STEFANO BOERI: SIAMO DIVENTATI SIMBOLO DI CORRUZIONE
di Gianni Barbacetto
Che cosa succede quando un architetto che crede di essere al lavoro per realizzare una buona operazione culturale, architettonica, sociale, si trova nel bel mezzo della “cricca” della Protezione civile? Stefano Boeri, giovane archistar italiana e direttore di Abitare, è il professionista che ha messo la sua firma al progetto del G8 alla Maddalena. E ora si trova invischiato nelle cronache che hanno per protagonisti Guido Bertolaso, Angelo Balducci, i costruttori Diego Anemone e Valerio Carducci.
L’architetto Angelo Zampolini, l’ufficiale pagatore di Anemone, in un interrogatorio ai magistrati di Perugia ha detto che, durante il governo Prodi, a lavorare come progettista per il G8 della Maddalena era Stefano Boeri, perché era amico di Prodi e di Rutelli. Boeri scuote la testa sconsolato. “Prodi non l’ho mai visto. Rutelli lo conosco poco. Io sono stato coinvolto nel progetto dal presidente della Regione Sardegna Renato Soru. Sono diventato suo consulente con un obiettivo: rinnovare l’area dell’Arsenale della Maddalena. Guardi, in vent’anni di lavoro avevo già realizzato progetti per i porti di Cagliari, Genova, Napoli, Trieste, Ravenna, Ancona, Marsiglia, Salonicco... Credo di poter dire di essere l’architetto italiano con più esperienza nella riqualificazione, urbanistica e architettonica, dei porti. Ho subito condiviso l’idea di Soru: usare il G8, un evento ‘potente’ e sostanzialmente inutile, per accelerare la trasformazione di una zona depressa e storicamente legata alle servitù militari, verso un nuovo modello di economia locale, con un turismo di tipo nuovo. La nostra idea era questa: il G8 dura tre giorni, approfittiamone per lasciare qualcosa dopo quell’evento”.
La vicenda per lei comincia verso la fine del 2007.
Sì. Nel dicembre 2007 mi chiamano dalla Protezione civile. I miei riferimenti sono Soru e Bertolaso. Con loro sviluppo un concetto: dare a ogni edificio una doppia vita, in modo che un minuto dopo la fine del G8 gli edifici possano diventare qualcos’altro: la casa dei delegati diventa uno spazio espositivo legato al commercio marittimo, la sala delle riunioni diventa uno yacht club, lo spazio per i giornalisti diventa un cantiere navale... Devo dire che ero molto coinvolto, anche perché io mi sento un po’ maddalenino: vado alla Maddalena da quando ero bambino, lì abbiamo una casa di famiglia e sono legatissimo a quell’isola molto particolare.
Ma poi arrivano le imprese della “cricca”.
Nell’aprile del 2008, Bertolaso ci dice: il referente tecnico adesso è Balducci, è lui il ‘soggetto attuatore’ a cui dovete fare riferimento. Nell’agosto successivo, io da consulente divento uno dei progettisti dell’Arsenale. L’incarico mi viene affidato dall’impresa di Diego Anemone, che fa i lavori.
Non nota niente di strano?
Sì, mi aveva stupito la dimensione delle imprese coinvolte. Mi aspettavo che arrivassero Astaldi, Impregilo, le grandi imprese italiane. Invece sono arrivati questi sconosciuti, gli Anemone, i Carducci... Ma io ho continuato il mio lavoro. Ho spostato il mio studio alla Maddalena, ho lavorato con cinquanta persone per un anno e mezzo, ho investito tutte le mie energie in quel progetto. Risultato? L’impresa di Anemone non mi ha pagato l’ultima rata, mentre io ho pagato tutti quelli che hanno lavorato con me: oggi ho un buco finanziario che mi obbliga a dimezzare lo studio. E ora, oltre il danno, anche la beffa: sono tirato in ballo per questioni del tutto irrilevanti.
L’architetto fiorentino Marco Casamonti la chiama al telefono nel luglio 2008.
Appunto, mi chiama e mi dice che la Giafi, l’impresa del costruttore Valerio Carducci, gli ha chiesto di occuparsi dell’ospedale militare della Maddalena, da trasformare in un hotel a sette stelle. Un progetto discutibile: non ha neppure un affaccio a mare. Io sono comunque contento del cambiamento, perché il progetto precedente era di scarsa qualità. Mi offro naturalmente di mettere Casamonti in contatto con Balducci, che era il coordinatore di tutti i lavori. Poi non è stato necessario, perché Casamonti aveva già i suoi rapporti.
C’è qualcosa che si rimprovera, in questa faccenda?
No. Rivendico con forza il valore politico, culturale, architettonico e anche economico dell’operazione. Nonostante tutto, sono felice del lavoro fatto e che quegli spazi oggi abbiano cominciato a funzionare esattamente come avevamo immaginato.
È stato detto che gli edifici nuovi hanno già i segni del degrado.
Non è vero. Il progetto sta funzionando, come dimostra la Vuitton cup in corso proprio in questi giorni. Quando hanno spostato il G8 a L’Aquila, hanno bloccato tutti gli arredi e in qualche edificio, lasciato vuoto e inutilizzato, l’umidità dell’inverno può aver lasciato qualche segno. Ma è falso affermare che tutto si stia degradando.
Il suo bilancio economico dell’operazione è negativo. Quello professionale?
Finito dentro questa storia, continuo a interrogarmi sul mio ruolo. Io mi sono fidato della qualità dell’architettura che stavamo realizzando: ingenuità, forse, ma anche fiducia nelle nostre capacità. Ero e resto convinto che quello che abbiamo fatto riuscirà a portare turismo e lavoro nell’arcipelago. Ma, certo, tutto ciò scompare di fronte allo sconcerto di un intero paese per la vicenda della ‘cricca’. E il paradosso è che la nostra più bella architettura, la Casa del Mare, è diventata sui giornali, forse anche in forza della sua qualità, il simbolo della corruzione...
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