme ad altri quattro), con un repertorio di accuse che vanno dal concorso in “turbata libertà degli incanti e violazione del segreto d'ufficio”, al “falso per induzione in errore determinato dall'altrui inganno”, dalla “corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio” all’“abuso d'ufficio”. Nella giornata di ieri lo stillicidio di intercettazioni che rimbalzavano sui giornali online era impressionante. Fasano si ritrovava impelagato in intercettazioni come questa, sugli appalti della cartellonistica: “Allora – diceva l'ex sindaco – io qua ti sto dando un quadro economico… di rimozione di 7000 cartelli. Il 75% con un introito medio di 200 euro, un introito di 874.000 euro dalla rimozione. Alla Provincia va a trovare il 5%, appena 45.000 euro”. E ancora: “Io ho detto, a Gino (Siciliano) fai il capogruppo! Mi dai il 3%, che noi siamo...”. Certo, i frammenti possono essere interpretati; le accuse devono essere provate, il quadro accusatorio è complesso, ma quello che emerge è perlomeno una incredibile disinvoltura, un tono medio che lascia di stucco, una lingua brutale, un fenomeno che attraversa una intera classe dirigente legata all'ex premier e al Pd.
Ieri su Il Giornale, Gian Marco Chiocci riassumeva così un vero e proprio bollettino di guerra: “Dopo le dimissioni dell'indagato segretario organizzativo del Pd, Michele Mazzarano, suo fedelissimo nel Salento (in rapporti con l'imprenditore Tarantini, quello della D'Addario a Palazzo Grazioli); dopo il coinvolgimento nelle inchieste baresi del suo amico-factotum Roberto De Angelis (quello degli incontri fra D'Alema e Tarantini); dopo l'iscrizione sul registro degli indagati dell'imprenditore Enrico Intini, suo intimo amico (nel medesimo filone sesso-sanitario); dopo tutte queste faccende disgraziate, insomma, un altro pesce pregiato del branco dalemiano finisce nella rete giudiziaria”.
I dalemiani non esistono. Certo, ha buon gioco D’Alema a ricordare che “i dalemiani non esistono”, e che molti hanno usufruito con molta generosità di questa qualifica. Ed è sicuramente brillante la battuta coniata dalla sua portavoce, Daniela Reggiani, per spiegare che le appartenenze dentro il Pd in questi anni si sono confuse e talvolta ribaltate: “Fatemi capire. Quando Fasano votava la mozione Franceschini, all’ultimo congresso, i giornali scrivevano: ‘È uno schiaffo a D’Alema’. Quando Fasano faceva sapere che votava per Nichi Vendola, commentavano: ‘È uno schiaffo a D’Alema’. È possibile che ora che lo arrestano – ironizza con tono amaro la Reggiani – i giornali scrivano: ‘È uno schiaffo a D’Alema?’”.
I “pugliologi” ricordano anche che i rapporti fra il lìder maximo e il dirigente pugliese del Pd (dopo i fasti dei tempi in cui D’Alema lo aveva addirittura sposato) si erano già raffreddati nel 2004, quando Fasano sperava in una candidatura che non arrivò. Ma allo stesso tempo colpisce che il minimo comune fra tutte le storie che abbiamo ricordato sia quello della “Questione morale”.
Il duello sulle signorine. Già nel duello televisivo all’arma bianca con Alessandro Sallusti, a ridosso di uno spot, il condirettore de Il giornale tirò fuori l’argomento tabù. D’Alema: “Adesso le manderanno qualche signorina...”. E Sallusti: “Veramente le signorine in Puglia hanno frequentato i dalemiani!”. Per non parlare delle frasi senza appello di De Benedetti. “Stimo moltissimo Bersani: è stato un eccellente ministro e di lui come persona e uomo di governo posso soltanto dir bene. Ma come leader? È totalmente inadeguato. Lui e D'Alema – dice l’ingegnere in un libro intervista che esce questa settimana ma che è stato già anticipato – stanno ammazzando il Pd”. E ieri a Londra in una lezione alla London Schol of Economics è andato anche oltre: “D’Alema? Un problema umano?”. Si,è vero, è un momentaccio: ma a Ballarò D’Alema ha perso le staffe perché non aveva elaborato una riflessione compiuta sulle vicende pugliesi, e – forse – persino sulla storia della sua casa. Se vuole tornare a “volare alto”, dovrà dirci qualcosa di netto e chiaro su quello che succede “in basso”, sull’abisso in cui sono precipitati uomini che lui conosce come le proprie tasche. O che almeno credeva di conoscere...
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