PIU' o meno è andata secondo le previsioni. Calcolando i 27 assenti, le proporzioni della vigilia sono state rispettate. La mozione di sfiducia a Caliendo non passa perché in 299 hanno votato con il governo. 229 i contrari, 75 gli astenuti. Alla prima prova parlamentare, Pdl-Lega sono ampiamente sotto il quorum, pari a 316 voti. Bossi dice che è un segnale di resistenza, e quindi non si va al voto anticipato. Ma i numeri sul tabellone elettronico di Montecitorio disegnano plasticamente uno scenario radicalmente mutato. E lo stesso Berlusconi, secondo fonti del Pdl, si sarebbe ormai convinto che l'unica soluzione è tornare alle urne. "Quella dei numeri è una strategia", ha detto ai suoi deputati in serata. Attaccando ad alzo zero i finiani ("Per loro oggi una pagina nera", la magistratura ("No ai loro ricatti") e lo stesso presidente della Camera ("Da lui solo motivazioni personali").
Le chiavi in mano all'asse Fli-Udc. Nessuno, tra finiani e centristi, aveva l'interesse a far cadere il sottosegretario e con lui l'esecutivo. Non adesso, certamente. Ma il dato sensibile è che l'asse finiani-Udc-rutelliani ha potenzialmente in mano i numeri per far andare o meno avanti il governo. Le "defezioni" negli schieramenti di partenza sono state minime, probabilmente fisiologiche e soprattutto ripartire in ognuno degli ormai tre poli parlamentari. Qualcuno di là, qualcuno di qua.
Da notare che i "quattro gatti" finiani, invece di perdere pezzi come i berluscones pronosticavano, ne guadagnano uno. Al gruppo ha adrito proprio oggi Chiara Moroni. Che non ha partecipato al voto su Caliendo sostenendo che "quello che viene presentato come garantismo non ha niente a che vedere con il vero garantismo".
Il "Vietnam" prossimo venturo. L'estate è alle porte, e salvo sorprese clamorose da qui si ripartirà a settembre. "Resistiamo, non si vota", dice Bossi. Ma già da oggi si capisce quale può essere il clima parlamentare. Rissa quasi sfiorata tra un deputato Pdl-Fli, tifoserie da stadio all'ingresso del premier in aula, inasprimento del confronto. Con questi clima, e con tali numeri, c'è da scommettere che prenderà forza l'ala pro-elezioni anticipate. E già in serata arrivnao i primi segnali dallo stesso Berlusconi.
L'arma di Berlusconi: il voto. Le indiscrezioni parlano di un Berlusconi che al momento non vede alternativa al voto. Un premier "amareggiato" dalle votazioni in aula sulla mozione di sfiducia, che si è rammaricato soprattutto della presa di posizione di Chiara Moroni. Meglio andare alle urne, avrebbe ribadito il Cavaliere ad un deputato in Aula, confermando quel che aveva confidato anche alle parlamentari del Pdl: "Se ci devono essere le elezioni, meglio affrontare al più presto".
Una decisione più esplicita potrebbe essere presa domani, visto che è in programma una nuova riunione di partito. Già oggi, sempre secondo le indiscrezioni dal Pdl, i maggiorenti del Popolo delle Libertà avrebbero cominciato a studiare le possibili date per il voto, tra le quali quella del 14 novembre e quella del 7 marzo.
Pd e Idv divisi. Nell'altro campo non si può fare a meno di registrare la polemica strisciante tra i due partiti di opposizione rappresentati in Parlamento. Il problema è di prospettive e di strategia a breve e medio termine. C'è Di Pietro che vuole elezioni subito, e adotta comportamenti e linguaggi conseguenti, e i democratici che pure tra differenze interne cercano la strada per un altro governo, tecnico o di transizione che sia. Non è un caso che il leader dell'Idv se la prenda oggi, di nuovo, con l'Udc. Formule diverse da un ritorno alle urne gli darebbero meno potere contrattuale. Con la spina Di Pietro nel fianco per Bersani diventa dunque essenziale tenere unito il partito. Una variabile non secondaria per capire se tra pochi mesi torneremo alle urne o se si andrà verso altre soluzioni.
(04 agosto 2010)
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