di Gianni Barbacetto
Francesco Cossiga non è stato, come molti vorrebbero farci credere, una simpatica lepre marzolina, un libero pensatore, un outsider della Repubblica, un coraggioso picconatore che ha aiutato il rinnovamento del Paese. No, Cossiga ha espresso perfettamente il senso profondo della politica italiana, è l’icona della Prima Repubblica che trapassa nella seconda e la legittima. È stato un anticipatore: dopo il rigoroso silenzio istituzionale dei primi anni al Quirinale, lo spirito del tempo si è impossessato di lui e lo ha spinto a forsennate esternazioni che hanno fornito il modello per gli attacchi a un potere dello Stato, la magistratura, che poi Silvio Berlusconi renderà metodo di governo e programma politico; e il suo linguaggio allusivo, violento e antistituzionale sarà in seguito la cifra politico-comunicativa di Umberto Bossi (e di tutti gli Sgarbi e gli Stacquadanii della variopinta scena italiana).
Doppia fedeltà
Ordino e dispongo
DA PRESIDENTE della Repubblica, dopo gli anni del silenzio inaugurò la fase parossistica degli attacchi forsennati ai magistrati che osavano indagare sull’eversione e le stragi. Feroce contro Felice Casson (Gladio). Claudio Nunziata (bombe nere sui treni). Libero Mancuso (strage di Bologna). Al Csm, Cossiga si rivolgeva con la formula imperiale “Ordino e dispongo”, per chiedere provvedimenti disciplinari per le toghe colpevoli di aprire spiragli sui rapporti tra eversione e apparati di Stato. Grande Depistatore fino all’ultimo: ancora nell’agosto 2008 intorbida le acque e resuscita per Bologna la “pista internazionale”, in una lettera come al solito piena di allusioni, raccontando di valige palestinesi esplose per sbaglio. Per Cossiga, il golpista confesso Edgardo Sogno è “un patriota”. Chi invece chiede verità e giustizia merita solo disprezzo. Il1°dicembre1990, nelle stesse ore in cui i familiari delle vittime delle stragi sono davanti al Parlamento a manifestare in silenzio, con i nomi dei morti scritti sui loro cartelli, Cossiga va a rendere l’estremo omaggio a un altro morto, l’ex capo del Sid Vito Miceli, protagonista di quello Stato che continua a oscurare la verità e impedire la giustizia. L’ex presidente ha più volte proposto una strana pacificazione: il reciproco riconoscimento di brigatisti rossi e terroristi di sinistra da una parte, terroristi neri e combattenti anticomunisti dall’altra. Ma Cossiga sapeva bene che una “pacificazione” così congegnata è soltanto l’ultimo dei depistaggi. Non è stato tra loro il vero scontro in Italia: la guerra a bassa intensità è stata combattuta da gruppi armati e protetti dagli apparati dello Stato, da una parte; e dall’altra, a farne le spese, sono stati cittadini inermi e inconsapevoli che hanno avuto la sorte di trovarsi nel momento sbagliato nel salone di una banca, nello scompartimento di un treno, in una piazza, nella sala d’aspetto di una stazione; oppure sono stati servitori dello Stato, magistrati fedeli alla Costituzione, professionisti coraggiosi, eroi borghesi. Che pacificazione è mai possibile, allora, in questa asimmetria insanabile, quale scambio di prigionieri? Solo la verità potrebbe mettere davvero fine alla guerra che, in nome di legittime e nobili bandiere (la resistenza al comunismo) ha tradito
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