IL SEGRETARIO “NON BUCA” E IL PD È INCHIODATO AL 27%
di Luca Telese
Attenzione: qualcuno dovrebbe spiegare a Pier Luigi Bersani che in televisione non funziona. Basterebbe l’ultima esibizione ad “Annozero”, per dimostrare che il segretario del Partito democratico ha urgente bisogno di un consulente televisivo, oppure – in mancanza d’altro – almeno di rivedersi le cassette per capire da sé quello che non va.
Il leader Pd, infatti, ha alcuni difetti fatali per chiunque voglia comunicare sul piccolo schermo.
1) Raramente finisce mai un discorso con un punto.
2) Quasi sempre gioca di rimessa.
3) Ha molto spesso un modulo di comunicazione non positivo, tendenzialmente recriminatorio: “Vabbè…”, “Maddài…”. “Mavalà…”. Anche nel programma di San-toro, confrontandosi con Giulio Tremonti, si esibiva nel suo numero preferito: “Poi te lo spiego…”.
Bersani sembra spesso inutilmente sicuro di sé: annuncia chiarimenti, cifre, numeri, dimostrazioni che però – a quanto pare – una forza fatale gli impedisce di esibire. Forse se ne dimentica. Oppure divaga.
Esempio: Marco Travaglio parla degli arbitrati aboliti dal governo dell’Unione? Tre-monti ribatte che dice cose inesatte? Bersani allunga il braccio, indica Travaglio e bofonchia: “Eeehhh…”. Probabilmente voleva dire: ha ragione lui. E a casa ci si interroga: voleva dire “Eh… sì”? Eh… no”? Forse solo “Eehhh…”. Qualcuno dovrebbe spiegargli che in televisione non ci si deve compiacere dell’idea di aver comunicato, ma si dovrebbe comunicare.
Primo problema: anche quando dice cose giuste (vedi discorso sugli insegnanti) Bersani ha in mente il modulo del comizio: in pratica, si ascolta parlare e per questo si dilunga. Così viene sempre tagliato. In tv è il peggio che si possa fare.
A rendere serio l’allarme, poi, non c’è solo la devastante performance di Sanremo (dove il segretario si fece tacitare da un coro di contestazione di signore impellicciate), ma anche le ultime mosse dei suoi fedelissimi. L’ex ministro, all’inizio della corsa per la segreteria aveva esordito spiegando che non avrebbe mai chiesto di fare il leader di tutta la coalizione (al punto che Dario Franceschini ne faceva una argomentazione congressuale contro di lui). Bene, pensammo, servono leader che hanno il senso dei propri limiti. Poi, però, deve aver cominciato a cambiare idea, forse ci ha preso gusto, forse si è convinto di poter essere il “front man” che non è e non sarà mai.
“È inadeguato”, ha detto Carlo De Benedetti. Ma Bersani non sembra cogliere: prima ha spiegato che è contrario alle primarie di coalizione (dopo Puglia non avevamo dubbi), evidentemente per evitare incomodi e rivali. E poi ha fatto lanciare dal vice che si è scelto, Enrico Letta (un altro comunicatore caldo ed efficace), la propria candidatura a leader: “Il prossimo candidato premier deve essere Bersani” (che sorpresa). In rapida sequenza anche la presidente del partito da lui nominata, Rosy Bindi, e altri sottopanza minori hanno sostenuto la proposta. A tre anni dalle elezioni, non c’è che dire. Quando vedi Bersani in tv capisci subito che non si riguarda mai, e che quelli che ha intorno probabilmente gli dicono tutti cose del tipo: “Sei andato benissimo”. Lui stesso, una volta disse: “Vado bene come sono”. Ovvero, una frase al confine fra l’eccesso di modestia e quello di presunzione. Per dire: come viene viene, lui non ci studia troppo sopra. Sta di fatto che, l’unica volta che si giocava veramente qualcosa, ai tempi delle primarie per la segreteria, si oppose strenuamente ai duelli televisivi con i suoi due sfidanti. Come dargli torto? Null’unico confronto concesso – quello mandato in onda quasi clandestinamente, sul canaletto digitale del partito, Youdem Tv – arrivò terzo su tre, nettamente meno efficace di Franceschini e di Marino.
Bersani ha alcuni difetti che sul piccolo schermo sono quasi sempre fatali. Ha una carburazione lenta, gli manca la battuta pronta, bofonchia invece di sillabare. Non è mai incisivo. E poi – problema drammatico – non sa come stare davanti alla telecamera.
In televisione, di solito, puoi fare tre cose: guardare il conduttore, o gli ascoltatori (ovvero la telecamera) o il tuo interlocutore. Alternando sensatamente questi tre obiettivi focali si ha – di solito una buona riuscita –. Fateci caso: ogni volta lui riesce a non direzionare il suo sguardo su nessuno di questi bersagli. Spesso guarda per aria, o di lato, o non si sa dove. Oppure in basso, sul pavimento dello studio, che è decisamente la cosa peggiore che si possa fare, l’atteggiamento remissivo per eccellenza. Risultato: non conquista mai l’ascolto di chi è dall’altra parte dello schermo. Il segretario del Pd ha un’altra particolarità.
Quando parla il suo avversario, o interlocutore, si mette le mani nei capelli. Essendo un accessorio di cui è sprovvisto, non è la migliore trovata. Ma il linguaggio del corpo ha delle regole. Se ti metti le mani nei capelli, stai preparandoti a dire qualcosa di abnorme. Lui, però, non lo fa. Forse anche in questo caso se ne scorda. A Sanremo, mentre lo fischiavano, provò a dire qualcosa, frasi ficcanti del tipo “Occorre mettersi intorno ad un tavolo…”. Poi cedette ai fischi, e tornò a sedersi, di nuovo bofonchiando: “Mi avevate invitato voi…”. Di nuovo il solito difetto: non comunica, recrimina. Il che lascia presumere che, dopo aver letto questo articolo, dirà: “Mavalà….”. Non sarà anche per questo che il Pd è inchiodato al 27% nei sondaggi?
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