venerdì 13 agosto 2010

DIETRO LE SBARRE SI MUORE D’INDIFFERENZA


L’allarme di un ex direttore: “Senza dialogo dentro-fuori, è davvero finita”

di Rita Di Giovacchino

Emergenza carceri. Un'emergenza silenziosa, nonostante sia agosto e le condizioni di vita più disastrose del solito, quest’anno i detenuti non sono saliti sui tetti, non hanno incendiato materassi e neppure battuto le pentole sulle sbarre delle celle. Si limitano a suicidarsi, sono già 41 dall'inizio dell’anno i reclusi che si sono tolti la vita, otto soltanto a Roma. Ma a morire in carcere nel 2010 – per malattia o altre cause da accertare – sono stati in realtà 106. Troppi morti. Molti spinti dalla disperazione si sono stretti attorno al collo i lacci delle scarpe o sono riusciti a procacciarsi un sacchetto di plastica con il quale soffocarsi.

LE CIFRE spiegano più delle parole. Sono 68 mila, ristretti in istituti destinati a ospitarne non più di 44 mila, hanno a disposizione in media quattro metri a testa rispetto ai sette previsti dal regolamento carcerario. Le celle sono di 12 metri quadri e quasi tutte ospitano almeno tre detenuti. Un trend negativo che a fine anno rischia di consegnarci un bilancio spaventoso, senza precedenti.

MA NON SONO soltanto i detenuti a “morire di carcere”. Dall’inizio dell’anno si sono tolti la vita quattro agenti della polizia penitenziaria. E il 23 luglio scorso si è ucciso anche il Provveditore alle carceri della Calabria, Paolo Quattrone. Che cosa sta succedendo? Lo chiediamo a Luigi Morsello, un ex direttore che ha trascorso nei penitenziari d’Italia buona parte della sua vita, e che ha di recente raccontato in un libro le sue drammatiche (“La mia vita dentro”, edizioni Infinito, ndr). Morsello dice di essere stupito proprio dal silenzio. “Prendiamo il suicidio di Paolo Quattrone, era il responsabile di tutte le carceri della Calabria, il 23 luglio scorso si è sparato un colpo di pistola e nessun giornale ne ha parlato, come fosse normale che un dirigente che condivide con i detenuti l'inferno quotidiano di un sistema al tracollo decida di togliersi la vita”. Che messaggio legge in questo suicidio? “Un gesto di impotenza, di totale disperazione che mi preoccupa enormemente”.

IL CARCERE deve essere luogo di speranza, scrive nel suo libro. “Invece oggi è un luogo di disperazione. Io mi sono trovato a fronteggiare proteste, anche rivolte, e all'inizio non capivo il silenzio dei detenuti. Anche questo un silenzio disperato. Il 47 per cento della popolazione carceraria sono oggi immigrati, in prevalenza clandestini. Uomini che pensano di non avere nessun diritto, non hanno il coraggio di ribellarsi per paura delle conseguenze. E temo anche delle ritorsioni interne al carcere”. Pensa che siano aumentati i pestaggi non denunciati? “La mia esperienza mi porta a temere di sì, c’è oggi un divario troppo forte tra popolazione carceraria e il numero di agenti chiamati a vigilare. Il ricorso alle maniere forti è più facile quando è impunito, i disperati non denunciano”.

INSOMMA questi detenuti stranieri sono i nuovi schiavi? “Non lo so, disperati, ovvero senza speranza e senza prospettive, si”. Eppure ci sono norme che prevedono non l’arresto, ma il rimpatrio per i clandestini che compiono reati. “Balle, per poter rimpatriare qualcuno occorre conoscere la sua identità, il paese di origine. Quando questo accade non sempre è possibile rispedirli a casa perché non esistono accordi con quei paesi o per la presenza di guerre o dittature. Nei pochi casi in cui il rimpatrio è possibile, il detenuto fa ricorso al Tar. E i ricorsi sono talmente tanti che quasi sempre, nel frattempo, scadono i termini di custodia cautelare. Una volta fuori, si sa, il clandestino si dilegua”. L’indifferenza dello Stato e l’inadeguatezza delle strutture. “Questo invece non mi ha stupito. È stato decretato lo stato d'emergenza nelle carceri, nominato un commissario straordinario. E alla fine cosa si è deciso?” Lo dica lei. “Niente, meglio l’ampliamento delle strutture per aumentare la disponibilità dei posti letto. Diciamo subito che la maggior parte dei lavori non comincerà prima di un anno e finirà non si sa quando”. Un’anteprima? “A partire subito è stata la Lombardia, stanno costruendo alloggi per 200 persone in tre carceri: Pavia, Voghera e Vigevano. Una delle strutture viene costruita sul campo di calcio. Così i detenuti non avranno neppure più quello sfogo. Se continua così, sarà il disastro totale, non vedo neppure più quella solidarietà o consapevolezza da parte dell’opinione pubblica che il problema carcere richiede. E se salta il rapporto tra dentro e fuori, davvero è finita”.

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