sabato 23 ottobre 2010

Pio Albergo Trivulzio, mafia e appalti. Diciotto anni dopo di nuovo ombre e sospetti


La baggina di Milano nel mirino della procura per alcune gare finite a un'azienda poco trasparente. Intanto scoppia il caso sulla strana vendita di due immobili

I palazzi sono uno uguale all’altro. Stessi mattoncini azzurri. Stessi brutti giardini. Uno dopo l’altro. Una via dopo l’altra. Una macchina dopo l’altra. Via Fornari e al di là la circonvallazione di via Bezzi che taglia Milano e strappa lembi di periferia. Poi l’incrocio con via Trivulzio. Cento passi. E il palazzo sta lì. Imbalsamato nel suo intonaco giallo, con la grande cancellata di ferro battuto, la ghiaia bianca e la scritta in cima. Eccolo il Pio Albergo Trivulzio, la Baggina dei milanesi. Da qui, il 17 febbraio 1992, la prima Repubblica iniziò a franare. E sempre da qui, 18 anni dopo Tangentopoli, riparte la trama del malaffare. Che oggi si impasta con stravaganti aste immobiliari, burrascose battaglie politiche dentro al Popolo della libertà e inchieste giudiziarie sugli affari mafiosi all’interno del Pat. Affari che per la procura fanno sponda tra il boss di Reggio Calabria Paolo Martino (presunto catalizzatore degli interessi della ‘ndrangheta in Lombardia) e la politica lombarda. Insomma, c’è poco da annoiarsi e tutto da capire.

Capire ad esempio quale sia stato il vero significato di una Commissione, presieduta dalla neo finiana Barbara Ciabò, che mercoledì pomeriggio a Palazzo Marino si è riunita in tutta fretta per discutere sulla vendita di immobili di proprietà dello stesso Pat. Sul tavolo due palazzi in pieno centro: il primo in piazza Santo Stefano 12, il secondo in vicolo Santa Caterina 3/5, interno allo stesso Mausoleo Trivulziano. Quasi 2.000 metri quadrati l’uno, 358 l’altro. Entrambi vincolati dai Beni culturali. Il prestigioso pacchetto è stato battuto all’asta per 11,6 milioni di euro. Sborsati da Stefano Spemberg, grossista di gioielli, ma anche immobiliarista e titolare di quote in ben 11 società. Molti e facoltosi i suoi soci. Tra i vari, uno. Che recentemente ha acquistato uno stabile da 5.000 metri quadrati per 20 milioni di euro in zona San Vittore. Non è da meno il colpo di Spemberg. Che però resta sulle spine in attesa che il ministero dei Beni culturali decida di non esercitare il suo diritto di prelazione. Tutto liscio, dunque.

La calma, però, è solo apparente. Il primo ottobre scorso, infatti, il consigliere comunale dell’Idv Raffaele Grassi prima in aula e poi con un’interrogazione al sindaco solleva il caso. Grassi inizia notando una strana coincidenza: l’avviso di vendita viene reso pubblico il 14 luglio 2010 e nella stessa data arriva già l’offerta di Spemberg. La cifra inizialmente è di 10,5 milioni che a fine asta si incrementarà di 1 milione e 100mila euro. C’è, però, dell’altro: il bando di chiusura dura appena 19 giorni. Perché così pochi? Al consigliere pare una fretta ingiustificata. Singolare anche la scelta del periodo estivo. Insomma, inizia a prendere corpo l’idea che una tale procedura abbia potuto recare un danno economico all’Ente stesso e quindi anche al comune di Milano.

Proseguiamo. Il 5 ottobre scorso viene presentata un’altra interrogazione a firma della stessa maggioranza. A farla è Vicenzo Giudice. Morattiano di ferro, ex presidente della Zincar, società pubblica fallita nel maggio 2009, il suo nome, nel marzo 2008, finirà nella carte dell’inchiesta della Procura di Varese che indaga su uomini vicini alle cosche della ‘ndrangheta. Con loro, Giudice, che non risulta indagato, partecipa ad alcune cene per pianificare i piani di Expo. Questo scrivono i poliziotti.

Al Pio albergo Trivulzio, Giudice ci ha lavorato in passato. E’ il primo firmatario dell’interrogazione. Sottoscritta da altri 16 consiglieri azzurri. Ma più che un’interrogazione sembra una mozione. Tra i vari nomi quello di Armando Vagliati anche lui finito in un’inchiesta dei Ros di Reggio Calabria per i suoi rapporti con Giulio Giuseppe Lampada, ritenuto il braccio finanziario della cosca Condello a Milano. Vagliati come Giudice non risulta indagato. Torniamo all’interrogazione del Pdl. In quel documento si chiede se i dirigenti del Pat siano al corrente di indagini della magistratura e se risulta un interessamento della Curia per i prestigiosi palazzi.

