Credibile che arrivi l’Italia a impartire lezioni di privacy agli americani? Appena l’altro giorno a Chicago è cominciato il processo al governatore dell’Illinois, Rod Blagojevic, arrestato 18 mesi fa mentre cercava di vendere all’asta il seggio senatoriale lasciato dal presidente Obama, eppure già all’indomani dell’arresto il 9 dicembre 2008 i giornali pubblicavano le intercettazioni che lo incriminavano: provenienti non da chissà quale suburra, ma da un documento ufficiale della Procura al Tribunale Federale, accessibile ai giornalisti in maniera trasparente, al pari dei successivi documenti prodotti dalla difesa.
Con la legge «blindata» ieri dal vertice del Pdl, invece, in Italia un caso-Blagojevic non si ripeterà perché mai le intercettazioni saranno pubblicabili (nemmeno per riassunto) fino al processo, anche se ormai depositate e non più coperte da segreto, anche se penalmente rilevanti e su fatti non privati ma di interesse pubblico.
A violare questo irrazionale divieto, ben diverso dal divieto invece ragionevole di pubblicare telefonate private o irrilevanti di cui il giudice abbia ordinato la distruzione, verrà seppellito da sanzioni pecuniarie fino a 309.000 euro a notizia, agganciate alla responsabilità amministrativa oggettiva dell’editore: norma che costringerà l’editore ad adottare modelli organizzativi e organi di vigilanza che impediscano ai giornalisti di commettere questo reato, e esproprierà direttore e redazioni della scelta su notizie suscettibili di determinare vita o morte economica di una testata.
Nel guazzabuglio di emendamenti presentati-ritirati-modificati, non mutano poi assurdità difficili da ritenere «un punto di equilibrio »: l’estensione, già giudicata irragionevole dalla Corte Costituzionale, delle più rigide regole delle intercettazioni anche ai meno invasivi tabulati; o il rischio di paralisi dei piccoli tribunali di capoluogo, a causa della nuova competenza collegiale sulle intercettazioni di un intero distretto (con il risultato che ci vorranno tre giudici per decidere se acquisire un pezzo di carta indicativo di chi-ha-telefonato-a-chi, mentre uno solo darà l’ergastolo in abbreviato). Sfocia in presa in giro il recupero delle intercettazioni ambientali, da autorizzare di 3 giorni in 3 giorni; diventa telenovela oraria la proroga di quelle telefoniche dopo i 75 giorni; e cala la tagliola dell’inutilizzabilità delle intercettazioni se a fine processo il fatto risulta diverso da quello per cui erano iniziate.
Mettere a punto la legge a casa propria, e poi annunciare che Senato e Camera dovranno votarla a scatola chiusa—come ha fatto ieri il premier, tornato anche ad attaccare la Consulta «dalla quale i pm vanno a farsi abrogare le leggi che non gli piacciono» —, sembra frustrare ogni residua speranza di resipiscenza. Ma dove dispera la logica, chissà faccia breccia almeno la paura del paradosso: ad esempio di votare una legge che, sui tabulati, direbbe il contrario di un’altra legge (l’articolo 132 del Codice della privacy) approvata nel 2003 dalla medesima maggioranza.
Luigi Ferrarella
09 giugno 2010
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