domenica 6 giugno 2010

La certezza di Panebianco: il commissario Montalbano è un mafioso


Camilleri, le piaccia o no, sarà costretto a testimoniare, o come mandante o come persona informata sui fatti. Chi è sotto processo? Il suo tanto decantato Montalbano. Ronzando, ronzando, i mosconi hanno fatto un buon lavoro, denunciando l’ambiguità ambientale del commissario di Vigata, con i piedi ancorati in una realtà mafiosa alla quale, né lui, né Lei, potete sottrarvi. Il professore Angelo Panebianco su Sette: «Guardando una delle ultime puntate non ho potuto evitare di pensare: ma vuoi vedere che Montalbano è un “colluso”?»; «Montalbano intrattiene rapporti telefonici... con un vecchio capo mafia che gli manifesta grande stima e rispetto e, addirittura, ferma una guerra di mafia convocando i capi cosca in una località segreta e obbligandoli a stipulare un accordo». Certe cose non si fanno, neanche in letteratura! E il professore cita Andreotti, Contrada, Dell’Utri, processati per quei comportamenti che Lei, caro Camilleri, così disinvoltamente, giustifica in Montalbano. Il professore crede di vedere doppio e si chiede se di Camilleri «ce ne siano due» . Il primo è noto. L’altro è «l’intellettuale-politico che usa talvolta l’accetta giustizialista». Cosa ha da replicare? Ma non può cavarsela chiedendo la perizia psichiatrica per il suo accusatore, il professore Panebianco.

Caro Lodato, la ringrazio di avermi dato l’opportunità di parlare dell’articolo del professor Panebianco. In genere, non rispondo mai ai critici, se faccio un’eccezione è perché le parole del professore gridano vendetta. Occorre fare una premessa. Al professore è sorto il dubbio atroce che Montalbano fosse colluso con la mafia, alla stregua di Dell’Utri, Contrada e Andreotti, vedendo lo sceneggiato televisivo tratto dal mio racconto Par condicio. Ha giudicato cioè uno scrittore non per le sue pagine scritte e pubblicate, ma attraverso una riduzione televisiva. Se si fosse preso la briga di andarsi a leggere il racconto, avrebbe visto infatti che è Montalbano a convocare in commissariato il capo di una famiglia mafiosa e a metterlo alle strette, senza nessuna concessione. Nello sceneggiato, firmato anche da me, abbiamo preferito dare più spettacolarità alla scena. Montalbano convoca in un posto fuorimano i due capifamiglia, in quel momento non latitanti e non accusati di nessun reato, e fa una specie di incidente probatorio, senza concedere nulla anche lì.

Mi spiega il professore dove vede la collusione? Ad ogni modo, torno a ripetere, parlare di uno scrittore senza leggere i suoi libri è come spiegare agli studenti il De bello gallico di Giulio Cesare solo facendo loro vedere Asterix. Mi compiaccio per il rigore professionale, professore. In quanto alla stima che i mafiosi professano per Montalbano, vada a leggersi (perché di certo non l’ha letto, avrà visto il film) il dialogo tra il mafioso don Mariano e il capitano Bellodi nel Giorno della civetta di Sciascia. Capirà che è proprio l’incorruttibilità e il no a ogni compromesso a generare la stima dei mafiosi. Stima che non esclude il colpo di lupara verso chi «purtroppo non ha voluto sentire ragioni». No, caro Lodato, non chiederò la perizia psichiatrica per il mio accusatore. Egli persegue un disegno lucido e preciso, quello che Eco ha chiamato «dello sputtanamento globale».

Se tutti, anche un personaggio come Montalbano, sono collusi con la mafia, nessuno è colluso con la mafia. Insomma, il professore appartiene a quella scuola di pensiero creata da un ministro di un governo Berlusconi il quale affermò che «con la mafia bisogna convivere». Io, che non ho mai chiamato eroe un mafioso, appartengo a un’altra scuola. E anche il mio personaggio vi appartiene. E a dimostrarlo è proprio il tentativo d’infamarlo fatto dal professor Panebianco.

06 giugno 2010

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