Mercoledì pomeriggio la risposta con lettera del direttore generale e consigliere provinciale del Pdl Fabio Nitti, controfirmata da Alessandro Lombardo, direttore del dipartimento tecnico del Pat. A parlare è Nitti. Ma Lombardo chirisce subito. “Non sono parente di Grazia Barbara Lombardo”. La signora di lavoro fa il notaio. E come tale ha seguito la pratica in questione. Lei, per non saper né leggere né scrivere, ieri si è tirata fuori. Tocca allora a Nitti. Che spiega. Quel bando è stato indetto con la formula eccezionale della procedura negoziata. Tradotto: chi vende tratta direttamente con il possibile acquirente. Ma anche qui regola vuole che passi almeno un mese. L’urgenza però è subito spiegata. Dice Nitti: “La vendita è destinata a finanziare gli interventi di ristrutturazione per oltre 40 milioni di euro”.

Il piano di rilancio del Pio Albergo Trivulzio è ambizioso. Per questo la cifra sul tavolo è piuttosto corposa. Eppure anche qui qualcosa non torna. Di quel tesoretto, circa 24 milioni di euro vengono destinati alla ristrutturazione della Ex Casa Albergo di via Fornari 19 e di due palazzine destinate a Rsa (Residenza sanitaria per anziani). Nei primi mesi del 2008 partono le gare. Tra i vincitori c’è un impresa sulla quale indaga la procura. Ad oggi i vertici della società non risultano indagati. Il sospetto, però, è quello di rapporti opachi con esponenti vicini alla famiglia mafiosa dei Labate legata alla cosca De Stefano di Reggio Calabria. E’ in questo momento che entra in gioco Paolo Martino. Classe ’55, “Paolino”, come lo chiamo gli amici, è un boss di rango e di grande intelligenza. A differenza di altri, lui è in grado di giocare su più tavoli. Non solo quelli mafiosi, dunque. Vive a Milano. In passato è stato latitante. Cugino di Paolino De Stefano, sotto la Madonnina stringe ottimi rapporti con la famiglia Papalia. Politicamente schierato a destra, un passato da massone, negli anni Settanta favorisce la latitanza di Franco Freda, il terrorista nero coinvolto nella strage di piazza Fontana. Il nome di Martino, pur non tra l’elenco degli indagati, compare nelle carte dell’ultima inchiesta di luglio. I magistrati sottolineano i suoi rapporti con le famiglie Valle e Lampada. In particolare con Francesco Lampada con il quale è socio nella Lucky World, impresa che gestisce slot machine. I Lampada vengono definiti dai Ros di Reggio Calabria il braccio finanziario del clan Condello. A Milano fanno fortuna, ma soprattutto stringono rapporti con la politica locale e nazionale.

Politica che, secondo gli investigatori, interverrebbe anche nel favorire quella commessa alla Baggina di Milano. Tre personaggi. Un appalto. Martino tesse la tela. Suo il merito fare da anello di congiunzione tra l’impresa e la politica affinché questa lo raccomandi all’interno del Pat. Lo scenario inquieta. Alla magistratura il compito di metterci il sigillo della verità. Intanto, gli uomini della Dia agli ordini del colonnello Stefano Polo a luglio entrano negli uffici del Trivulzio e portano via proprio le carte di quella gara. Motivazione ufficiale: controlli di routine sui lavori pubblici. Lavori, quelli del Pat, che dopo la visita degli investigatori stranamente si fermano per tre settimane.

Al di là di tutto, ciò che resta è quell’appalto. E oltre, un sospetto che si trasforma in un indizio spulciando le carte dell’inchiesta Crimine. Tra le migliaia ci sono quelle di Carlo Antonio Chiriaco, dirigente dell’Asl di Pavia, ras della sanità lombarda, uomo delle tessere e consulente della ‘ndrangheta. Lui con Paolo Martino ha rapporti diretti e quando parla al plurale indica un gruppo politico-mafioso. Di più. Lui racconta del Pio Albergo. Lo fa in auto con la moglie mentre le spiega la costituzione di una nuova società in cui lui però non può comparire. Dice: “Noi adesso abbiamo il Niguarda, la psichiatria e la casa di riposo del Trivulzio”.

E ora, dopo i pasticci immobiliari e le ombre mafiose, che succederà? In Comune l’affaire baggina sembra un pretesto per regolare conti interni tra berluscones e finiani, mettendo le mani avanti in vista di future inchieste giudiziarie. In procura, invece, regna uno strano silenzio. L’unica certezza è che domani ci sarà l’inaugurazione della Ex casa Albergo di via Fornari. Una ghiotta occasione per continuare a capire.

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