4 Giugno 2010
Dietro alle menzogne raccontate in questi giorni, con l'unico obiettivo di screditare me e l'Italia dei Valori, ci sono dei mandanti ben precisi. Ne conosco nomi e cognomi e se avessi le prove li avrei già denunciati.
Di seguito pubblico una mia intervista pubblicata stamattina dal quotidiano L'Unità.
Sulla storia dei due appartamenti di Propaganda Fide che secondo l'architetto Zampolini, Angelo Balducci avrebbe procurato a lui e all'Idv, Antonio Di Pietro taglia corto. «Anche un bambino di sette anni guardando i documenti che ho prodotto capirebbe che quelle di Zampolini sono solo menzogne», dice, rimandando alle spiegazioni pubblicate sul suo blog.
L'appartamento di via della Vite: che «non è mai stato nella disponibilità dell'Idv». Quello di via Quattro Fontane, dove abita la tesoriera dell'Idv Silvana Mura: a lei e allo stesso Di Pietro «fu segnalato dal collega di partito Stefano Pedica, nipote di un monsignore, con ottimi rapporti in Vaticano e non Balducci». Certo, nella querela per calunnia e diffamazione che oggi il leader dell'Idv presenterà ai magistrati di Perugia ci sarà tutto. Anche il contratto per editare il giornale dell'Idv con la società editrice Mediterranea «che in via della Vite aveva sede prima e dopo quel contratto». E quello di locazione di via delle Quattro Fontane, firmato dall'ex marito di Silvana Mura, Claudio Belletti. «Né io né mia figlia lo abbiamo mai affittato o ci abbiamo mai abitato».
Quando lo raggiungiamo l'ex pm è ancora intento a scrivere il testo della querela. E mentre scrive ha in mente solo una cosa: consentire ai magistrati di trovare «il mandante e il beneficiario occulto delle falsità di Zampolini». Una figura che per ora si limita a evocare. «Io ho in mente anche nomi cognomi e generalità concrete ma se avessi la prova li avrei già denunciati».
L'Unità: Perché parla di un mandante?
Di Pietro: «Non so Zampolini nel riferire quelle cose che riguardano la mia persona sia in buona fede o in cattiva fede. Non so se quello che racconta sia frutto esclusivo della sua immaginazione o se quei fatti a lui sono stati raccontati in quel modo falso da altri, né quando, se in precedenza o nell'arco di tempo che va dal 22 al 18 maggio scorso. So che il 18 maggio nel penultimo interrogatorio Zampolini diceva di non sanerà nulla in riferimento alla mia posizione e che il giorno 22 si ripresenta dai magistrati per raccontare con dovizia di particolari, in forma di presentazione spontanea, cose che non rispondono a verità. E di questo vi è la prova documentale che consegnerò insieme alla ricostruzione dei fatti alla magistratura perché accerti chi ci sia dietro questa operazione che coinvolge non solo me, ma Prodi, Veltroni, Rutelli».
L'Unità: Secondo lei chi c'è dietro?
Di Pietro: «Io ho in mente nomi cognomi e generalità concrete ma se avessi la prova li avrei già denunciati. So che quel mandante e beneficiario occulto, mettendo in bocca a Zampolini dichiarazioni platealmente false, prende due piccioni con una fava: mina la credibilità del teste e delle dichiarazioni vere e riscontrate che ha già fatto (vedi gli assegni girati per conto di Scajola e per conto di Incalza, i rapporti con Lunardi) e mette tutti nello stesso calderone confondendo responsabilità penali e dibattito politico. Dopo di me ci saranno altri veleni, già anticipati. Vede, Zampolini è persona che sta raccontando una serie di fatti che sono utili ad accertare la verità. E andare spontaneamente dal magistrato per dire che anche Di Pietro è stato favorito da Anemone, che anche Prodi e Rutelli e Veltroni hanno segnalato i loro professionisti, senza riscontri, fatti, circostanze, è un grave danno alla credibilità del teste e dell'inchiesta».
L'Unità: Quali erano i suoi rapporti con Balducci.
Di Pietro: «Io sono il ministro che l'ha rimosso dall'incarico di presidente del Consiglio dei lavori pubblici. Ho spostato lui come tutti gli altri. Una decisione di prevenzione generale che alla luce di ciò che è successo poi è stata lungimirante. Lui non rimase soddisfatto dello spostamento e si mise in malattia. Poi non l'ha visto più nessuno».
L'Unità: Qualche tempo dopo se lo ritrova come responsabile della struttura di missione per le celebrazioni del 150° dell'unità d'Italia. Scrive a Prodi, poco prima della fine del governo, di non fidarsi.Parla di «macroscopiche violazioni di legge».
Di Pietro: «Sì, ma non me lo sono ricordato l'ultimo giorno. In quella lettera se ne richiamano altre nelle quali già avvertivo il governo che le procedure seguite da quel comitato non erano in linea con quanto previsto dalla legge».
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