sabato 20 novembre 2010

C’È MARETTA NEL PDL



Il ministro Carfagna pronta a lasciare l’esecutivo “Accuse infamanti dai colleghi di partito”

di Luca Telese

Con l’addio di Mara, nel bene o nel male si chiuderebbe un’era. E c’era qualcosa di grottesco e insieme di tragico, ieri, nell’alto coro che si levava dal Pdl per scongiurarla di restare, elogiarla, appena si è diffusa la notizia di un possibile addio. Ma anche nel fatto che lo stesso coro si levasse per continuare ad infamarla, perché, come dice l’onorevole Mario Pepe, uno dei suoi acerrimi nemici, “si è scoperto che il rapporto intimo e di amicizia tra lei e Bocchino è continuato, e invece lei avrebbe dovuto troncarlo per rispetto a tutto quello che Berlusconi ha fatto per lei”.

Ancora una volta siamo a metà fra Shakespeare e i romanzi d’appendice.

Con Mara finisce un’era, se la ministra alla fine se ne va, perché sono bastate due notizie di agenzia per far entrare in fibrillazione tutto il centrodestra. È, ovviamente un pizzino avvelenato, quello che il collega Edmondo Cirielli - un altro dei deputati del sud che la odiano per la sua guerra a Nicola Cosentino infilato in tutte le caselle dei parlamentari per darle apertamente della traditrice: “Ha già in tasca un accordo con Futuro e libertà, in Campania”.

DIRE MARA Carfagna era come evocare un simbolo. Non per gli avversari del berlusconismo, ma per i suoi stessi cantori, per il suo stesso profeta che l’aveva immaginata come un ricostituente dionisiaco per rinnovare l’immagine. “Quanto è intelligente Maretta, è la più brava di tutte!”, gridava il leader del Pdl ai margini delle riunioni di gruppo e nelle cene con i parlamentari, e giù lodi e battute. È arrivata al governo perché ha fatto cose inenarrabili, accusava invece su pubblico palco, a Piazza Navona (ma le parole, come è noto, erano più prosaiche) Sabina Guzzanti. Sempre nel nome di Mara, Paolo Guzzanti postulava l’esistenza della “mignottocrazia” sul filo della querela e della contesa. Ma Maretta per Berlusconi era l’epifania, la rivoluzione possibile, l’idea che una seconda generazione di pidielline, eugeneticamente corrette, avrebbe rigenerato con la forza della loro bellezza e con occhi cerbiatteschi il ciclo discendente del vecchio patriarca. Collocata a sorpresa al ministero delle Pari opportunità, investita da accuse infamanti, la Carfagna si costruiva la propria immagine politica con le unghie e con i denti. Acconciatura da intellettuale della rive gauche, vestiti castigatissimi, full immersion nella giungla legislativa sotto la guida di un alleato di ferro - Italo Bocchino - e di una precettrice esperta - Isabella Rauti, moglie di Gianni Alemanno - che l’aveva seguita al ministero per lavorare nel suo dipartimento. Maretta aveva subito una vera e propria mutazione genetica. Uno dei pochi ministri di Berlusconi che era riuscita a portare a casa una legge degna di questo nome, quella sullo stalking.

IL GIORNO dopo l’invettiva di Piazza Navona, al contrario della Gelmini, che destinataria dello stesso sospetto indicibile si sommerse in un prudente anonimato, la Carfagna scelse un’arena televisiva, quella di Matrix, e andò a combattere e ad esibire la sua indignazione: “Trovo incredibile che a sinistra qualcuno possa pensare di lucrare politicamente su una accusa così indegna e machista!”. Mara aveva dietro un regista, Bocchino, e un consulente esperto, il sondaggista Gigi Crespi, che la misero in condizione di realizzare un contropiede sorprendente. Quel giorno, davanti ad Alessio Vinci, l’inquietudine venne tradita dalle chiazze di sudore che le si formavano sotto le ascelle tingendo l’argentina color pastello. Un giorno, intervistandola le feci una domanda carognesca: “Sa cosa dicono?”. E lei: “No”. “Che lei tiene gli occhi spalancati per eccesso di botulino o di droghe leggere”. Mara non fece un piega e sorrise: “Se permette, del botulino, avendo io trent’anni, non ho ancora bisogno”. E delle droghe? Allargò le braccia: “Visto che per me è una grave rottura anche solo assumere un’aspirina, si figuri”. Non era più l’ex velina che chiedeva ai conduttori dei talk di risparmiarle il repertorio di quando faceva la microfonica per Mengacci.

CHE LA GRINTA non le mancasse si capì alle regionali. Maretta diventava ambiziosa, e si metteva a sfidare sul suo stesso terreno Nicola Cosentino, concedendosi il lusso di una candidatura. Ma dove vuole andare, sorridevano i suoi avversari, e Cosentino veniva persino intercettato mentre faceva battute a doppio senso con i suoi, scovate dal nostro Marco Lillo: “Nel mio partito ci sono due tendenze. Quella Berlusconi... E quella Bocchinara, nel senso della Carfagna”. Però la ministra stupiva tutti riuscendo a mettere insieme 56 mila preferenze, un record. Come aveva fatto? Forte di questi voti iniziò a combattere contro il sottosegretario di Casal di Principe ad ogni occasione, chiedendone esplicitamente la testa dopo la richiesta di arresto: “Si deve dimettere”. Berlusconi trovò un compromesso. Addio al governo, ma riserva protetta nella poltrona pesante di coordinatore della Campania. Il resto è cronaca. Tre giorni fa, in Transatlantico a Montecitorio, Mara Carfagna, aveva avuto un animato colloquio con il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, incazzata nera per il pizzino di Cirielli. Poi era arrivata la stoccata della Mussolini, che la fotografava come per smascherare il suo rapporto con Bocchino, da cui aveva preso la distanze in una intervista senza rompere. Tutti a piangerla ora: amici, nemici, coccodrilli. Ma con Mara, in ogni caso finisce un’era, finisce la fase crepuscolare eugenetica del berlusconismo, e si capiva leggendo le parole commosse di Bondi o Frattini.

Sì, con le dimissioni di Mara, se arriveranno davvero, si chiuderà un’era. Ma non la sua. Quella del Cavaliere.

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