FEDERICO GEREMICCA
Se ne sta lì, la giacca sbottonata, il colletto della camicia aperto, appoggiato con le spalle alla grande libreria bianca nel suo ufficio al secondo piano di largo del Nazareno. Pier Luigi Bersani è teso in volto. Stavolta sembra davvero preoccupato. Tira un fiato per cacciar via la tensione della dura conferenza stampa appena terminata, e ragiona ad alta voce. Sono le quattro del pomeriggio, e Stefano Di Traglia - la sua ombra, in fondo - informa il leader Pd delle ultime novità: ce ne fosse una, dicasi una, capace di scalfire l’angoscia che pare attanagliare il segretario. «Va tutto a rotoli - mormora - e magari quel che leggiamo è niente, è solo l’inizio. Quando sarà caduto, vedrete, uscirà fuori di tutto, sarà una valanga: perché questo Paese, quando perdi il potere, sa diventare cattivo, perfino impietoso...».
Non cita la fine di Bettino, ma è chiaro che pensa a lui. Si parla - invece - di Silvio Berlusconi, naturalmente. Ma a doverla dire tutta, non pare più lui - il premier - la preoccupazione principale del leader del Pd. Magari sbaglia: ma considera il Cavaliere un uomo politicamente morto. Si tratterebbe di prenderne atto, rapidamente atto, come ha detto in conferenza stampa: «Non è questione di mesi, e nemmeno di settimane...». Non capirlo, vuol dire continuare a moltiplicare il rischio che Bersani vede chiaro come mai: lui lo chiama «il Paese che stacca la spina, anzi che l’ha già staccata». Ed è chiaro quello che vuol dire. «Per me - argomenta - siamo già ben oltre il 1992. Il discredito, il distacco della gente dalla politica oggi è maggiore. Ed è per questo che chi deve battere un colpo è ora che lo faccia». Ce l’ha con Fini, come è chiaro: è a lui che chiede la mossa capace di disarcionare il premier.
Lo chiede: ma fa sapere che non aspetterà all’infinito: «E’ incredibile, ogni volta sembriamo a un passo, a un solo passo, ma poi... Mi dicono che ora avrebbe deciso. Può darsi: però io aspetterò fino a domenica, non oltre; fino al suo discorso di Perugia, poi bisognerà muoversi. Berlusconi, ormai è chiaro, è per il “muoia Sansone con tutti i filistei”: noi non possiamo permettere al Paese di fare quella fine lì». Mezz’ora prima, in conferenza stampa, sembrava aver escluso la presentazione di una mozione di sfiducia in Parlamento: ora chiarisce. «Un momento, vedremo. Io la mozione non la escludo, perché alla fine potrebbe essere necessaria. Ci sono anche altre vie, certo: quel che è chiaro è che non possiamo starcene così, le mani in mano, mentre l’Europa ci ride dietro. Il problema non è trovare l’accordo per fare un governo; il problema è come arrivarci...». Una via potrebbe essere quella di presentare in Parlamento una risoluzione sulle cose più urgenti da fare: nuova legge elettorale, innanzitutto.
Si vota la risoluzione e le forze che la sostengono - di fronte a una maggioranza che senza i voti di Fini diventa minoranza -, si trasformano nelle protagoniste della nascita di un nuovo governo... «E’ una via, anche se so bene che la legge elettorale, per quel che rappresenta, dovrebbe essere votata dal 100 per cento dei parlamentari... Infatti, noi lavoriamo a una proposta aperta, che dovrebbe piacere anche alla sinistra, visto che rispetto allo zero rappresentanti di oggi avrebbe almeno accesso al Parlamento grazie al diritto di tribuna. Ma non è che possiamo fare un governo solo per riformare la legge elettorale. Con un’operazione simile, da Grillo alla Lega ci sparerebbero addosso tutti. E anche i nostri... col clima che c’è nel Paese, con l’economia a rotoli, verrebbero qui sotto con i forconi, se ci occupassimo soltanto delle cose che paiono interessare noi».
Bisogna impedire, certo, «che col 34% dei voti uno non solo vinca le elezioni ma possa anche farsi eleggere al Quirinale, e non so se si è capito di chi parlo», aveva detto poco prima di fronte a telecamere e tv. Ma aveva aggiunto: due cose in economia bisognerebbe pur farle: «Dipendesse da me, uno stralcio della riforma fiscale e un provvedimento per il lavoro ai giovani». Intanto, però, va sgombrato il campo dal governo che c’è: «Liberateci di Berlusconi, vedrete quanta gente - anche tra loro - sarà felice come una Pasqua. E noi potremo fare qualcosa per il Paese e poi tornare alle urne, avendo il tempo di sistemare tutte le faccende, la coalizione, le primarie e il resto». Non sarà facile, e naturalmente lo sa. Anche perché non è che questo sia l’unico fronte aperto cui badare. Ci sono le tensioni interne, lo scalpitare dei veltroniani e - prima ancora - il rumore metallico dei rottamatori del tandem Renzi-Civati. Andrà all’imminente raduno di Firenze, il segretario?
«Oggi vedo Renzi e dovrà rispondere ad una domanda: di che si parla, lì? Perché se si parla dell’Italia, di quello che vogliamo per il futuro di questo Paese, allora possiamo ragionarne. Ma se invece la questione è linciare i “vecchi” del Pd, se la vedano loro. Avendo una preoccupazione, però: Berlusconi, con i suoi tg e i suoi giornali, farà di tutto per sviare l’attenzione dai suoi guai. Offrirgli un Pd che litiga, una base “in rivolta”, sarebbe per lui un regalo insperato e inaspettato. Vogliono farlo? Decidano loro, e io mi regolerò...».
Nessun commento:
Posta un commento