Mentre in Honduras si annuncia la chiusura finanziaria del progetto relativo alla centrale eolica di Cerro de Hula e l’emissione dell’ordine per iniziare la costruzione di 51 turbine da 2 MW ciascuna, per un totale di 102 MW, c'è aria di stagnazione sull'eolico italiano. «A metà anno c'è stato un crollo verticale degli investimenti, perché il valore dei certificati verdi è sceso troppo e le banche non finanziano più i nuovi progetti», spiega Simone Togni, segretario nazionale dell'Associazione nazionale energia del vento. «Si stanno realizzando solo i progetti già finanziati all'inizio dell'anno. Tutto il resto si è fermato».
OBIETTIVI LONTANI - L'obiettivo 2010 per l'eolico italiano, ritenuto realistico a inizio anno, era di crescere di oltre mille megawatt, come nel 2009, per arrivare a 6 mila megawatt installati. Ma è probabile che l’anno si concluda a quota 5.600, un buon 30% sotto le attese. «Mantenendo il ritmo che ci eravamo dati negli anni scorsi, saremmo riusciti a centrare gli obiettivi comunitari, ma se perdiamo un semestre intero, quando lo recupereremo?», si chiede Togni.
REDDITIVITÀ IN CALO - Il problema sta tutto nella remunerazione dell'investimento, che è gradualmente calata fino a raggiungere livelli considerati dalle banche non più finanziabili. La remunerazione è data dal valore dell'energia venduta alla rete, più il valore dell'incentivazione, che in Italia avviene attraverso i certificati verdi, i titoli attribuiti all'energia pulita, che le aziende produttrici di energia convenzionale sono costrette ad acquistare per una quota del 3% della loro produzione da combustibili fossili. In questo modo, le aziende che sporcano l'ambiente finanziano quelle che lo tengono pulito. Ma il mercato dei certificati verdi negli ultimi anni ha sofferto di due tendenze contrapposte: da un lato la crisi ha portato a un calo della produzione elettrica, dall'altro le compagnie convenzionali hanno cominciato a produrre energia verde in proprio. Di conseguenza, il valore dei certificati è sceso del 10% l’anno: a fine 2006 valeva circa 140 euro a megawattora, oggi siamo a
COMPENSAZIONI - «In parte, la perdita di valore dei certificati è stata compensata dalla maggiore efficienza: oggi i costi di produzione dell'eolico sono più bassi di quattro anni fa», conviene Togni. Ma al calo degli incentivi si è aggiunto l'aumento degli oneri complessivi, come l'Ici che prima non si pagava, oltre al 5% di compensazione ai Comuni e all’aumento degli affitti dei terreni. «Sono tutti trasferimenti dello Stato centrale verso gli enti locali. È comprensibile, ma non hanno nessuna logica se non quella di bloccare gli investimenti, perché le compensazioni ambientali non si possono imporre alle imprese che producono energia verde, è espressamente vietato da una direttiva comunitaria», fa notare Togni. Per di più, le compensazioni chieste all'eolico sono il doppio di quelle chieste ai petrolieri.
ASPETTANDO L'EUROPA - Per le imprese dell'energia verde, a questo punto, non resta che aspettare il recepimento della direttiva Ue sulle fonti rinnovabili che, introducendo un valore minimo per i certificati verdi, darà un quadro certo di regole. «Siamo alla vigilia del recepimento della direttiva», assicura il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia. «La delega scade il 5 dicembre, quindi cercheremo di mandarla in Parlamento nei prossimi giorni», ha sottolineato. «Daremo un quadro certo di regole fino al 2020, per dare certezza agli investitori, ma anche per ridurre ogni biennio gli incentivi, in virtù dei miglioramenti tecnologici, perché vogliamo finanziare la realizzazione di impianti e non la rendita». I produttori di energia verde sono d'accordo. Ma chiedono una base sicura dell'incentivazione, sotto la quale gli investimenti si bloccano.
Redazione online
15 novembre 2010
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